Il post di oggi, che segna la ripresa delle attività del blog dopo la lunga parentesi estiva, è dedicato agli elementi che maggiormente hanno caratterizzato il paesaggio urbano nell’epoca industriale e che tuttora si impongono come punto di riferimento visivo nelle aree che un tempo costituivano la periferia di Cagliari (ma lo stesso vale per ogni altra città al mondo), soprattutto nelle strade di collegamento coi vari centri dell’hinterland. Si tratta delle Ciminiere, gran parte delle quali oggi sopravvive solo nella memoria di chi le ha conosciute in funzione o nelle fotografie, ma non mancano strutture che ancora svettano come notevoli esempi di archeologia industriale.

Panorama verso Pirri, anni ’20. Si distinguono le Ciminiere del Birrificio Ichnusa (in bianco), della Distilleria Zedda Piras (in azzurro) e del Padiglione Lavanderia di Villa Clara (in beige)

Le ciminiere vennero dapprincipio realizzate essenzialmente in mattoni ma col tempo il materiale elettivo per la loro costruzione divenne il calcestruzzo. Oggi non mancano anche esempi di ciminiere realizzate in metallo.
Fondamentalmente possono essere divise in quattro categorie in base alla loro forma – categorie che, puntualmente, possono essere riscontrate nelle strutture del Cagliaritano – ovvero coniche (con un forte sviluppo verticale che ne approssima la forma al cilindro), ad obelisco/piramidali (anch’esse fortemente slanciate), a canna quadrata e cilindriche. La diversa funzione per le quali venivano realizzate poteva poi determinare una forma ibrida, a seconda del tipo di fornace che ne costituiva il basamento.
Ognuno dei quattro tipi di ciminiera era quasi sempre caratterizzato da un elemento di rinforzo nella parte superiore (la più fragile dal punto di vista costruttivo e quella soggetta al maggiore sbalzo termico per via del calore del fumo che ne fuoriusciva e della temperatura esterna, soprattutto nel periodo invernale) e le ciminiere di tipo conico prendevano così una forma particolare che le faceva somigliare a dei cannoni posti in verticale; questo perché anche i cannoni venivano realizzati con un forte ispessimento nella parte terminale per evitare spaccature e la conseguente inutilizzabilità.

Ospedale San Giovanni di Dio, dettaglio del coronamento della ciminiera

Prima di descrivere le ciminiere ancora esistenti e ben visibili, è bene impiegare parte del post per descrivere quelle che oggi sono scomparse e, in qualche caso, cercare di ricostruire la storia degli impianti produttivi ai quali erano legate.
Tra le più antiche ciminiere, sicuramente le prime a comparire nelle fotografie di Cagliari in quanto ben immortalate in una foto di Giuseppe Luigi Cocco del 1870, furono quelle della Fonderia Doglio, che si trovava nell’area che oggi costituisce l’angolo meridionale tra Via La Maddalena e il Viale Trieste. Parte dell’edificio esiste ancora nel suddetto angolo, ma nell’ampio spazio aperto che collegava le due ali dell’edificio e nel quale svettavano le ciminiere, venne realizzato un moderno edificio multipiano nel secondo dopoguerra. Le due ciminiere, come si vede dalla foto sottostante sebbene quella più a destra sia quasi del tutto nascosta dall’edificio, avevano una forma tronco-piramidale con un elemento di rinforzo che assumeva l’aspetto di una modanatura su dentelli. Si trattava di elementi che ancora non raggiungevano le altezze degli esemplari che vennero realizzati negli anni seguenti, ma erano comunque in grado di imporsi nel paesaggio urbano ancora periferico caratterizzato da bassi edifici. La più alta delle due costituiva il camino di fuoriuscita dei fumi derivanti dalla lavorazione della ghisa, mentre l’altra faceva parte dell’impianto per la lavorazione del bronzo.

Lo Stabilimento Metallurgico Doglio, visto dalla Piazza del Carmine. Al centro si notano le due ciminiere.

Il Gazogeno e la sua Ciminiera

Un’altra tra le più antiche Ciminiere che hanno caratterizzato l’aspetto di Cagliari dalla seconda metà dell’800 fu sicuramente quella del Gazogeno, struttura oggi completamente scomparsa che sorgeva nel cosiddetto Campu de Su Rei o Campo di Marte e che corrisponde all’attuale Piazzale Mattei, tra le vie Sonnino e Barone Rossi, dove si trova oggi l’edificio dei Servizi Comunali. La struttura, necessaria alla fornitura del gas per l’illuminazione pubblica, fu progettata dall’ingegnere I.M. Kirkham, sotto la direzione dei lavori dell’Ingegnere Sophus Simmelkjoer (ricordato nel precedente post sui Busti Commemorativi). L’inaugurazione del servizio, affidato tramite appalto alla società inglese “Gas & Walter Company Limited” fino al 1910 (quando venne rilevato dal Comune), avvenne il 23 Febbraio 1868.
La Ciminiera del Gazogeno era una struttura alta ma non troppo slanciata, poggiante su un alto basamento parallelepipedo con cornici aggettanti; era di forma cilindrica e con un ampio colletto di rinforzo quadrato che formava un grande capitello dorico sulla sommità. La ciminiera prendeva quindi – non è dato sapere se volutamente o meno, ma l’intenzionalità è molto probabile – l’aspetto di una monumentale Colonna Traiana a celebrazione del progresso. Non esistono foto pubbliche, ad esclusione di una ripresa fatta durante una nevicata negli anni ’20, che inquadrino esclusivamente la ciminiera ma è possibile osservarne, seppur da lontano, le fattezze in diverse immagini d’epoca.

Due vedute verso Bonaria nelle quali si può riconoscere la Ciminiera del Gazogeno

Una foto della seconda metà dell’800 nella quale si riconoscono le Ciminiere della Manifattura Tabacchi (a sx) e del Gazogeno (a dx)

Tra le ciminiere scomparse, sicuramente la più iconica e conosciuta di tutte – e forse anche la più rimpianta sebbene non si trattasse di una struttura dal notevole impianto architettonico come poteva essere quella del Gazogeno – fu quella dell’antico Birrificio Ichnusa, sorto nel 1912 all’incrocio tra le attuali Via Bacaredda e Via Marche grazie all’iniziativa dell’imprenditore Giovanni Giorgetti e rilevato l’anno successivo dall’imprenditore sardo Amsicora Capra (il cui nome ricorrerà ancora nel presente post per altre due ciminiere legate ai suoi impianti produttivi). L’ex birrificio era una struttura dal notevole impatto architettonico, con un aspetto marcatamente industriale al quale però non era negata una certa eleganza grazie alla regolarità della costruzione, alle ampie vetrate e alle paraste che scandivano gli essenziali prospetti. La Ciminiera si trovava nell’area che oggi corrisponde alla Piazza Salento, sulla quale avrebbe potuto continuare a svettare tuttora se non fosse stata demolita insieme alla struttura nel 1975, in seguito al definitivo trasferimento nell’impianto realizzato ad Assemini dodici anni prima. La Ciminiera era piuttosto alta e di foggia semplice, proprio come il resto del birrificio, di forma conica e con un semplice anello di rinforzo sulla sommità privo di rilevanti elementi decorativi. Tuttavia la sua mole notevole bastava a darle un aspetto maestoso e monumentale e oggi non avrebbe mancato di fare la sua bella figura tra gli edifici che ne hanno preso il posto.

Il Birrificio Ichnusa in due immagini d’epoca.

Una caratteristica foto dove si distingue il basamento della ciminiera della Semoleria

Al lato opposto della Città, nella parte bassa del quartiere Stampace e più precisamente in Viale La Playa, sorgeva un’altra imponente ciminiera, legata anch’essa ad uno dei più importanti poli produttivi della Città: l’ex Semoleria SEM (acronimo di Società Esercizio Molini). La Ciminiera aveva una forma conica poggiante su un basamento alto quasi quanto un piano intero della Semoleria, ed era caratterizzata dal coronamento svasato scandito da archetti e semi-colonnine realizzate con la sporgenza dei mattoni. La Ciminiera fu il primo elemento della Semoleria a scomparire, e venne demolita negli anni ’60, mentre un’altra parte della struttura fu demolita soltanto nel 2005 con una serie di cariche esplosive controllate. Dell’impianto si salvarono la struttura direzionale, il bell’arco di ingresso recante la data di costruzione (1905) e – fortunatamente – l’alto silos dalle caratteristiche architettoniche ancora legate allo stile liberty.

La Semoleria S.E.M. con la sua alta ciminiera in una foto degli anni ’20

Dalla fine dell’Ottocento, i quartieri di Stampace e di Sant’Avendrace furono quelli che conobbero una maggiore espansione anche grazie all’edificazione di nuovi impianti produttivi e industriali, ciò portò ovviamente ad un aumento del numero di ciminiere svettanti nei due quartieri.
A breve distanza dalla Chiesa del Carmine, ben visibili per lungo tempo dalla Piazza omonima, si trovavano due alte ciminiere legate a dei molini a vapore, delle quali la più antica era quella del Molino e Pastificio Balletto. Il molino sorgeva nella Via Maddalena, dove si era trasferito dall’impianto originario del quartiere Marina. Al molino verrà affiancato, nel 1914, il Pastificio. La sede stampacina venne ulteriormente ingrandita nel 1925 ma di lì a poco, nel 1943, verrà completamente distrutta dai bombardamenti alleati, e con essa la ciminiera.
L’altra ciminiera che sorgeva vicino alla Chiesa del Carmine e precisamente nella via Caprera, dove oggi si trova il palazzo sede dell’Ersat, era quella del Molino-Pastificio Faggioli che entrò in funzione nel 1901 e rimase attivo in quella sede fino al 1964, anno in cui la sede venne trasferita nel viale Elmas, e al suo posto venne realizzato il succitato edificio dell’Ersat.

Piazza del Carmine agli inizi del ‘900. Si distinguono, sulla destra, le Ciminiere del Molino Faggioli e del Molino Balletto

La Villa di Tigellio e, sulla sinistra, la Ciminiera del Molino Merello in una foto d’epoca

Uno dei più importanti molini, la cui ciminiera era maggiormente visibile poiché all’epoca dell’impianto l’area in cui sorgeva era ancora scarsamente edificata, fu il Molino Merello, all’inizio del Viale Trento, proprio di fianco al Palazzo Merello che di recente è stato restaurato e riportato allo splendore originario dell’epoca liberty. Il Molino Merello, fondato da Luigi Merello, comincia la sua attività nel 1879, lavorando sia il grano duro per i pastifici sia il grano tenero per il quale ricorrerà anche alle importazioni dall’estero, producendo un quantitativo di merce tale da dover essere esportata nel resto d’Italia.
L’impianto continuò la sua attività per 35 anni fino a quando, nel 1914, lo scoppio della Prima Guerra Mondiale provocò una crisi che costrinse diverse attività industriali alla chiusura. Parte dell’attività del Molino Merello confluì negli impianti della Semoleria SEM, della quale Luigi Merello era uno dei principali azionisti fin dalla fondazione. La Ciminiera del Molino Merello era di forma conica, priva di un coronamento sommitale e si presentava con un aspetto piuttosto semplice ma raggiungeva un’altezza notevole, amplificata visivamente dall’assenza di alti edifici nella zona (il Campanile della vicina chiesa dell’Annunziata verrà eretto solo nel 1913, quasi alla vigilia della chiusura dell’impianto molitorio). Nell’area un tempo occupata dal molino verrà realizzato tra il 1944 e il 1947 il Teatro Massimo, costruito per supplire alla distruzione dei due principali teatri cittadini, il Politeama Regina Margherita e il Teatro Civico, il primo devastato da un incendio nel 1942, il secondo distrutto dalle bombe alleate del 1943.

Il Molino Merello con la sua Ciminiera

Il pastificio Lotti e Magrini dopo i bombardamenti alleati. Sulla sx, la ciminiera

Poco distante dal Molino Merello, nell’area oggi occupata dal Palazzo della Regione, operava il Pastificio Lotti e Magrini, importante e storico impianto scomparso in seguito ai bombardamenti del 1943 che lo distrussero completamente. I bombardamenti non distrussero però la relativa ciminiera, di forma conica e aspetto assai semplice (molto simile, peraltro, a quella del Birrificio Ichnusa), che compare ancora in piedi nelle foto di guerra, accanto al distrutto pastificio. La ciminiera sparirà insieme alle rovine del pastificio nell’immediato dopoguerra per far posto, come si è detto, al Palazzo della Regione.
Non lontano dal Pastificio Lotti e Magrini, nella via San Paolo, venne impiantata sul finire degli anni ’20 la S.C.I.C (Società Ceramica Industriale Cagliari), un moderno polo per la produzione industriale di ceramiche, aristiche e non, la cui direzione venne affidata al ceramista bosano Federico Melis. La manifattura però non ebbe lunga vita, poiché entrò in crisi già negli anni ’30 e chiuse definitivamente i battenti sul finire del decennio, poco prima della seconda guerra mondiale. L’impianto era dotato di due ciminiere: una più alta e cilindrica inglobata nel corpo di fabbrica principale, costruita in tubi di ghisa, e una più ampia e imponente, con forma ad obelisco alla quale si sovrapponeva il coronamento a canna quadrata. Al suo posto sorgono, oggi, i moderni uffici di Sardegna Territorio e dell’Assessorato alla Pubblica Istruzione.

La S.C.I.C. (Società Ceramica Industriale Cagliari) con le sue due ciminiere in una foto degli anni ’40. Sullo sfondo, a sx, il Pastificio Lotti e Magrini

La Cementeria negli anni ’20 cone le sue prime ciminiere

Sempre nell’area di Sant’Avendrace, in Via Santa Gilla, non lontano dal Pastificio Lotti e Magrini e dalla S.C.I.C., nel 1924 venne installata la Cementeria. Il suo primo impianto, destinato a venire ingrandito notevolmente nei decenni successivi, contava due ciminiere, delle quali una più piccola in metallo e una alta e imponente in cemento, con rinforzo sommitale ad anelli. Entrambe le ciminiere saranno destinate a venire sostituite da due modelli più recenti e più alti, di forma cilindrica e realizzati esclusivamente in cemento, i quali costituiranno due imponenti punti di riferimento visivo all’inizio del Borgo Sant’Avendrace fino alla loro demolizione all’inizio degli anni ’70. Alle due ciminiere più recenti ne verranno associate altre due più piccole e meno visibili dal lato del Viale Sant’Avendrace, ma ben visibili dalla Laguna di Santa Gilla. La Cementeria verrà definitivamente demolita nel 2004, e al suo posto sorgeranno i moderni edifici che caratterizzano oggi la Piazza Unione Sarda e l’imbocco della rinnovata via Santa Gilla. Le immagini d’epoca non sono le sole a documentare l’impatto visivo della Cementeria, e delle sue ciminiere, sul quartiere di Sant’Avendrace, ma anche il cinema le ha volontariamente immortalate: una scena del film “La Calda Vita” (diretto da Florestano Vancini nel 1963), girata nella via Falzarego, vede le due imponenti ciminiere della Cementeria ancora in piena attività fare da sfondo ad una sequenza di primi piani di una giovanissima Catherine Spaak.

Tre immagini della Cementeria con le sue vistose ciminiere

Un fotogramma dal film “La Calda Vita”. Sullo sfondo, le Ciminiere della Cementeria

La Manifattura Tabacchi con la sua ciminiera

Il percorso tra le Ciminiere scomparse ci riporta ora nel quartiere Villanova e più precisamente nell’ex Manifattura Tabacchi.
La Ciminiera della Manifattura Tabacchi non può definirsi esattamente scomparsa come le altre bensì, come vedremo in seguito, sostituita da un modello più funzionale e più resistente. La Manifattura Tabacchi di Cagliari ha una storia molto antica che comincia con la fondazione del Convento di Gesus, o di Nostra Signora del Gesù, da parte dei frati Francescani nel 1478. Qui visse e operò anche San Salvatore Da Horta fino alla sua morte nel 1565. L’intero convento, dopo diverse vicissitudini nel corso dei secoli, venne trasformato in deposito dei tabacchi lavorati a Sassari sotto il dominio piemontese, nel 1765. Nel 1835 il complesso subì una trasformazione da deposito a Manifattura vera e propria. Nel 1868 la gestione venne affidata alla Società Regia, che per prima utilizzò la Manifattura per produrre i sigari toscani, produzione che ebbe ampio consenso e generò introiti notevoli per l’epoca. Dal 1884 l’impianto rientrò nelle mani dello Stato, che dal 1900 diede luogo a nuovi lavori di ampliamento e adeguamento delle strutture. Nel 1906 la Manifattura fu al centro dei tumulti provocati dal carovita, derivante anche dall’imposizione di esose tasse come la famosa “quarta regia”, e proprio dalla manifattura partì la Rivolta delle Sigaraie. Tre di loro, in rappresentanza delle colleghe, irruppero nel Palazzo di Città durante una riunione del Consiglio Comunale e chiesero, ma soprattutto ottennero, di essere ricevute dal Sindaco Ottone Bacaredda, riferendogli le condizioni dei cittadini e il fatto che persino le triglie erano diventati alimenti troppo costosi. Da qui nacque l’errata interpretazione di una frase del sindaco – frase in ogni caso poco gradevole fin dall’inizio – il quale rispose che lui, quando le triglie diventavano troppo care, salutava il pescivendolo e andava a comprare del baccalà. La frase venne riportata dalla sigaraia Bonaria Cortis alla folla che partecipò al raduno del 13 Maggio 1906 al Bastione, e in quell’occasione si riferì che il sindaco disse che “se il popolo non poteva permettersi le triglie doveva accontentarsi del baccalà”, un po’ come avvenne circa 120 anni prima per Maria Antonietta e le brioches… I tumulti del 13-14-15 Maggio furono furono assai cruenti e sfociarono nel sangue, con l’uccisione di un manovale quindicenne, Giovanni Casula, e un fruttivendolo diciannovenne. Rimase gravemente ferito anche un calzolaio di appena dodici anni. Ciò condusse, il 16 Maggio, alla dimissione della Giunta Comunale e al processo dell’anno successivo che portò a 110 condanne e 66 assoluzioni. La Manifattura fu quindi un polo produttivo tra i più importanti non solo nel panorama economico di Cagliari e della Sardegna, ma si trovò al centro dei principali avvenimenti politici dell’inizio del XX secolo. La crisi produttiva ed economica arrivò sul finire del secolo, negli anni ’90, e portò alla chiusura definitiva nel 2001. Oggi, dopo una lunga serie di controversie, la Manifattura si prepara a diventare la Fabbrica della Creatività.

Due vedute della Darsena. In evidenza, la Ciminiera della Manifattura Tabacchi

Tornando alla sua ciminiera, il primo impianto era a forma di obelisco con canna quadrata, realizzato quasi interamente in mattoni e con un elemento di rinforzo sommitale ad archetti ciechi, sopra il quale era installato il parafulmine. In seguito questa struttura, come vedremo, verrà sostituita dall’attuale ciminiera latero-cementizia con rinforzi trasversali in acciaio che, sebbene priva del fascino dell’antico, si rivelò più idonea e più sicura per le mutate esigenze produttive del secondo dopoguerra. La Ciminiera non venne mai inquadrata come soggetto principale nelle fotografie che la ritraggono, ma è ben visibile in alcune vedute del Viale Regina Margherita e del complesso manifatturiero.

Una veduta di inizio ‘900 del Viale Regina Margherita. Si distingue, verso destra, la Ciminiera della Manifattura Tabacchi

La Centrale Elettrica della SES in Piazza Deffenu, alla fine degli anni ’10.

Duecento metri a sud della Manifattura Tabacchi, nell’attuale Piazza Deffenu, sorgevano – fino ai bombardamenti del 1943 – altre due ciminiere, stavolta dei fumaioli metallici facenti parte della Centrale Elettrica cittadina impiantata nel 1911 subito dopo la fondazione della Società Elettrica Sarda (già ricordata in un precedente articolo dedicato alle cabine elettriche cittadine). La centrale elettrica rimase operativa fino ai bombardamenti alleati, e in seguito alla devastazione che ne conseguì si decise di costruire al suo posto l’alto Palazzo dell’Enel. Nel 1924 fu sempre la Società Elettrica Sarda a realizzare una nuova centrale elettrica, stavolta nell’area di Santa Gilla. Anche questo nuovo impianto era caratterizzato da una ciminiera metallica, ben visibile in alcune vedute d’epoca, destinata però a venire sostituita nel secondo dopoguerra, con l’adeguamento e l’ingrandimento della centrale, da due alte ciminiere metalliche che ora risentono dello stato di abbandono dell’impianto ma che ancora si distinguono per la loro struttura metallica colorata in azzurro nella parte bassa e a righe bianche e rosse nella parte superiore.

La Centrale Elettrica della SES di Santa Gilla, in una foto degli anni ’30. Si nota la sua prima ciminiera.

L’ultima ciminiera scomparsa, anche in ordine cronologico, fu l’imponente ciminiera della Vinalcool, legata anch’essa all’iniziativa dell’imprenditore Amsicora Capra (e non sarà nemmeno l’ultima tra quelle di cui tratterà il presente post). La storia della Vinalcool comincia nel 1911 con la fusione di diverse aziende vinicole e distillerie che si raggrupparono in Società per far fronte alla crisi nella quale era entrata l’attività vitivinicola a causa della fillossera, che distrusse o danneggiò buona parte dei vigneti isolani. Ben presto l’attività riunita delle diverse cantine e distillerie fece decollare l’impresa della Vinalcool che in breve tempo diventò una delle più potenti aziende del settore in tutto il panorama italiano. Per far fronte alla necessità di collegare le diverse cantine e distillerie (divise tra Pirri, Quartu, Selargius e Monserrato, alcune delle quali ricorreranno in seguito nel nostro post) con il porto di Cagliari la Vinalcool promosse la realizzazione della Società Tramvie del Campidano, uno dei nuclei originari di quella che diventerà la rete tranviaria di Cagliari (e della quale si è parlato in precedenza in un post dedicato ai rosoni del Tram).

Pirri vista dal Dirigibile Ausonia nel 1921. In evidenza, lo stabilimento della Vinalcool con la sua alta ciminiera.

La demolizione della Ciminiera della Vinalcool, il 13 Gennaio 1989.

La sede della Vinalcool sorgeva a Pirri, in una struttura cantiniera preesistente sita nell’attuale via Riva Villasanta e che venne ingrandita in seguito alla fondazione della società. La struttura rimase operativa per diversi decenni fino alla definitiva chiusura a fine anni ’80 che condurrà alla demolizione per far posto ad una nuova serie di fabbricati residenziali. La Ciminiera venne demolita il 13 Gennaio 1989, come ben documentato dall’articolo e dalle fotografie comparse sull’Unione Sarda del 14 Gennaio. L’articolo e le foto descrivono completamente la distruzione dell’antica struttura che era stata realizzata in forma di obelisco con l’uso del mattone, su un alto basamento tronco-piramidale costruito in pietra calcarea disposta con la tecnica dell’opus incertum. A raccordare il basamento con la slanciata canna fumaria provvedeva un cornicione su dentelli realizzati mediante la sporgenza dei mattoni. La ciminiera terminava con un ispessimento sommitale di rinforzo senza però alcuna soluzione di continuità con la struttura sottostante. L’area occupata dalla Ciminiera non era poi così vasta e la sua demolizione, avvenuta senza alcun preavviso alla cittadinanza, mosse non poche polemiche. Oggi avrebbe rappresentato un magnifico e imponente esempio di archeologia industriale, notevole anche per l’altezza raggiunta. Tra le voci che circolarono in seguito alla demolizione ci fu anche quella del crollo per un errore tecnico, ma la documentazione fotografica riportata anche nell’articolo dell’Unione Sarda sembra smentire definitivamente la teoria della demolizione casuale, come conferma il fatto che sul posto fosse presente un fotografo a documentare l’evento.

Lo stabilimento della Vinalcool durante le prime demolizioni. Ancora in piedi, sulla destra, l’imponente Ciminiera

La Ciminiera dell’Ospedale Civile

Fin qui si è parlato delle strutture scomparse; la descrizione delle ciminiere ancora esistenti ci porta alla considerazione di un dato del quale finora non si è fatto cenno, ovvero l’impiego di ciminiere nelle strutture ospedaliere o di ricerca nelle quali era necessario lo smaltimento dei materiali sanitari (inclusi anche i tessuti delle lenzuola o dei cuscini non più utilizzabili) o chimici. In questo ambito, quella inserita nella struttura più antica è sicuramente la ciminiera dell’Ospedale San Giovanni di Dio. Il monumentale edificio dell’Ospedale Civile venne progettato nel 1841 dall’architetto Gaetano Cima, il più insigne esponente dell’architettura neoclassica in Sardegna. La prima pietra fu posta nel 1844 e già dopo quattro anni i primi bracci della costruzione a raggiera furono operativi. L’edificio venne completato negli anni a seguire, ma la Ciminiera fu uno degli ultimi elementi a completare la struttura. Nelle fotografie della fine dell’800 è ancora assente, e il suo progetto risale agli inizi del ‘900. Si tratta di una ciminiera in mattoni di forma conica, isolata all’interno di uno dei quattro cortili a losanga dell’Ospedale, e poggiante su un basamento cilindrico nel quale è ben visibile l’arco della fornace. Completa la ciminiera il classico elemento sommitale di forma strombata, ad archetti, che dona alla struttura l’aspetto di un cannone allungato. Il modello di riferimento nella progettazione della ciminiera dell’Ospedale Civile, come quelle di altri esemplari del cagliaritano e del resto d’Italia, è rappresentato dalle ciminiere del cotonificio di Crespi d’Adda, dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO e fonte di ispirazione per gran parte degli stabilimenti industriali italiani sorti a partire dalla seconda metà dell’800. La Ciminiera dell’Ospedale Civile, ora non più in funzione, è integra in ogni elemento e in perfetto stato di conservazione, seppure il cortile in cui sorge oggi è visivamente rovinato dalle invasive tubature in acciaio che provvedono alle varie necessità funzionali dell’Ospedale.

La Ciminiera dell’Ospedale Civile e il cortile in cui sorge.

La Ciminiera di Villa Clara

Analoga alla ciminiera dell’Ospedale Civile, sia come struttura sia per le funzioni, è la ciminiera dell’ex Ospedale Psichiatrico Villa Clara, ora Cittadella della Salute. Narrare le vicende del presidio psichiatrico di Villa Clara non è facile perché è ben impressa nel ricordo dei cagliaritani la sua storia di sofferenze, disagi e casi di discriminazione. Il primo nucleo della clinica psichiatrica venne ospitato dal 1859 nel già citato Ospedale San Giovanni di Dio, ma nel 1892 venne progettata la nuova struttura realizzata sul versante meridionale del colle di Monte Claro, dove in origine sorgevano gli edifici contadini della tenuta agricola della vera e propria Villa Clara, l’edificio sulla cima del colle che oggi ospita la Biblioteca Provinciale Emilio Lussu e che, in seguito all’insediamento del presidio psichiatrico fu destinata a casa del direttore. L’Ospedale Psichiatrico venne progettato come un insieme di padiglioni raccordati da vialetti; ogni padiglione era destinato a specifiche esigenze cliniche e, sebbene vi fossero persone realmente bisognose di cure psichiatriche ben precise, nel manicomio vennero ospitati anche omosessuali, alcolizzati, bambini abbandonati o indesiderati o deformi. Le condizioni di vita erano aggravate dal fatto che l’ospedale era stato progettato per 500 pazienti, ma presto arrivò ad ospitarne fino a 1800 per volta e il sovraffollamento inaspriva le già precarie condizioni di chi vi veniva ospitato.
La legge Basaglia del 1978 impose la chiusura dei manicomi, ma l’Ospedale Psichiatrico di Villa Clara rimase attivo ancora per un ventennio, fino alla chiusura definitiva nel 1998.

Il Padiglione Lavanderia di Villa Clara, con la sua ciminiera, negli anni ’20. Sullo sfondo a dx la Ciminiera della Distilleria Zedda Piras e in lontananza a sx, appena visibile, la ciminiera della Vinalcool

Uno dei padiglioni più periferici, sul versante orientale del colle, era destinato ai servizi di pulizia e alla Lavanderia. Proprio per il bisogno continuo di smaltire rifiuti tramite incenerimento venne realizzata l’alta ciminiera che ancora oggi è ben visibile soprattutto dalla via dei Carroz. Proprio come la ciminiera dell’Ospedale Civile, si tratta di una struttura conica con elemento di rinforzo sulla sommità caratterizzato da un motivo decorativo ad archetti sul quale si innesta un cornicione a dentelli. Un analogo cornicione a dentelli separa la canna fumaria dal basamento cilindrico nel quale è ancor oggi ben visibile l’arco della fornace.

Ciminiera del Padiglione Lavanderia di Villa Clara

La Ciminiera degli Istituti Biologici

Sempre in ambito clinico e di ricerca scientifica ma più recente nel tempo, è la ciminiera del Palazzo degli Istituti Biologici, progettato nel 1926 in uno stile storicista e sito nella parte alta della Via Porcell. Si tratta di una ciminiera in cemento, di forma cilindrica con un anello di rinforzo nella parte terminale e innestata su un ampio plinto latero-cementizio di forma prismatica. Nel plinto non vi è alcuna apertura destinata alla fornace in quanto la camera di combustione si trova al di sotto del piano di calpestio del cortile in cui sorge la ciminiera.
Poco distante dal Palazzo degli Istituti Biologici, e seguendone gli stessi canoni stilistici di matrice storicista, venne realizzato negli anni ’30 il Palazzo delle Scienze, il cui ingresso su colonne bugnate è ispirato al pianterreno del Palazzo di Giustizia di Roma. L’edificio, insieme al succitato Palazzo degli Istituti Biologici, fa parte di un polo universitario completato dalla Clinica Pediatrica e dall’Istituto di Anatomia Normale, al quale si aggiunsero nel dopoguerra la Clinica Macciotta e la Clinica Aresu. La ciminiera del Palazzo delle Scienze è ospitata in uno dei tre cortili attorno al quale si sviluppa l’edificio e più precisamente nel cortile orientale. Si tratta di una semplice struttura a canna quadrata, realizzata in materiale latero-cementizio, con vano di combustione anche in questo caso sotterraneo e dotata di un doppio elemento di rinforzo in metallo nella parte sommitale. Seppur non si tratti di una struttura di grande rilievo architettonico, specie se confrontata con la monumentale mole dell’edificio nel quale è ospitata, la ciminiera del Palazzo delle Scienze è comunque marcatamente visibile dal Viale Buoncammino e dalla Via Anfiteatro.

Il fianco laterale del Palazzo degli Istituti Biologici e la Ciminiera

La Ciminiera del Palazzo delle Scienze

La facciata posteriore dell’ex Clinica Macciotta con le sue ciminiere

A breve distanza dai due edifici di cui sopra, all’angolo tra la Via Ospedale e la Via Porcell sorge la Clinica Macciotta. L’alto edificio è caratterizzato da un sobrio stile razionalista, nel quale originariamente gli impianti di servizio – inclusa la ciminiera –  realizzati sulla parte retrostante, che per la sua collocazione è osservabile da diversi punti panoramici di Castello del Viale Buoncammino, erano ben nascosti alla vista in un’ottica di ordine e decoro. La Ciminiera originaria, a canna quadra, difatti si trova all’interno del corpo centrale dell’edificio ed affiora solo nel lastrico sommitale dove è caratterizzata dagli elementi di rinforzo angolari in metallo. Con le crescenti esigenze della Clinica, crebbero anche gli impianti di servizio e alla prima ciminiera ne vennero affiancate altre due in metallo visivamente impattanti, ancorate alla facciata posteriore.
Sempre nell’ambito degli edifici destinati agli studi, è da citare anche la ciminiera della Facoltà di Ingegneria, costruita sul versante di via Is Maglias del complesso di edifici. Si tratta di una semplice struttura a canna quadrata, piuttosto alta e realizzata in cemento con vistosi elementi angolari di rinforzo in metallo e caratterizzata dal cappello sommitale realizzato interamente in metallo.

La Ciminiera della Facoltà di Ingeneria

La Ciminiera della Facoltà di Ingeneria

La ciminiera dell’ex Distilleria Zedda Piras

Riportando il discorso sugli impianti produttivi, quella dell’ex Distilleria Zedda Piras è tra le ciminiere ancora esistenti una delle più care all’intera città, ed è di recente tornata sotto i riflettori poiché i vuoti urbani che sorgono intorno all’impianto cui è legata sono stati interessati da lavori di riqualificazione e dalla costruzione di nuovi edifici e di una piazza privata destinata però anche alla fruizione pubblica e si temette, dunque, una nuova demolizione di un luogo simbolo dell’attività industriale cagliaritana del primo novecento, proprio come avvenuto quasi trent’anni fa nella non lontana Vinalcool.
L’impianto della Distilleria Zedda Piras risale al 1908, ma sua la storia ha origine nel lontano 1854 quando l’allora ventunenne Francesco Zedda fondò la sua attività viticola per portare ad un livello più alto la già fiorente attività del padre, Giuseppe, possidente di un’area di circa 30 ettari impiantata a vigneti nel territorio di Pirri ancora chiamato col toponimo sardo “Is Bingias” (le Vigne). La Distilleria prese il nome di Zedda Piras poiché Francesco Zedda, per distinguersi da un suo cugino omonimo anch’egli operante nel campo vitivinicolo, scelse di aggiungere al suo il cognome della madre. Il suo intervento trasformò l’azienda di famiglia in una fiorente industria di vini pregiati che ottennero subito un notevole successo di pubblico grazie anche alle partecipazioni a fiere ed altri importanti eventi del settore, comprese le esposizioni internazionali di Parigi, Anversa, Roma, Buenos Aires, dove alla notorietà si aggiunsero anche i diversi premi vinti. Il sempre crescente successo condusse nel 1908, come detto prima, alla realizzazione di un nuovo impianto di distillazione, che sorge tuttora nel Viale Ciusa (all’epoca ancora parte della via Santa Maria Chiara). Ciò segnò un notevole punto di svolta nell’attività produttiva poiché permise all’azienda di produrre anche distillati, alcool e liquori tra cui il celebrato Mirto Zedda-Piras, l’Alchermes, il Maraschino, il Millefiori, il liquore d’Anice e il noto Fil’e Ferru. La ditta conoscerà un periodo di declino a partire dagli anni ’80 e verrà assorbita dal marchio algherese Sella & Mosca nel 1994. A sua volta la Sella & Mosca verrà acquisita dalla Campari nel 2002, e con essa i prodotti Zedda-Piras, per poi passare alla proprietà della Terra Moretti nel 2016.
L’impianto costruito nel 1908 è oggi in grave stato di abbandono (se si escludono i terreni adiacenti nei quali sta sorgendo ora un nuovo quartiere residenziale) e la Ciminiera sembra essere l’unico elemento a resistere nel tempo. Come la coeva ciminiera dell’Ospedale Civile e quella dell’ex Ospedale Psichiatrico di Villa Clara, anche la ciminiera dell’ex distilleria è costruita in forma conica, su basamento cilindrico e con la parte superiore rinforzata per mezzo di una strombatura decorata ad archetti e con il tipico cornicione a dentelli. L’impresa che sta realizzando il quartiere residenziale ha tenuto a rassicurare la città sul fatto che l’impianto della distilleria verrà recuperato secondo i criteri dell’archeologia industriale e non verrà demolito come purtroppo capitato ad altre strutture produttive della Cagliari tra ‘800 e ‘900.

La Distilleria Zedda Piras vista dalla piazza in costruzione

Altri notevoli impianti, anch’essi vanto produttivo della città, sono quelli legati allo sfruttamento delle Saline di Molentargius. La storia delle Saline risale addirittura all’epoca dei Fenici, i primi ad estrarre il sale dagli specchi d’acqua costieri che circondano Cagliari, ma il primo vero progetto per la Salina di Molentargius risale al 1739, anche se si trattava di un impianto limitato collegato al mare con dei canali che ancora non presentavano avanzate caratteristiche strutturali o tecnologiche. Quasi un secolo dopo, nel 1836, Michele Delitala propose il primo vero e proprio sviluppo industriale delle Saline, che nel 1847 passò poi in gestione alla Società Franco-Italiana che ne ammodernò ulteriormente gli impianti e i canali.  Dal 1881 la gestione passò alla Società Generale di Navigazione, alla quale si devono ulteriori migliorie apportate a cavallo tra i due secoli. È però a partire dai primi anni ’20 che venne realizzata la serie di impianti e costruzioni direzionali conosciuti oggi come “Città del Sale”.
La Città del Sale è costituita dall’edificio neogotico che ospita la direzione, affiancato dalla chiesetta del Santissimo Nome di Maria (costruita nel 1934), da una serie di edifici per i dirigenti e gli operai oltre agli impianti di lavorazione e al bellissimo Teatro delle Saline, inaugurato nel 1932 come Opera Nazionale del Dopolavoro.
Gli impianti attualmente ancora dotati di ciminiere sono due.
Il primo è quello che originariamente era destinato alla lavorazione del potassio e che ora ospita la rimessa dell’Associazione Sportiva Dilettantistica “Le Saline”. Si tratta di un edificio realizzato nel 1939 e costituito da tre corpi di fabbrica, due dei quali bassi e lunghi raccordati dal corpo centrale più alto e caratterizzato da ampie vetrate. La ciminiera, realizzata in mattoni, venne parzialmente demolita nel 1985 per una serie di cedimenti che la resero pericolosa ma ne rimane oggi un troncone della canna fumaria, che si presenta in forma conica, e l’ampio basamento costituito dalla sovrapposizione di due corpi parallelepipedi di differente ampiezza.

Lo Stadio Amsicora negli anni ’30. Sullo sfondo, in evidenza, la ciminiera dell’impianto per il Potassio

L’impianto per la lavorazione del Potassio. In dettaglio, i resti della Ciminiera

L’Impianto del Bromo

L’altro impianto è quello legato alla lavorazione del Bromo, realizzato a partire dagli anni ’20 ma destinato a tale produzione solo dal 1940. L’impianto è assai simile a quello della lavorazione del potassio ed è costituito da diversi corpi di fabbrica ad un solo piano sui quali si innesta il corpo centrale più alto ed è affiancato dall’alta ciminiera in mattoni di forma conica e priva di coronamento sommitale di rinforzo. A poca distanza svetta un’altra grande struttura affine alle ciminiere ma destinata all’impianto di evaporazione. L’intero impianto, inclusa la ciminiera, è oggi conosciuto come Villa Stelvio ed è stato restaurato per realizzarvi una struttura ricettiva immersa nel Parco Regionale Molentargius-Saline, un’area protetta dove la natura convive con i resti di quello che fu uno dei più importanti poli produttivi della Città di Cagliari e che vide avvicendarsi generazioni di lavoratori del sale fin dai tempi dei Fenici.

L’Impianto del Bromo durante la sua costruzione, negli anni ’40

Vista dell’Impianto del Bromo, ora Villa Stelvio, dall’ingresso del Parco Regionale Molentargius-Saline

L’attuale ciminiera della Manifattura Tabacchi

Il percorso tra gli impianti produttivi ci riporta ora nel centro città, e precisamente nell’ex Manifattura Tabacchi della quale si è ampiamente parlato in precedenza. La ciminiera che vi sorge tuttora ha sostituito quella più antica descritta nella prima parte dell’articolo, ma soprattutto immortalata in alcune vedute cittadine. La struttura attuale risale all’immediato secondo dopoguerra ed è realizzata a canna quadrata in mattoni rossi e con una intelaiatura di rinforzo in metallo che ne scandisce l’altezza in più ordini. La ciminiera termina con un ampio cappello piramidale in metallo ed è attorniata da alcune altre piccole ciminiere in acciaio che hanno giovato, al pari della principale, di recenti ripuliture e restauri.
Nella prima parte del post si è parlato anche della prima veste della Centrale Elettrica di Santa Gilla, e della sua ciminiera in metallo. Anche qui, come nella Manifattura Tabacchi, è possibile osservare le moderne ciminiere che hanno sostituito gli impianti originari. Si tratta di due alte ciminiere in metallo, non connotate da una ricerca estetica ma strettamente funzionali, di forma cilindrica con un sottile anello di rinforzo sulla parte sommitale e due anelli di camminamento a differenti altezze. Le strutture sono colorate di azzurro nella parte più bassa e a righe rosse e bianche nella porzione superiore.

Le ciminiere dell’ex Centrale Elettrica di Santa Gilla

Il percorso, dalla Centrale Elettrica di Santa Gilla si sposta nel non lontano ex Pastificio Costa di Via Po, che ci riporta nel quartiere di Sant’Avendrace. Si tratta di un impianto produttivo realizzato nel dopoguerra e per anni utilizzato per le produzioni della Barilla. Oggi versa in totale stato di abbandono anche se ogni tanto spunta fuori un nuovo progetto di recupero e riqualificazione. Fortunatamente la solida struttura in cemento armato sembra non risentire in maniera eccessiva dei segni del tempo, e la sua ciminiera – di dimensioni modeste se confrontata con le altre – appare ancora in ottimo stato di conservazione. È realizzata in forma di obelisco con l’uso misto dei mattoni per la canna fumaria e del metallo imbiancato per l’intelaiatura esterna di rinforzo che ne sostitene l’intera struttura. L’aspetto, grazie anche al contrasto cromatico tra mattoni e telaio, è particolarmente gradevole pur manifestando caratteri prettamente industriali dai quali è esclusa una vera e propria ricerca estetica. La speranza è di vedere presto recuperato l’intero impianto, e che venga destinato ad una fruizione pubblica.

La Ciminiera dell’ex Pastificio Barilla di Via Po

Prima di concentrarci sulle Ciminiere storiche dell’hinterland, è bene aprire una piccola parentesi per descrivere alcune strutture analoghe alle ciminiere ma destinate ad impianti di lavorazione degli alimenti.
Le più antiche sono le tre piccole ciminiere delle cucine del Forte di San Filippo, realizzato nell’omonimo Bastione costruito in epoca sabauda e oggi ospitante la Bilbioteca Militare di Presidio. Le ciminiere, ben visibili al di sotto della passeggiata del Viale Buoncammino, risalgono alla fine degli anni ’30 e dal 1940, in piena seconda guerra mondiale, servirono alle cucine nelle quali veniva realizzato il pane per le truppe.
Si tratta di tre canne fumarie di forma piramidale innestate su basamenti di forma cubica e attualmente tappate da ampie lastre in cemento poste sullo sbocco terminale.

Una delle tre canne fumarie delle cucine del Forte San Filippo, immerse tra gli invasivi alberi d’Ailanto.

Ciminiera del Panificio Deplano

Sono legate alla produzione del pane altre due canne fumarie ben osservabili nel centro cittadino.
La più imponente è quella che svetta altissima in un cortile tra la via XX Settembre e la via Sonnino. Si tratta della canna fumaria dello storico panificio Deplano, ora non più esistente, ed è realizzata interamente in mattoni e cemento con un’intelaiatura di rinforzo in cemento armato. La parte sommitale è caratterizzata dal cappello cuspidato sostenuto da quattro pilastri parallelepipedi e dona alla canna fumaria il singolare aspetto di un moderno campanile.
Un’altra canna fumaria della quale è interessante fare cenno è quella del “Nuovo Panificio” di via San Giovanni. Sebbene non antica né imponente dal punto di vista architettonico, essendo di dimensioni modeste, è interessante poiché è  una delle poche ancora in funzione pur non rivestendo più le funzioni originarie per le quali era prevista. Il “Nuovo Panificio” venne infatti chiuso negli anni ’90 e, dopo anni di abbandono, i suoi locali sono stati riaperti in anni recenti da un collettivo di artisti e artigiani che ha voluto mantenere il nome dell’impresa precedente. La canna fumaria si è così trasformata da fumaiolo che diffondeva nel quartiere Villanova la fragranza del pane appena cotto nello sbocco della fornace dove vengono terminate le opere realizzate dagli artisti da cui è composto il collettivo “Nuovo Panificio”.

Fumaiolo del “Nuovo Panificio” di via San Giovanni

La Ciminiera di S’I ‘e Boi

Il percorso tra le Ciminiere non può escludere gli esempi più importanti presenti anche nelle città dell’hinterland. L’esempio più notevole di ciminiera, probabilmente la più imponente di tutta l’Isola, è sicuramente quella dell’ex Distilleria di Sebastiano Boi a Selargius, meglio nota come “S’I ‘e Boi”. La distilleria selargina venne fondata dal Boi nel 1883, nelle immediate vicinanze della parrocchiale della Vergine Assunta (nei confronti della quale la Ciminiera, data la vicinanza, assume quasi l’aspetto di un secondo campanile soprattutto per chi vi si avvicina da lontano e per la prima volta) e rimase in attività fino alle soglie della seconda guerra mondiale. Nel 1911 lo stabilimento venne rilevato dalla Vinalcool, della quale si è già parlato e ancora si parlerà, e contribuì al successo della società e, mediante il suo collegamento tranviario con Cagliari e il porto, diede un notevole impulso anche allo sviluppo della città di Selargius. Dalla fine del ’43, il complesso di S’I ‘e Boi venne requisito e le sue strutture ospitarono le officine per la riparazione dei velivoli della Royal Air Force. Alla fine della guerra lo stabilimento venne abbandonato per essere rilevato poi, nel 1952, dalla SAIM che vi avviò un’impresa per la distillazione di vinacce e alcool ma l’attività ormai era destinata al declino e lo stabilimento chiuse definitivamente i battenti nel 1966. Dal 1978 il complesso, ormai entrato a far parte del patrimonio comunale, venne sottoposto ad importanti lavori di restauro che si protrassero per diverso tempo e portarono alla trasformazione di parte dei locali in Biblioteca Comunale e un’altra parte della struttura in Teatro Civico mentre il cortile e gli spiazzi adiacenti sono stati trasformati in aree verdi a destinazione pubblica.

Ciminiera dell’Ex Distilleria di S’I ‘e Boi a Selargius

La spettacolare ciminiera, che per i cittadini selargini è nota con l’appellativo di “Sa Turri” ovvero “La Torre” (come fattomi presente dal Sig. Alessandro Boi), è costruita in mattoni chiari con forma tronco-conica e coronamento sommitale ad archetti e con cornice dentellata; si innalza per circa 30 metri e poggia su un altissimo basamento cilindrico – al quale è raccordata da un ulteriore cornice dentellata – sul quale si apre l’arco della fornace, oggi tamponato ma ancora ben visibile. La struttura manifestò seri problemi strutturali nel 1997, dovuti in parte ad un lieve abbassamento delle fondazioni e in parte anche alle vibrazioni causate dal traffico di mezzi pesanti che transitano nell’adiacente via Gallus, asse preferenziale di collegamento con le vicine Quartucciu e Quartu e dalla quale parte la strada per Cagliari. Nel 1999 cominciarono i lavori di restauro e consolidamento che hanno così salvato dal pericolo di crollo uno dei più importanti esempi di archeologia industriale dell’intera Sardegna.

La Ciminiera di S’I ‘e Boi nella via Gallus, a Selargius

Ciminiera delle ex Fornaci Maxia

Percorrendo il lungo rettifilo che da S’I ‘e Boi conduce a Quartu si arriva così alla sede di altre due imponenti ciminiere: le ex Fornaci Maxia. Lo stabilimento venne fondato nel 1908 dal Cavalier Felicino Maxia e la costruzione fu affidata alla Meccanica Lombarda che si avvalse della manovalanza quartese, realizzando così un insieme di edifici che, pur coerente con i canoni dell’architettura industriale del periodo a cavallo tra ottocento e novecento che univano il gusto estetico alla funzionalità, si mantiene fedele anche alla tradizionale architettura sarda per l’ampio uso di ladìri, i caratteristici mattoni in terra cruda, lasciati a vista soprattutto nelle modanature delle aperture. L’impianto prosperò a lungo, ma nel 1975 – necessitando di un costoso investimento per l’ammodernamento delle strutture e dei macchinari di lavorazione, oltre che per la concorrenza, soprattutto toscana – chiuse anch’esso definitivamente i battenti. Dopo anni di chiusura, gli edifici riaprirono in tempi recenti a seguito di un accurato recupero e ora ospitano la discoteca F.B.I. e la sala Bingo Imperial.
La ciminiera vera e propria si trova in uno stretto cortile tra i due corpi di fabbrica, ed è interamente realizzata in mattoni rossi. La struttura, di forma tronco-conica su basamento poligonale, ora è mancante della parte superiore ma gode di un ottimo stato di conservazione. L’altra ciminiera si eleva di pochi metri, anche a causa del crollo della parte sommitale, al di sopra dell’enorme forno per la produzione della calce, il più grande della Sardegna. Il forno è una grande struttura a pianta esagonale che si sviluppa in altezza in forma prismatica ed è costruito con un’interessante alternanza di fasce di mattoni rossi e pietra cantone disposta con ordinamento ad opus incertum. Alla base del forno si apre l’ampia arcata della fornace, ora parzialmente murata, mentre a due terzi dell’altezza sporgono alcune putrelle in ferro sulle quali in origine era montata una struttura di controllo. La ciminiera, come detto, è purtroppo mancante della sommità al pari dell’altra presente nel complesso ma, fortunatamente, non è più in pericolo di ulteriori crolli.

Il forno per la calce, sormontato dai resti della sua ciminiera, nelle ex Fornaci Maxia.

Ciminiera della Distilleria Capra

Il percorso tra le Ciminiere si conclude nel luogo dal quale ha avuto origine la più importante tra le società citate nel presente articolo e grazie alla quale Cagliari poté avvalersi di un importante sistema di trasporto tranviario, ovvero la Vinalcool.
Come detto più volte, la società venne fondata grazie all’iniziativa di Amsicora Capra, che cominciò la sua impresa nel 1887 proprio nel centro di Quartu, a due passi dalla Chiesa di Santa Maria di Cepola, fondando la Capra & Capra grazie alla quale riuscì – in meno di un decennio – ad esportare nel continente i suoi vini più pregiati, principalmente Monica di Sardegna, Cannonau e Moscato. La Distilleria Capra, a seguito di ampliamenti operati agli inizi del ‘900, ospitò anche gli impianti di distillazione e tuttora, pur nel generale e deprecabile stato di abbandono in cui versa l’ex stabilimento, è possibile osservare l’imponente torre di distillazione realizzata secondo i canoni dell’architettura neogotica con merlature e torrini che in parte richiamano quelli dell’ex albergo cagliaritano de “La Scala di Ferro”. All’interno dell’ampio cortile attorno al quale si trovano i resti dello stabilimento – che purtroppo minacciano continuamente di crollare visto lo stato di degrado al quale sono lasciati – costruito interamente con l’uso dei mattoni in terra cruda, si trova l’imponente ciminiera. Si tratta di una struttura analoga a quella che venne realizzata per la sede pirrese della Vinalcool, ovvero una costruzione tronco-piramidale, o meglio a forma di obelisco, realizzata in mattoni e poggiante su un alto basamento parallelepipedo costruito in pietra calcarea. È interessante, seppur non ben visibile per via dello strato di polvere e smog che vela la tonalità originaria dei mattoni, il gioco cromatico tra i mattoni chiari e i mattoni rossi, questi ultimi utilizzati per realizzare dei motivi decorativi a metà altezza della ciminiera e verso la parte terminale, sulla quale è presente il consueto elemento di rinforzo svasato rispetto alla parte sottostante.

La Torre di Distillazione e la Ciminiera della Distilleria Capra, a Quartu Sant’Elena

Qui si conclude l’itinerario tra le ciminiere del Cagliaritano, elementi interessanti per il loro aspetto architettonico e sempre sorprendenti per le altezze raggiunte, ma anche dettagli architettonici capaci ancor oggi di trasportarci in un viaggio a ritroso nel tempo nell’effervescente clima dello sviluppo industriale di Cagliari tra la metà dell’800 e i decenni immediatamente precedenti la seconda guerra mondiale.
Mi rendo conto della lunghezza dell’articolo, ma spero sia stato ugualmente di vostro gradimento. A seguire, potete vedere un breve video nel quale sono raccolte alcune delle foto delle Ciminiere ancor oggi esistenti.
Grazie per la vostra lettura e buona visione.





Facebook Comments Box