L’articolo odierno viene volutamente pubblicato oggi 17 Febbraio 2023, nella ricorrenza dell’80° anniversario del primo tra i più devastanti bombardamenti subiti da Cagliari nel Febbraio del 1943, avvenuto quando ormai la città subiva le incursioni aeree da quasi tre anni. Il 17 Febbraio 1943 infatti i bombardieri alleati colpirono fortemente Cagliari e Quartu Sant’Elena, anche se i bombardamenti più pesanti, per quel mese, si ebbero il 26 e il 28. Quanto avvenuto il 17 Febbraio però è reso ancor più tragico dalla strage provocata contemporaneamente, come vedremo, nel piccolo centro di Gonnosfanadiga.
È ormai diventata una convinzione accettata la considerazione degli attacchi su Cagliari come un mero diversivo atto a distogliere l’attenzione dal preparando sbarco in Sicilia, anche in seguito ad un episodio di Voyager (andato in onda qualche anno fa) in cui si dava una tale descrizione degli eventi bellici sulla nostra città, ma la storia raccontata dai bollettini di guerra, i tre anni di bombardamenti subiti e la posizione strategica di Cagliari e delle sue infrastrutture smentiscono questa visione atta a sminuire l’importanza bellica e strategica della nostra città e a voler quasi ridurre l’impatto della tragedia che le si abbatté dal cielo. La Sardegna, e dunque anche Cagliari, si trova infatti al centro dello scacchiere occidentale del Mediterraneo, in una posizione da cui era facile controllare il movimento di merci e armamenti tra la Francia e il Nord Africa e la posizione mediana dell’asse britannico tra Gibilterra, Malta e Suez. Cagliari contava inoltre importanti infrastrutture: due aeroporti militari, l’Idroscalo/aeroporto di Elmas e l’Aeroporto di Monserrato, a cui si aggiungeva la relativa vicinanza a quello di Decimomannu e a quello di Villacidro; il Porto era considerato strategico ai fini della movimentazione bellica da e verso l’Africa occupata dal regime fascista, inoltre sul territorio erano presenti altri porti minori non secondari in caso di distruzione di quello principale; due le Stazioni di collegamento con le altre località dell’Isola (e dunque con gli altri aeroporti e porti), la Stazione Centrale e quella Complementare; la Stazione Marittima poi controllava il movimento di truppe e merci, inoltre vi era una notevole presenza militare tra le tante caserme dislocate nel centro cittadino e nei quartieri periferici (si pensi al solo asse Viale Poetto-Calamosca), oltre a magazzini, rimessaggi, e importanti serbatoi di stoccaggio dei combustibili come quelli presenti a Monte Urpinu.
È quindi il caso di rivalutare una verità volutamente offuscata: Cagliari non fu il diversivo rispetto alla Sicilia, ma un importante centro urbano e infrastrutturale al servizio bellico, motivo per cui la sua devastazione fu programmata con un piano militare ben stabilito (l’operazione Garroter, del 1940, in seguito ribattezzata Brimstone) al fine di distruggerne le infrastrutture principali, i collegamenti con gli altri centri urbani e – soprattutto – con lo scopo di piegare psicologicamente la popolazione, cosa che avvenne anche per mezzo di ripetuti lanci di volantini che preannunciavano i futuri bombardamenti e le devastazioni ai danni di una popolazione ritenuta (a torto o no, poiché ci furono ovviamente due posizioni riguardo alla guerra e al regime) sia complice che colpevole. E bisogna pur riconoscere che l’Italia, nell’ambito della Seconda guerra mondiale, era in pieno torto.
La Città, su cui già aleggiava il sospetto di obiettivo di primaria importanza, venne dotata fin dalle prime avvisaglie di guerra di sistemi difensivi antinave e antiaerei. Tre postazioni antinave vennero installate nei punti strategici del Golfo: una sul Capo di Pula, una sul Capo Sant’Elia e la terza a Is Mortorius (riutilizzando una delle tante torri di vedetta di epoca spagnola, appunto la Torre del Mortorio); la contraerea invece consisteva di quattro postazioni difensive a guardia del Golfo e della Città, una sul Capo Sant’Elia in ausilio al blocco antinave, una a Giorgino nelle vicinanze della Chiesetta di Sant’Efisio, una terza a Monte Urpinu e la quarta sul colle di Tuvixeddu da cui si poteva controllare l’area dello scalo di Elmas. Con l’aumento dei raid aerei nel 1942 (di cui parleremo più avanti) si costituirono inoltre nuove postazioni di difesa antiaerea a Tuvixeddu, al Poetto, a Monte Urpinu a Pirri e a Sa Illetta, mentre due postazioni tedesche presero posizione a Su Siccu e Giorgino. A corredo del sistema difensivo fu realizzata una serie di postazioni di avvistamento riutilizzando anche parte delle torri costiere di epoca spagnola e i fortini sabaudi.
Come detto in precedenza, quelli del 17, del 26 e del 28 Febbraio non furono né i primi né gli ultimi bombardamenti che distrussero l’abitato e travagliarono la popolazione in quanto Cagliari venne già colpita ad appena 6 giorni dall’entrata in guerra dell’Italia, il 16 Giugno 1940, quando una formazione di bombardieri francesi partiti dalla base di Youks Les-Bains, nella città algerina di El Hammamet (in francese Baïnem, da non confondere con la Hammamet tunisina), arrivò verso le 17:20 sui cieli di Cagliari e lanciò un primo attacco alla base aeroportuale di Elmas, al porto cagliaritano e ai depositi di carburante nei bunker di Monte Mixi. Il bilancio, quella prima volta, fu di 6 morti tra gli avieri e 30 feriti, oltre a danni lievi sugli edifici militari in tutte le zone colpite. Questo primo bombardamento infatti si svolse in modo – fortunatamente – precipitoso e parte degli obiettivi fu mancata: una foto aerea al momento dell’incursione documenta infatti come le bombe destinate al porto di Cagliari caddero invece in acqua, mentre risultano colpiti e in fiamme i depositi di Monte Mixi. La popolazione, prontamente avvertita dalle sirene, sperimentò solo in parte la prima corsa ai rifugi, poiché la città aera ancora considerata sicura e inattaccabile, mentre la contraerea si distinse in una reazione al raid tempestiva ma inefficace. Una successiva incursione, più vicina alla città (oggi sarebbe in pieno abitato), si ebbe il 24 Giugno 1940 con un attacco diretto alle strutture militari di Monte Urpinu, in particolare i depositi di carburante: si trattò del lancio di una trentina di bombe che non causarono gravi danni agli edifici ma provocarono diversi feriti tra la popolazione anche se, fortunatamente, non ci furono vittime.
Il 2 agosto 1940 una formazione britannica costituita da 11 bombardieri Swordifsh che decollarono dalla HMS Ark Royal III (costruita nel 1934 e varata nel 1937, la prima vera portaerei costruita a tale scopo) attaccarono il porto di Cagliari e l’aeroporto di Elmas. Il bilancio fu lieve per quanto riguarda gli edifici ma si annovera un marinaio morto a Cagliari e otto feriti tra gli avieri di Elmas. Per tutta l’estate del 1940 i bombardamenti continuarono ad avere come obiettivo il principale dei due aeroporti cagliaritani, quello di Elmas e il solo porto cagliaritano, ma già l’8 Novembre le bombe cominciarono ad attaccare anche le aree abitate più prossime allo scalo marittimo. La HMS Ark Royal III svolse nuovamente il ruolo di base aerea mobile in altri due attacchi condotti contro Cagliari ed Elmas il 27 e il 28 Agosto del 1940, per essere poi coinvolta nella Battaglia di Capo Teulada il 27 Novembre 1940, quando venne presa di mira dai siluranti italiani senza tuttavia subire danni, mentre il cacciatorpediniere italiano Lanciere fu colpito e condotto al riparo nel porto cagliaritano dal celebre rimorchiatore Ascari. L’ultima città vittima dei bombardamenti provenienti dalla HMS Ark Royal III fu Alghero, in seguito la portaerei venne attaccata e affondata 48 km al largo di Gibilterra.
Un primo tentativo di bombardamento esteso sulla città si ebbe il 30 Luglio 1941 ad opera della R.A.F. con una formazione di velivoli decollati da Malta che riuscì a sganciare parte delle bombe sull’abitato, ma l’incursione venne prontamente stroncata dalla contraerea. Tuttavia, il bilancio annovera un morto.
Il 27 Settembre 1941 le bombe attaccarono nuovamente la città ma con la pronta reazione della contraerea che, anche stavolta, limitò lo svolgimento dell’incursione. I successivi eventi bellici dimostrano come la pianificazione dei bombardamenti fosse mirata ad una maggiore distruzione e ad un abbattimento graduale del morale della popolazione.
I cittadini cagliaritani, provati da due anni di allarmi e corse al riparo nei rifugi antiaerei erano ormai “abituati” (per quanto lo si possa mai essere) ai boati di bombardamenti relativamente distanti sugli aeroporti e sul porto quando, nella notte tra il 2 e il 3 Giugno 1942 si ebbe il primo bombardamento non infrastrutturale bensì urbano che colpì il settore sudorientale della città e la popolazione che vi risiedeva. Si riferì che il bombardamento sugli edifici civili avvenne (“quasi”!) per errore poiché le difese contraeree del porto avevano offuscato la visuale per mezzo di fumogeni che peggiorarono la scarsa visibilità dovuta anche all’ora in cui l’incursione si svolse, si era infatti quasi a mezzanotte e lo scontro si protrasse fino a oltre le due del mattino. La maggior parte di questa incursione si svolse quindi al di sopra del borgo di San Bartolomeo e del quartiere di Bonaria: nel viale San Bartolomeo rimasero uccisi un anziano residente e la sua figlia disabile, impossibilitati ad una pronta fuga verso i rifugi, vista anche l’ora tarda e la scarsa visibilità dovuta all’oscuramento. Nell’area di Bonaria fu invece colpito il Cimitero Monumentale con l’esplosione della prima grande bomba caduta sui quartieri centrali: si trattava di un ordigno da una tonnellata esploso sopra i binari delle ferrovie complementari in viale Cimitero, che fece crollare parte delle mura del Camposanto, scoperchiò diverse sepolture e ridusse in polvere alcuni monumenti mentre ne danneggiò seriamente altri. L’effetto fu devastante e i danni riportati dai monumenti sono visibili tuttora (per un approfondimento, rimando all’articolo sulle Cicatrici di Guerra). Altre 15 persone vennero ferite durante l’attacco.
Pochi giorni dopo, l’8 Giugno 1942, un nuovo bombardamento fece comprendere alla popolazione che il peggio non era ancora arrivato ma era prossimo ad abbattersi su Cagliari: il bombardamento avvenuto in quel giorno colpì diversi quartieri col crollo di numerosi fabbricati e con un bilancio che conta 12 vittime e il ferimento di altri 15 cittadini. Era evidente ormai che i bombardamenti si stavano per intensificare e fu una prima occasione per il grande esodo di sfollati verso i paesi dell’interno. Il 7 novembre fu la volta dei quartieri periferici con un bombardamento intenso ma senza conseguenze gravi se non quella di tagliare i principali punti di accesso e uscita dalla città. L’attacco alle aree più estreme dell’abitato sembrava voler appunto concentrare l’attenzione sull’impossibilità a sfuggire dal destino che di lì a poco avrebbe segnato Cagliari e i suoi abitanti. Il 9 e il 10 Novembre 1942 la città venne colpita nuovamente sia con bombe dirompenti che con bombe incendiarie.
Dopo due mesi di apparente quiete, interrotta dai soli voli sopra la città, nel Febbraio 1943 il tragico destino bellico di Cagliari si rivelò in una ripetuta serie di bombardamenti intensi. Il 7 Febbraio 1943 si svolse il primo intervento statunitense sui cieli di Cagliari ed Elmas, con l’entrata nel conflitto delle temibili fortezze volanti, i Boeing B-17 della USAAF (United States Army Air Force). Il bombardamento su Elmas fece le prime vittime civili dei bombardamenti statunitensi, le prime – purtroppo – tra le oltre duemila nell’area cagliaritana: due giovani masesi colpiti dagli spezzoni mentre si recavano al lavoro nei campi e un terzo cittadino masese.
Il primo massiccio bombardamento di quel disgraziato Febbraio si ebbe però, come si vuole commemorare oggi, il giorno 17. Nel primo pomeriggio due formazioni di 24 e 25 bombardieri statunitensi Mitchell, scortati da 26 Caccia decollarono dalla base di Cheatudun-Du-Rhumel (nella città di Chelghoum Laïd) e da quella di Aïn M’lila, entrambe in Algeria, per giungere intorno alle 14:05 sull’aeroporto di Elmas dove solo una delle due formazioni – a causa delle condizioni meteo sfavorevoli – sganciò parte del suo carico (qualche migliaio di spezzoni), per ripiegare su Cagliari dove la visibilità era maggiore. Quattro minuti dopo l’attacco a Elmas, furono sganciati gli ordigni sopra Cagliari lungo un percorso aereo che da Elmas condusse fino a Quartu Sant’Elena, anch’essa colpita dall’incursione.
I bombardieri giunsero sopra una Cagliari impreparata, nella quale non risuonarono gli allarmi aerei. Quel giorno, nonostante l’obiettivo principale fosse l’aeroporto, fu una grande occasione per destare il panico e destabilizzare psicologicamente la popolazione. Cagliari e Quartu Sant’Elena furono colpite senza che la popolazione venisse allertata dalle sirene, i bombardamenti durarono oltre un’ora e sulle due città furono sganciate sia bombe dirompenti che incendiarie. I danni maggiori furono provocati dall’uso delle cosiddette “Daisy Cutters“, le bombe in grado di esplodere prima del contatto col suolo e in grado quindi di rilasciare a raggiera il loro carico di spezzoni senza che l’impatto col suolo potesse smorzarne l’efficacia. Queste terribili armi furono una prima versione delle temibili BLU82-B utilizzate due decadi dopo nella guerra del Vietnam. Il loro effetto era tale da spazzar via un intero tratto boschivo prima ancora di aver toccato il suolo, da cui il nome, appunto, di “taglia-margherite”. All’effetto già di per sé altamente distruttivo delle Daisy Cutters si aggiunse il criminale mitragliamento sulla popolazione, come riferito dal bollettino n.5138 del 18 Febbraio 1943.
I danni su Cagliari furono ingenti per quanto riguarda gli edifici e le infrastrutture (furono colpiti il porto, la Piazza Yenne e il Corso Vittorio Emanuele II, la Stazione Centrale e quella delle Complementari, caserme ed edifici civili sul Viale Colombo, altri edifici civili soprattutto a Stampace), ma fu sconvolgente il bilancio delle vittime: 96 morti identificati, diverse centinaia di feriti e un numero imprecisato di ceste nelle quali furono raccolti i resti non riconoscibili di civili martoriati dagli spezzoni. L’episodio più drammatico avvenne all’ingresso della Cripta di Santa Restituta, adibita a rifugio antiaereo ma ormai stracolma: la popolazione si assiepò all’ingresso dove venne raggiunta da una raffica di spezzoni che provocò una vera e propria strage. I sopravvissuti raccontarono poi del sangue che giunse fino alla via Azuni. Tra le vittime di quell’infausto giorno vi fu anche il celebre pittore Tarquinio Sini, colpito dagli spezzoni mentre cercava di raggiungere la sua abitazione nella quale si trovavano la moglie e il figlioletto. Arrivati quasi contemporaneamente a Quartu Sant’Elena, altri bombardieri che non poterono colpire Elmas non avevano ancora esaurito il loro carico di distruzione e morte. Qui poterono colpire il centro abitato – privo di infrastrutture di primaria importanza bellica e quindi volutamente bombardato al solo scopo di esaurire il carico di ordigni, provocando danni agli edifici civili e 8 vittime accertate cui si aggiunsero alcune decine di feriti.
Il terzo obiettivo del 17 Febbraio era l’aeroporto militare di S’Acqua Cotta a Villacidro, ma anche qui le condizioni meteo avverse convinsero le formazioni aeree a non attaccare. La guerra però, come visto, non si svolge mai con le migliori intenzioni da nessuna delle parti belligeranti e così, non potendo colpire la base di Villacidro, i bombardieri alleati – al solo scopo di lasciare il proprio segno – ripiegarono sul piccolo paese di Gonnosfanadiga, con un bombardamento quanto mai brutale che fece una strage tra i civili adulti ma soprattutto tra i bambini che in quel momento, erano le 14:45, erano da poco rientrati dalle scuole o vi stavano facendo ritorno. La crudeltà del bombardamento su Gonnosfanadiga è dimostrata dal fatto che i bombardieri (uno squadrone di B25 Mitchell più i mitraglieri), non si limitarono al solo sgancio di bombe, ma perseguitarono la popolazione con l’abbassamento di quota e il mitragliamento diretto sull’ampio viale che divide in due il paese, il ben noto “rettifilo”.
Il bilancio per la sola Gonnosfanadiga fu di 99 vittime tra cui 27 bambini e oltre 300 feriti, sebbene altre fonti parlino di 118 vittime, su una popolazione che all’epoca era di appena 5000 abitanti. Tuttora, a 80 anni da quell’episodio, non è mai stata data una spiegazione né sono state rivolte scuse ufficiali alla cittadina del Medio Campidano. Un lungo reportage del bombardamento, tenuto dall’allora parroco Don Severino Tomasi è consultabile in un volume del 1997 (qui potete trovare le collocazioni del Diario di Don Tomasi nelle biblioteche sarde) e riporta l’intero orrore di quella giornata tuttora fortemente impressa nella memoria di Gonnosfanadiga. Altre testimonianze sono reperibili su YouTube.
Il 26 Febbraio una grossa formazione di bombardieri, oltre 60 fortezze volanti B17, offuscò nuovamente il cielo cagliaritano lasciando una scia di distruzione e sofferenza ancora più brutale. Il drammatico evento di quel giorno è forse alla base dell’erronea interpretazione che vuole Cagliari come diversivo per lo sbarco in Sicilia, in quanto il bombardamento che colpì la Città in quel giorno era originariamente destinato alle navi in navigazione poco a nord della Sicilia, ma le condizioni avverse convinsero la formazione a ripiegare sull’obiettivo secondario (i bombardieri alleati avevano sempre due obiettivi di riserva) ovvero il porto di Palermo. Anche qui, la scarsa visibilità fece cambiare i piani dei bombardieri che ripiegarono quindi sull’ultimo bersaglio programmato (il last resort target di tutti i piani d’attacco aereo alleati): Cagliari. Probabilmente un errore di traduzione degli ordini militari alleati del 26 Febbraio 1943, o comunque una loro erronea interpretazione nella produzione della puntata della trasmissione “Voyager” dedicata alla Sardegna, nella quale si parlò di Cagliari come espediente teso a distogliere l’attenzione dalla Sicilia (piuttosto che identificare Cagliari come obiettivo terzo di un singolo bombardamento) ha fatto nascere la voce che il dramma della nostra città sia stato solo questo: un tragico espediente piuttosto che una sanguinaria opera di distruzione ben programmata da anni.
Il 26 Febbraio 1943, i bombardieri abbandonarono i cieli siciliani e raggiunsero la città di Cagliari alle 15:38, quando le sirene suonavano già da oltre 7 minuti intimando alla popolazione di raggiungere i rifugi più vicini o ripararsi negli scantinati o in qualunque struttura o ambiente ritenuto idoneo alla protezione. Nonostante la celere risposta della contraerea, la formazione di B17 poté bombardare la città senza subire perdite forte dell’altezza di oltre 7000 metri da cui sganciare gli ordigni. Il bombardamento avvenne dai settori orientali, con le prime esplosioni sull’area compresa tra Piazza San Cosimo e Via XX Settembre, per proseguire sui quartieri centrali, colpendo contemporaneamente la Marina e Castello, per arrivare poi a Stampace e continuare fino a Sant’Avendrace, concludendo la propria opera devastatrice sull’aeroporto di Elmas.
Reduce da ormai 3 anni di bombardamenti, Cagliari era meno densamente abitata anche per via degli sfollamenti verso le località più interne dell’Isola, ciò nonostante l’intenso bombardamento che si svolse quel giorno provocò ben 73 vittime riconosciute e 286 feriti, lasciando inoltre una scia di distruzione in ogni quartiere della Città. Alle 73 vittime ufficiali si aggiunge inoltre una cinquantina di vittime civili non identificabili di cui vennero recuperati i resti mutilati o i cui corpi erano talmente martoriati da renderne impossibile il riconoscimento. Tra le infrastrutture maggiormente colpite vi fu la Stazione Centrale, obiettivo primario, ma le bombe colpirono anche la via Roma, la Piazzetta San Giacomo (dove tuttora è avvertibile il vuoto di guerra di fronte alla Chiesa), distrussero il Palazzo Pes di Villamarina e il Palazzo Serra entrambi nella via Fossario, il Teatro Civico fu ridotto a un cumulo di macerie inquietantemente avvolto dalla facciata rimasta integra; il Palazzo Civico fu colpito una prima volta per poi subire ulteriori danni nei bombardamenti seguenti, lo stesso avvenne per la Chiesa di Sant’Anna (le sequenze fotografiche tra il Febbraio e il Maggio del 1943 mostrano diversi gradi di distruzione soprattutto nella Cupola), inoltre furono colpiti il Bastione di Saint-Remy e il vicino Palazzo Valdes.
Ancora il giorno dopo, il 27 Febbraio, la città venne nuovamente attaccata, ma con una risposta più decisa da parte della contraerea, che limitò i danni e la portata dell’incursione.
Fu però due giorni dopo, il 28 Febbraio la data più infausta di quel tragico mese. In questa data, Cagliari era designata fin dall’inizio come obiettivo primario. Un ampio schieramento di fortezze volanti divise in due formazioni decollate anche stavolta dalle basi aeree di Cheatudun-Du-Rhumel (alle 11:00) e Aïn M’lila (11:20) giunse a Cagliari intorno alle 12:50-12:55. L’allarme scattò in ritardo, l’unico avviso fu infatti dato da alcuni colpi di cannone esplosi dalle postazioni di avvistamento all’arrivo della prima formazione; quindi, la popolazione venne colta di sorpresa ancora una volta proprio nei momenti di massimo affollamento: era infatti una domenica e parte degli abitanti usciva in quel momento dalle chiese – almeno da quelle ancora agibili – dove avevano appena assistito alla messa. Dieci minuti dopo anche la seconda formazione faceva la sua comparsa sopra Cagliari sorvolandola dall’entroterra e colpendo quanti in quel momento – convinti che l’allontanamento della prima formazione fosse il segno della fine del bombardamento – cominciavano ad uscire dai rifugi per prestare soccorso a quanti non poterono entrare e per verificare i danni.
Le bombe distrussero edifici già colpiti il 17 Febbraio, in particolare la Stazione Centrale, la via Roma, il porto e la Stazione delle Complementari. La Stazione centrale fu il teatro di una carneficina, qui venne infatti colpito un treno pronto alla partenza e carico di cittadini pronti allo sfollamento; un secondo treno fece in tempo a partire verso Decimomannu e poté quindi scampare alla strage. Una terza formazione aerea, arretrata rispetto alle due precedenti, arrivò in città alle 13:05 e colpì l’estremo orientale di Villanova, tra le Piazze Garibaldi e Galilei e le propaggini più centrali del quartiere di San Benedetto.
L’obiettivo principale del bombardamento era quindi il sistema infrastrutturale formato dal Porto e dalle due Stazioni, ma venne colpita l’intera Città, lasciando danni notevoli al patrimonio architettonico pubblico e privato: il bollettino del 1° Marzo 1943 parla infatti di danni enormi e oltre 200 vittime tra i civili, cui si aggiunsero diverse centinaia di feriti e un numero non precisato di resti non più identificabili di numerosi altri cittadini. Il bilancio complessivo dell’incursione fu però di 408 vittime riconosciute, considerando quindi anche quanti morirono nei giorni successivi per le ferite riportate, cui si aggiunsero 150 altri civili di cui non fu più possibile riconoscere l’identità. Fin dall’inizio delle ostilità la popolazione aveva cominciato a sfollare per rifugiarsi nei paesi dell’interno (comunque non del tutto sicuri come testimoniò la strage di Gonnosfanadiga), ma dopo il 28 Febbraio la città si svuotò quasi del tutto e iniziò quindi l’esodo più grande e drammatico.
Quello del 28 Febbraio è – come detto – uno dei due bombardamenti maggiormente ricordati, l’altro è quello del 13 Maggio (che, tra l’altro, si svolse in due fasi diverse della giornata) ma le devastazioni per Cagliari erano ben lungi dalla fine.
La città cercò di risollevarsi come poteva, e le infrastrutture portuali e aeroportuali tentarono di riprendere le attività ponendo in sicurezza le aree colpite e ripristinando – per quanto possibile – le piste e i depositi. Il veloce recupero del porto e degli aeroporti isolani – e in quelli di Cagliari nello specifico – portarono gli alleati a decretare nuove incursioni. Un mese dopo quindi, il 26 Marzo, una formazione di venticinque B17 scortati da ventiquattro bimotori P38 tornò sui cieli cagliaritani per causare ulteriori stragi e distruzioni ma non poté operare a causa della visibilità non favorevole; venne quindi intercettata dalla Caccia e dalla Contraerea e costretta al ritiro. Fu però una questione di pochi giorni prima del loro ritorno su Cagliari: per il 31 Marzo venne programmato un nuovo raid con obiettivo primario l’aeroporto di Monserrato, dal quale era partita la formazione di caccia che aveva intercettato i B17 dell’incursione precedente. Gli obiettivi secondari erano l’aeroporto di Decimomannu, quello di Villacidro e il porto di Cagliari unito all’aeroporto di Elmas, tutti obiettivi della fallita operazione di cinque giorni prima. Le fortezze volanti si divisero quindi in quattro formazioni che giunsero pressoché contemporaneamente su ognuno degli obiettivi.
Diciotto fortezze volanti si dispiegarono, alle 14:10, sopra l’aeroporto di Monserrato bombardando anche i quartieri civili vicini al campo di aviazione (molto più prossimo all’abitato di quanto accadeva negli altri centri finora colpiti). Oltre ai seri danni provocati alle abitazioni, si contarono 24 vittime e alcune decine di feriti. Alla stessa ora, la base aerea di Decimomannu venne attaccata ricevendo danni seri alle strutture e contando 8 vittime e 18 feriti tra gli avieri, quasi tutti tedeschi. A Villacidro giunsero ventiquattro B17 che bombardarono l’aeroporto distruggendo la polveriera e causando un numero non precisato di vittime. La quarta formazione composta da ventisette fortezze volanti più la scorta di bimotori, bombardava violentemente e devastava per l’ennesima ma non ultima volta Cagliari.
Le bombe destinate al solo porto, anche stavolta colpirono invece l’abitato e i suoi cittadini: i danni agli edifici furono ingenti (la Chiesa del Carmine non venne mai recuperata, tale fu la rovina), come pure il bilancio delle vittime che conta oltre 60 morti e altri 62 feriti.
Dieci giorni dopo, il 10 Aprile 1943, un nuovo bombardamento distrusse altri edifici di un centro storico ormai devastato e spettrale. In tale occasione non fu possibile stabilire il numero preciso di vittime, pur considerato notevole, poiché erano ancora in corso gli sgombri e il recupero dei resti delle vittime delle tre devastanti incursioni precedenti. Ancora il 25 Aprile il cagliaritano venne interessato da incursioni su gran parte dei centri abitati, con danni agli edifici ma fortunatamente nessuna vittima accertata, seppur si contarono 18 feriti. Due giorni dopo, la città fu nuovamente sottoposta ad una pioggia di bombe. Il bollettino successivo, del 28 Aprile 1943, parla di danni non gravi, ma ovviamente era difficile distinguere i danni di un nuovo bombardamento da quelli provocati dai precedenti…
Ed ecco che il destino di Cagliari mostrò nuovamente uno dei suoi eventi più tragici nella giornata del 13 Maggio 1943. L’incursione fu la più devastante per quanto riguarda l’impiego di ordigni e lo spiegamento di forze operanti nel raid e si deve all’esodo di sfollati il fatto che la popolazione non venisse decimata in modo ancor più drammatico rispetto a quanto avvenne. La popolazione residente era infatti ormai numericamente esigua per via dell’enorme numero di sfollati che lasciarono la città dopo il 28 Febbraio in aggiunta a quelli allontanatisi dal 1940 in poi (la popolazione al 1940 era di circa 120000 abitanti, dopo il 28 Febbraio non si contavano più di 10000 residenti). Fu per questo che il bilancio tra le vittime fu più lieve di quello dei bombardamenti di Febbraio. Ma l’inferno di fuoco che si abbatté su Cagliari fu ancora più terribile dei precedenti.
Cagliari, il 13 Maggio, era l’obiettivo primario delle incursioni, per le quali non si risparmiò sul numero di aerei messi a disposizione: un totale di ben quattrocento velivoli tra fortezze volanti B17, bimotori, caccia e aerei di scorta (in pratica l’intera flotta aerea disponibile nelle basi di Cheatudun-Du-Rhumel, Aïn M’lila, Youks Les-Bains, oltre ad altre basi anch’esse dislocate nel Nordafrica e ai velivoli a disposizione sulle portaerei) si misero in volo a più riprese nel corso della giornata con lo scopo di radere al suolo la Città, o almeno ciò che fino ad allora restava in piedi. In quella data infatti Cagliari venne bombardata non una, bensì due volte a partire dalle 13:35, ora in cui una prima formazione di 103 fortezze volanti B17 e 94 B25 Mitchell colpirono nuovamente la città, danneggiando o distruggendo i pochi edifici che ancora non erano stati colpiti. A seguire, arrivarono in città altre tre formazioni di Boeing B25 e B26 scortate da tre altre formazioni di bimotori P38 e P40. In meno di un’ora vennero sganciate sulla città oltre 450 tonnellate di esplosivo. La devastazione colpì il quartiere di San Benedetto (fino ad allora colpito solo nella sua area più prossima a Piazza Garibaldi nel bombardamento del 28 Febbraio); il Bastione di Saint-Remy, che aveva perso la torretta e le scalinate nei precedenti attacchi, fu nuovamente colpito e sventrato, danni seri si verificarono in ogni quartiere, da Bonaria – dove il cimitero venne nuovamente devastato e dove fu colpita la Basilica che resistette grazie alla sua struttura in cemento armato nonostante i danni fossero notevoli – fino a Sant’Avendrace.
Dopo le sette ondate di bombardamenti del pomeriggio, una nuova formazione – stavolta britannica – formata da ventitré bombardieri Wellington compì un’ulteriore opera di distruzione rilasciando bombe dirompenti (tra le quali diverse da quasi due tonnellate l’una) su tutto il centro abitato e attaccando i quartieri sudorientali della Città che erano stati in parte risparmiati: fu quindi la volta di San Bartolomeo e delle aree militari comprese tra questo borgo e l’area oggi occupata dalla Fiera.
Come si è detto, la città era ormai quasi deserta e il bilancio umano fu fortunatamente meno grave di quel che sarebbe potuto accadere se oltre 100000 cittadini non avessero lasciato la città: le vittime dichiarate nel bollettino del 14 Maggio furono infatti 10 e i feriti 56, anche se il bilancio delle vittime arrivò in seguito a oltre 50; i danni inflitti al patrimonio artistico e architettonico furono ingenti poiché nuovi edifici vennero colpiti dalle bombe e spazzati via dalla memoria visiva cittadina, mentre quelli già colpiti videro completata la loro distruzione. Uno dei simboli di questo ripetuto abbattersi sugli stessi edifici è, come detto, la cupola del transetto della Chiesa di Sant’Anna: ripresa fotograficamente in diverse date del 1943, è possibile vederla dapprima crollata solo in parte, successivamente messa in sicurezza con il taglio della porzione colpita, infine ridotta ad un minuscolo moncone in seguito ai bombardamenti del 13 Maggio.
I successivi bombardamenti, avendo gli Alleati ormai compreso che la città era pressoché deserta, si svolsero soprattutto sui centri limitrofi e ciò conferma la volontà di colpire la popolazione più che le infrastrutture ormai inservibili. Il bollettino del 20 Maggio 1943 annovera infatti diverse vittime nelle località del Campidano, e quello del 30 Maggio, pur non precisando un numero di vittime, riporta il bombardamento sui centri intorno a Cagliari. Il 31 Maggio però la città fu attaccata ancora. Al momento del bollettino del 1° Giugno i danni erano ancora in fase di accertamento, non facile da eseguire in una città ormai devastata in gran parte della sua estensione. Il 5 Giugno furono nuovamente le città della provincia a venire colpite, con diverse vittime e pochi danni. Il 30 Giugno subirono nuovamente attacchi numerose località in tutta l’Isola e il successivo bollettino del 1° Luglio 1943 riporta incendi e crolli nella nostra devastata Cagliari, che verrà bombardata ancora lo stesso 1° Luglio, mentre il 4 Luglio saranno le cittadine limitrofe a subire incursioni con danni fortunatamente lievi e con un bilancio di 2 morti e 3 feriti. Il 21 Luglio la città fu colpita nuovamente, mentre diverse località della provincia furono bombardate il 18 Agosto. Da quel momento non vennero registrate nuove incursioni nei bollettini, la città deserta era ormai pronta allo sbarco delle truppe americane avvenuto il 17 Settembre 1943, due mesi dopo il già avvenuto sbarco in Sicilia del 10 Luglio.
Una considerazione personale del sottoscritto vuole qui sottolineare non solo l’effettivo ruolo di Cagliari al centro dello scacchiere bellico, motivo per cui la devastazione venne programmata fin dall’inizio delle ostilità al fine di indebolire le infrastrutture e piegare la popolazione, invece della tesi che vuole i bombardamenti su Cagliari come uno specchietto per le allodole nella pianificazione più grande dello sbarco in Sicilia, ma va evidenziata anche la gravità del fatto che parte dei divulgatori culturali cagliaritani (inutile fare i nomi, ma si sa chi ha le idee poco chiare riguardo le vicende belliche cittadine nonostante pretenda voce in capitolo) continuino a negare l’avvenuto sbarco di truppe americane – che pur arrivarono a Cagliari, come dimostrano numerose immagini dei marinai nella via Roma, nel Duomo e nelle aree operative occupate – poiché si continua a considerare come “sbarchi” i soli eventi più cruenti del Secondo conflitto mondiale, come quello in Normandia e quello in Sicilia, ma è innegabile che le truppe americane raggiunsero anche la Sardegna, Cagliari in particolare, tramite mezzi navali. E la discesa da un mezzo navale, dizionario alla mano, si chiama – appunto – sbarco… Se poi ci si aspettava che nel ’44 Tom Hanks venisse a Cagliari a salvare il Soldato Ryan, beh… è consigliabile approfondire gli eventi leggendo i giornali dell’epoca e consultando i bollettini di guerra piuttosto che visitando le sale cinematografiche.
Di seguito trovate un video con tutti i bollettini di guerra riguardanti Cagliari e le città dei dintorni.