Cagliari è una città plurimillenaria, e nel corso della sua lunga esistenza – trovandosi da sempre al centro delle influenze culturali e artistiche che hanno attraversato il Mediterraneo e l’Europa – è stata, ed è tuttora, una città in continua evoluzione tanto nel suo insieme quanto nelle singole parti, in ogni singolo edificio.
Una delle più notevoli conseguenze di queste evoluzioni delle correnti culturali e dei gusti artistici fu il continuo cambiamento degli esterni delle chiese e dei palazzi pubblici e civili, infatti il rimaneggiamento costante delle facciate non fu – come vedremo – una prerogativa delle chiese ma interessò anche le sedi del potere governativo ed edifici privati e pubblici che sono stati da sempre delle istituzioni nel panorama cittadino.
I cambiamenti nelle facciate comunque non furono sempre una conseguenza derivante dal mutare delle correnti artistiche e dei gusti dell’epoca in cui vennero attuati: spesso le modifiche in corso di progettazione e di costruzione hanno portato a risultati diversi rispetto al progetto originario di un edificio; altre volte fu l’intera struttura a subire modifiche strutturali e funzionali tali da rendere necessario anche un intervento sull’esterno; vennero poi apportate modifiche anche in seguito ai restauri postbellici nel secondo dopoguerra.
Il caso più estremo e, per alcuni versi, forse il più sofferto tra i cambiamenti nelle facciate fu senza dubbio quello che interessò tra il 1925 e il 1933 il prospetto della Cattedrale con la transizione dalla facciata barocca del 1703 all’attuale facciata neoromanica. La facciata barocca costituiva già di per sé una sostituzione di prospetto derivante dal mutamento dei gusti artistici di cui si è parlato in precedenza. Infatti venne eretta in sostituzione della precedente facciata romanica originaria del primo impianto della Cattedrale e dunque risalente alla prima metà del XIII secolo.
Una descrizione della facciata romanica è possibile grazie ad un importante disegno – seppur impreciso per via della sua approssimazione e stilizzazione – realizzato da Monsignor Juan Francisco Carmona agli inizi del seicento. In base al disegno si può stabilire una forte somiglianza con la facciata della Cattedrale di San Pantaleo a Dolianova – da individuarsi come una successiva reinterpretazione di quella della Cattedrale cagliaritana – e dunque una facciata a salienti suddivisa in tre ordini: quello inferiore diviso in tre specchi divisi da lesene e nei quali si aprivano i tre portali lunettati corrispondenti tuttora agli ingressi attuali. Al di sopra di una cornice sorretta da archetti pensili, il secondo ordine si caratterizzava per la suddivisione in altri tre specchi ognuno dei quali era decorato con ruote intarsiate e per la presenza nello specchio centrale di un’ampia bifora (probabilmente aperta in rottura in una fase successiva) che fungeva anche da elemento di raccordo con il terzo ordine costituito dal timpano decorato con un motivo a finta loggia costituito da lesene terminanti in archetti ciechi. Con i restauri della seconda metà del seicento la Cattedrale subì un’importante trasformazione dal gusto romanico ormai quasi completamente modificato in gotico (per via di ulteriori lavori intrapresi dalle maestranze catalane nel XIV e nel XV secolo) in un sontuoso edificio di matrice marcatamente barocca. L’ultimo tassello di questa trasformazione fu appunto l’erezione nel 1703 (come ricordato dal cartiglio oggi inserito nella controfacciata) del prospetto barocco progettato dall’architetto Pietro Fossati.
La facciata barocca – unico caso in Sardegna di prospetto marmoreo (costruito con marmo grigio chiaro di Teulada) risultava divisa in due ordini separati da un ricco fregio con triglifi ed elementi decorati a volute e da una soprastante fascia decorata con semplici elementi polilobati. Nel primo ordine si aprivano ancora una volta i tre portali (sempre corrispondenti agli originari romanici), sovrastati da tre medaglioni affiancati da volute. Sul medaglione sinistro era presente il bassorilievo raffigurante San Lucifero Vescovo, sul portale centrale era rappresentata Santa Cecilia all’organo, sul portale destro era invece scolpita l’immagine di Sant’Eusebio di Vercelli (padre della chiesa nato a Cagliari). Nel secondo ordine, al centro dell’unico specchio affiancato da volute tra le quali erano presenti delle immense foglie d’acanto, si apriva una grande monofora a tutto sesto al di sopra della quale correva una decorazione vegetale che la raccordava ad un enorme medaglione col Monogramma di Maria incorniciato da un coro di cherubini. Il medaglione si inseriva parzialmente anche nel timpano sovrastante, al di sopra del quale era posta la base marmorea con la Croce in ferro e ai cui lati si trovavano due lucerne con le fiamme della Vita scolpite a tutto tondo in marmo.
Nel 1925, approfittando del crollo di alcune lastre della fascia mediana e nella speranza di ritrovarvi al di sotto l’originaria facciata romanica, il prospetto barocco venne smantellato deludendo le speranze del suddetto ritrovamento in quanto l’originario fronte romanico era stato accuratamente scalpellato per la posa in opera della nuova facciata barocca. Non mancarono tuttavia rinvenimenti di gran pregio: sopra il portale centrale era ancora collocato – seppur mancante della parte centrale reintegrata nel 1933 – l’architrave romanico con girali d’acanto ancora visibile e sopra il portale sinistro venne rinvenuto un architrave con due leoni affrontati all’albero della Vita di cui si è parlato anche nel primo articolo del blog, dedicato appunto ai Leoni Cagliaritani. Dal 1929 venne indetto il concorso per la progettazione del nuovo prospetto (non ritenendo opportuno ripristinare – come auspicabile – quello barocco in quanto ormai mancante di alcune parti andate distrutte durante lo smantellamento ma facilmente reintegrabili) per il quale sono ancora note tre diverse proposte. La prima presentava un quadruplice ordine di pseudo-logge ed era marcatamente ispirata alla facciata della Chiesa di San Michele in Foro a Lucca; la seconda – già più prossima all’attuale – era ispirata al Duomo di Pisa e presentava anch’essa un quadruplice ordine di logge cieche su una facciata a salienti; la terza proposta, forse anche la più originale, era ispirata a un gusto in parte neoromanico e in parte neogotico e mostrava similitudini con la recente facciata della nuova Cattedrale di Reggio Calabria. Per realizzare questa terza versione però, in virtù della presenza di ampie porzioni finestrate, si sarebbero dovute praticare diverse e notevoli forature anche nella controfacciata ancora risalente alla fase duecentesca all’epoca recentemente ripristinata dopo l’eliminazione di elementi barocchi (come l’edicola di Santa Cecilia di cui si è parlato in un articolo precedente). Il progetto vincitore fu quello presentato dall’architetto Francesco Giarrizzo e corrispondente all’attuale facciata suddivisa in tre ordini di logge cieche poggianti sull’ordine inferiore nel quale si aprono i tre portali decorati nelle lunette bicrome (parzialmente originali dell’impianto duecentesco) con mosaici raffiguranti rispettivamente San Saturnino, la Vergine col Bambino e Santa Cecilia. Seppur opera di alta qualità progettuale, armonica e coerente nel suo insieme, la facciata attuale risente però del mancato rispetto proporzionale col campanile, presentandosi difatti alta quanto l’intera torre campanaria che perde dunque la sua predominanza visiva in altezza.
La Piazza Palazzo, sulla quale si affaccia la facciata della Cattedrale, mostra come anche gli edifici pubblici più importanti abbiano subito importanti modifiche nel tempo.
In particolare è l’Ex Palazzo di Città a mostrare uno dei cambiamenti più notevoli consentendoci tuttavia, grazie al restauro dei primi anni ‘2000, di leggere in parte alcuni dettagli del suo aspetto originario. Infatti l’edificio fino all’epoca sabauda, quando venne modificato secondo i canoni del barocchetto piemontese, si presentava con un impianto gotico risalente alla sua edificazione in epoca aragonese. Di questo periodo sono state rimesse in luce le originarie mostre in pietra delle finestre che affacciavano sul lato di Via del Duomo, di fronte alla Chiesetta di N.S. della Speranza. Le ampie aperture gotiche erano caratterizzate da una sobria modanatura che correva lungo tutto il perimetro, all’interno della quale è ipotizzabile la presenza di elementi superiori che suddividevano l’apertura in una bifora con due soprastanti lastre lavorate per simulare delle aperture traforate come avveniva nel coevo convento di Santa Caterina (demolito alla fine dell’800 per realizzarvi l’attuale caseggiato scolastico di gusto classicista). Non è dato sapere quale fosse l’aspetto del prospetto principale, che si suppone comunque coerente con la facciata laterale di via del Duomo e che forse presentava aperture ben più ricche e decorate.
Ancora nella Piazza Palazzo, al lato della Cattedrale, è l’Arcivescovado a mostrare una nuova trasformazione dovuta a rifacimenti interni e ad un mutato gusto artistico. La facciata dell’Episcopio non è stata del tutto stravolta come accadde alla Cattedrale, ma le modifiche furono comunque sostanziali. Fino agli anni ’30 del ‘900 era caratterizzata da sette aperture con balconi in ferro battuto su ognuno dei due piani superiori: i primi due balconi a sinistra al primo piano si presentavano di altezza differente rispetto agli altri ed erano impostati su mensole calcaree e con una forma semicircolare; gli altri cinque balconi e i soprastanti sette del secondo piano erano invece più sobri, di forma rettangolare e anch’essi privi di cornici. Il primo piano invece era caratterizzato dal portale principale con arco a tutto sesto, in posizione leggermente decentrata rispetto all’asse di simmetria del prospetto e affiancato da una finestra per ogni lato. Al di sotto dell’ultimo balcone a destra si apriva un cancello su un arco a tutto sesto che immetteva in un portico che raccordava l’Episcopio con il Campanile della Cattedrale e che dava l’accesso ad un cortiletto su cui si apre tuttora il portale del braccio settentrionale del transetto della primaziale. Con i restauri intrapresi negli anni ’30 e conclusi nel 1938 sotto la direzione dell’Arcidiocesi da parte di Mons. Piovella, come ricordato dal grande stemma collocato in quell’anno sul prospetto, l’aspetto esterno dell’episcopio venne modificato con il pareggiamento delle altezze dei balconi, l’eliminazione dei poggioli in ferro battuto e dunque la trasformazione dei balconi in semplici aperture finestrate circondate da una semplice e sottile lastra di calcare e con la demolizione del portico di cui si è fatta menzione poc’anzi. Il portale venne allineato all’asse di simmetria e fu trasformato da un portale con arco a tutto sesto in un’apertura squadrata con una sobria modanatura in calcare a segnarne il contorno e la chiave di volta della piattabanda aggettante rispetto alla modanatura e priva di elementi decorativi. Nello stesso anno venne collocato il grande stemma arcivescovile sopra i due balconi centrali del prospetto, i quali vennero inoltre unificati con l’aggiunta di una sobria ringhiera in ferro battuto poggiante su altrettanto sobrie mensoline metalliche.
Poco rilevanti dal punto di vista architettonico furono le modifiche apportate alla facciata del Palazzo Viceregio, difatti si tratta della semplice eliminazione di due timpani soprastanti i balconi posti all’estrema sinistra e all’estrema destra dell’edificio originario. Seppur si tratti di una modifica apparentemente insignificante, è in realtà un dato molto importante per la comprensione degli sviluppi architettonici e degli ingrandimenti subiti dall’edificio negli anni ’20 del ‘900. La facciata del Palazzo Viceregio, pur nella sua omogeneità, mostra già degli elementi che consentono di individuare un primo intervento di ingrandimento risalente alla seconda metà del XVIII secolo (epoca in cui venne inoltre avviato il rifacimento dell’esterno nella forma giunta quasi intatta fino a noi): il nucleo originario del palazzo infatti era più piccolo dell’attuale e si concludeva sul lato in cui è aperto il portale secondario nella parte sinistra del prospetto. Nella seconda metà del XVIII secolo venne inglobato un edificio preesistente al fine di ingrandire il palazzo destinato, in seguito, anche ad ospitare la Corte esule dal Piemonte.
Si può apprezzare questa prima fase di ingrandimento grazie alla differenza dei materiali utilizzati per il sostegno dei balconi (ben visibili zoomando sull’immagine a lato): nel nucleo originario infatti i sostegni sono ottenuti con l’uso di mensoline in calcare di Bonaria dalle forme ancora tardobarocche e assai simili a quelle che sostenevano i due balconi più alti del vecchio prospetto dell’Episcopio; col successivo ingrandimento e con il rifacimento della facciata nella sua attuale veste neoclassica risalente alla fine del ‘700, il corpo aggiunto venne decorato sullo stesso stile del resto dell’edificio ma le mensole a sostegno dei balconi (così come il portale secondario) non vennero realizzate con lo stesso calcare della parte più antica bensì con mensole di forme più sobrie e prettamente neoclassiche in pietra basaltica. Con questo ingrandimento il Palazzo Viceregio presentava nove balconi sul lato destro e nove sull’ingrandito lato sinistro. Per segnare visivamente l’inizio e il termine dell’edificio, i due balconi estremi del piano nobile vennero inoltre dotati di un timpano triangolare posto sopra la trabeazione superiore: veniva così a configurarsi un aspetto simmetrico e con un inizio e una fine ben delimitati.
Negli anni ’20 però il Palazzo Viceregio, ormai sede della Prefettura, venne ulteriormente ingrandito sul lato settentrionale (il lato sinistro rispetto al portale principale) inglobando il settecentesco Palazzo Amat di San Placido dei Baroni di Sorso che venne modificato esternamente per mantenere una linea di continuità architettonica col Palazzo Viceregio: difatti, dei pochi resti del Palazzo di San Placido – demolito nel 1972 per un pericolo di crollo dovuto anche ai danni subiti quasi trent’anni prima coi bombardamenti del 1943 – è possibile osservare nella Via Martini delle mensole in cemento armato replicanti fedelmente le mensole in basalto del nucleo aggiunto a metà ‘700 al Palazzo Viceregio. È dunque in seguito a questa fase nella quale il Palazzo Viceregio perse la simmetria conseguita con i rifacimenti tardo-settecenteschi che vennero demoliti i due timpani triangolari ormai privi della loro funzione di elementi di limite degli estremi del prospetto.
Restando nel quartiere di Castello, si può parlare di un altro edificio religioso che ha subito modifiche sostanziali nella facciata, seppur non tali da stravolgerne l’aspetto generale. Si tratta della Chiesa di Santa Maria del Monte. L’edificio, costruito come terza sede della Confraternita del Sacro Monte di Pietà (la sede precedente, costruita nel 1568, si trovava nello stesso sito ma l’edificio venne demolito per via dei lavori di demolizione e ampliamento della cortina muraria di fortificazione alla quale era addossata; la prima sede invece si trovava nell’attuale Basilica di Santa Croce, ex Sinagoga Giudaica, concessa nel 1564 alla Compagnia dei Gesuiti) segue i dettami dello stile tardogotico catalano con elementi di matrice rinascimentale. La facciata, analogamente a molti altri edifici di culto cagliaritani e sardi, è costituita da un prospetto liscio a terminale piatto con un portale centrale sovrastato da una lunetta a sesto acuto.
Oggi sulla facciata è aperta una grande finestra lunettata che occupa gran parte della parte superiore del prospetto, mentre in origine al suo posto si trovava un oculo circolare di dimensioni più contenute del quale rimane visibile parte del bordo al di sopra della finestratura attuale. Tale modifica è successiva al cambio di destinazione d’uso dell’edificio – avvenuta in seguito alla soppressione degli ordini religiosi nel 1866 – che fu adibito a sede della Corte d’Assise.Le modifiche comportarono anche l’eliminazione dello stemma della Confraternita del Sacro Monte di Pietà che si trovava al di sopra della lunetta sovrastante il portale, e attualmente è ancora possibile vedere l’incavo nel quale era inserito lo stemma verosimilmente sorretto anche da grappe metalliche infisse nel prospetto. È ipotizzabile anche la presenza di un affresco all’interno della lunetta, ma l’intero prospetto è stato del tutto privato degli intonaci – se mai ne è stato rivestito – e oggi è caratterizzato dalla muratura completamente a vista.
Ancora in Castello è possibile osservare un altro caso in cui i prospetti degli edifici subirono delle trasformazioni, ovvero la costruzione recente di facciate delle quali gli edifici erano privi: è il caso della Chiesa di Santa Lucia. L’accesso alla chiesa avveniva da una porta laterale interna al convento delle Clarisse, istituito insieme alla Chiesa nel 1538 come ricordato dalla lapide soprastante la suddetta porta e citata dal Canonico Spano nella sua “Guida della Città di Cagliari” del 1861. La Chiesa di Santa Lucia era priva di un vero e proprio prospetto perché il tratto della Via Martini su cui attualmente campeggia la facciata era in origine coperto dal Portico di Santa Lucia (per la cui storia e descrizione rimando ad un articolo precedente, dedicato al medaglione liberty di Via Martini) e dai vani soprastanti nei quali avevano sede gli Uffici della Cassa Ecclesiastica e l’ex Tesoreria Generale. Negli anni ’20 del ‘900, con l’istituzione della linea tranviaria che aveva il suo capolinea in Piazza Palazzo, il portico venne demolito e in quell’occasione venne realizzato l’attuale prospetto della chiesa, talmente sobrio da essere quasi del tutto anonimo. Si tratta infatti di un semplice prospetto a salienti, nel quale si apre una semplice porta riquadrata da lastre marmoree e sovrastata, fino allo scorso anno, da un grande rosone dipinto a trompe-l’œil demolito perché pericolante in seguito al distacco di parte dell’intonaco su cui era realizzato.
Un altro esempio nel quartiere di Castello delle trasformazioni delle facciate come conseguenza del mutare dei gusti artistici a seconda del periodo storico è costituito dal Palazzo Atzeni-Tedesco, in via Canelles. L’edificio, di origine medievale, ha subito nel corso del tempo diversi rimaneggiamenti conseguenti all’ingrandimento del primitivo impianto (è difatti probabile che l’edificio nasca dalla fusione di più lotti gotici, ovvero edifici stretti e lunghi con due soli affacci su strada) fino a ottenere la forma attuale nell’ottocento, difatti il portale – di matrice settecentesca – è aperto nel pianterreno delimitato da uno zoccolo in fasce bugnate attribuito in alcuni testi a un intervento dell’architetto Gaetano Cima. Ma l’intervento che più di tutti caratterizzò l’esterno fu quello realizzato tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900 con la realizzazione del ricco apparato decorativo in stile liberty che tuttora adorna la facciata. Il prospetto è infatti caratterizzato dai balconi in cemento con balaustre riccamente decorate a motivi vegetali, dalle fasce marcapiano nei quali sono scolpiti elementi floreali a bassorilievo e dalle cornici a tortiglione in terracotta che delineano le aperture, al di sopra delle quali sono inserite figure femminili (già citati nell’articolo sui volti di donna in stile liberty) alternate alle cimase su mensoline dei balconi centrali di entrambi i prospetti su via Canelles e su Vico I Lamarmora.
Un’ultima nota trasformazione in Castello è quella della facciata del foyer del Teatro Civico, in via De Candia. Originariamente questa parte del Teatro seguiva lo stesso impianto neoclassico del resto dell’edificio (lo stesso impianto esterno sopravvissuto ai bombardamenti del 1943) ed era caratterizzato da finestre con cornici su mensole di gusto marcatamente ottocentesco. Sono rare le foto che documentano questa fase neoclassica di questa porzione del Teatro, una in particolare però riprende in pieno l’edificio durante la processione del 1908 per la Proclamazione della Madonna di Bonaria a Patrona Massima della Sardegna e nell’immagine è possibile ravvisare la facciata originaria da mettere a confronto con l’attuale prospetto, realizzato negli anni ’30 secondo canoni tipici del Ventennio e dunque con le aperture del primo piano ornate da cornici massicce, lisce e pesanti, sovrastate da timpani altrettanto pesanti e dalle modanature poco movimentate. Al secondo piano, invece delle leggere cornici neoclassiche della veste precedente, delle semplici fasce in cemento circondano le aperture, sovrastate ciascuna da tre elementi rettangolari rimandanti ad un simbolismo tipico del periodo fascista. Non è del tutto chiara la motivazione che spinse al rinnovamento della facciata del foyer del Teatro, se non in vista di restauri e adeguamenti avvenuti in quel dato periodo storico.
Spostandoci dal quartiere di Castello, prima di parlare delle modifiche negli edifici degli altri tre quartieri del centro storico è bene soffermarci sul complesso costituito dal Santuario e dalla Basilica di N.S. di Bonaria, entrambi caratterizzati da lunghe vicissitudini storiche e costruttive che hanno determinato la successione nel tempo di diversi prospetti, non sempre – come vedremo – in chiave migliorativa.
Il Santuario di N.S. Bonaria venne fondato nel primo quarto del XIV secolo in seguito alla fondazione di una nuova cittadella fortificata da parte dei catalano-aragonesi a cui Bonifacio VIII aveva infeudato la Sardegna.
Il prospetto originario doveva rispondere a dettami gotico-catalani e doveva presentarsi in forme piuttosto spoglie con portale centrale rimarcato da lunetta a sesto acuto e terminale piatto secondo canoni che si sono protratti nell’Isola ben oltre la fase gotica arrivando addirittura al ‘700.
Successivamente, all’inizio del XVIII secolo, il prospetto – onde consentirne l’allineamento con quello dell’erigenda Basilica – venne parzialmente nascosto da un vestibolo a pianta ovale trasversale alla facciata e coperto da un cupolino (del quale si è fatto cenno in un precedente articolo sulle cupole cagliaritane) ben descritto dal Canonico Spano nella sua già citata Guida. Questo impianto rimase immutato fino al 1875, quando il cancello del vestibolo venne murato onde inserirvi la mostra marmorea del portale laterale della Chiesa di San Francesco di Stampace, demolita in quegli anni in seguito al pericolo di crollo conseguente ad un fulmine che colpì il campanile e al successivo abbandono dell’edificio religioso. Nelle foto d’epoca precedenti la seconda trasformazione del prospetto, stavolta in veste neogotica, è ben visibile la forma circolare della facciata costituita dall’ex vestibolo. Come detto, il prospetto subì una seconda modifica secondo il gusto neogotico quando, nel 1886, il vestibolo venne integrato all’interno del Santuario onde realizzarvi la tribuna dell’Organo. Il nuovo prospetto si presentava rivestito da un intonaco che simulava delle fasce di muratura ad opera bicroma ed era diviso in tre ordini: in quello inferiore si apriva il portale centrale con la mostra marmorea proveniente dalla Chiesa di San Francesco di Stampace, e ai suoi lati si aprivano due bifore caratterizzate da vetrate colorate. Nel secondo ordine, al di sopra del portale si apriva una grande bifora con un rosoncino tra le due aperture, e due bifore laterali più piccole analoghe a quelle del registro inferiore. Le tre aperture erano concluse da balaustre lavorate ad archetti ogivali. Il terzo ordine era costituito dal timpano su archetti pensili al centro del quale si apriva un bel rosone neogotico di buona fattura. Alla fine degli anni ’50 avvenne il terzo mutamento di facciata: il prospetto neogotico venne eliminato, l’unico elemento superstite è il portale proveniente dalla chiesa di San Francesco di Stampace; la grande bifora del secondo ordine venne sostituita da un oculo circolare ben proporzionato mentre il rosone del terzo ordine venne tamponato; eliminati anche gli archetti pensili del timpano, il resto del prospetto venne rivestito da un manto di liscia pietra calcarea di Bonaria, con alcuni conci appena sbozzati e rusticamente sporgenti dalla facciata.
La Basilica di N.S. di Bonaria, che si affianca maestosa al Santuario, ha visto anch’essa un succedersi di progetti e facciate fin dal primo prospetto progettato dall’architetto militare Felice De Vicenti agli inizi del ‘700. Tale prospetto è ancora apprezzabile nel modellino ligneo realizzato sulla base del progetto del De Vicenti e portato trionfalmente per le vie cittadine nel 1722 onde mostrare alla popolazione la grandiosità della Basilica che si sarebbe costruita.
La facciata prevista era divisa in tre ordini: quello inferiore era suddiviso in tre arcate da coppie di lesene corinzie e – come avviene tuttora nel prospetto attuale – dava l’accesso al portico (costituito però da due campate una delle quali – nei successivi progetti della Basilica – venne inglobata all’interno dell’edificio e costituendo così un portico monocampato). Una cornice modanata sovrastata da un fregio liscio, in cui erano inseriti due cartigli posti in corrispondenza delle arcate laterali del portico, separava l’ordine inferiore da quello centrale. Nell’ordine centrale si apriva la loggia delle benedizioni all’interno della quale era presente un balcone sormontato da un ricco fastigio con un’edicola soprastante destinata ad ospitare un dipinto o un bassorilievo. Ai lati della loggia erano presenti due specchi lisci riquadrati da lesene e paraste angolari di ordine corinzio, oltre i quali due volute simmetriche – all’interno delle quali erano inserite delle decorazioni a foglia d’acanto – formavano un raccordo con l’ordine inferiore. Agli estremi erano inoltre previsti due pinnacoli barocchi di forma conica su base prismatica ottagonale. Nel terzo ordine era previsto un grande cartiglio destinato probabilmente ad essere decorato con lo stemma dei Padri Mercedari, mentre all’interno del timpano curvilineo che completava la facciata era previsto un bassorilievo con un cherubino affiancato da festoni. Tale facciata, come del resto il progetto di cui faceva parte, non venne mai portata a compimento, sebbene le prime fasi costruttive della Basilica ne rispettassero le forme previste. I lavori di costruzione subirono numerosi rallentamenti sempre per mancanza di fondi e, nel 1778, l’ingegnere Giuseppe Viana elaborò un nuovo progetto più modesto per la Basilica anch’esso però destinato a non venire completato se non dopo molto tempo. Infatti lavori si interruppero già dal 1780 per riprendere a più riprese fino all’interruzione del 1822 e a quella definitiva del 1866 conseguente alla soppressione degli ordini religiosi. Il progetto del Viana prevedeva comunque un ricchissimo prospetto ocaratterizzato da volute con anfore floreali al di sopra e gruppi scultorei ai lati, in uno stile che ancora richiamava i dettami del tardo-barocco piemontese in contrasto con il già conclamato neoclassicismo dell’interno.
Solamente nel 1901, i Padri Mercedari rientrati in possesso del convento e dei due edifici religiosi, poterono cominciare a raccogliere i fondi per completare la Basilica e i lavori ripresero nel 1910 con la direzione dell’Ing. Simonetti. In quest’occasione, sulla base del progetto del Viana del 1778, venne proposto un nuovo prospetto caratterizzato sempre dal portico – già eretto nel 1704 – e da un secondo ordine con al centro il grande oculo ovale. Anche questo prospetto non venne però mai portato a conclusione ma ne venne realizzata la parte muraria. Fu solo con la ricostruzione post-bellica che si provvide a costruire, nel 1953, l’attuale prospetto. Sobria ed armonica, sebbene lontana dai modelli previsti in precedenza, la facciata si caratterizza ancora per il portico tripartito sovrastato da un fregio liscio nel quale è realizzata l’iscrizione dedicatoria, per un balcone delle benedizioni nel secondo ordine affiancato da semicolonne tuscaniche e sormontato da un timpano su trabeazione. In luogo delle volute, furono realizzate due ali di raccordo con gli elementi laterali sui quali originariamente erano previsti i pinnacoli e i gruppi scultorei, e che oggi invece sono lisci. Conclude il maestoso prospetto un timpano triangolare nel quale è inserito il grande stemma dei Padri Mercedari.
Lasciato il colle di Bonaria, il percorso tra le facciate modificate ci porta a soffermarci davanti alla Basilica di San Saturnino prima di procedere verso il quartiere di Villanova. La Basilica di San Saturnino venne realizzata nel V secolo d.C. sul luogo della sepoltura del giovane martire e patrono della Città di Cagliari, ma le sue vicende costruttive si protrassero fino al XII secolo quando l’edificio venne ingrandito e completato dai Monaci Vittorini di Marsiglia. Si deve a loro la realizzazione del prospetto che venne in seguito rappresentato in un disegno assai schematico di Mons. Carmona, lo stesso autore del disegno sul quale ci si è basati per descrivere la prima facciata della Cattedrale.
Il disegno di Monsignor Carmona, del 1631, mostra la Basilica di San Saturnino con un prospetto romanico assai sobrio, costruito a salienti e apparentemente suddiviso i due ordini: nell’ordine inferiore si aprivano i tre portali tuttora presenti su uno spazio liscio, non suddiviso in specchi da lesene o paraste. Al di sopra del portale centrale era posta una grande iscrizione con una cornice assai ricca, probabilmente all’epoca ancora abbastanza recente e comunque successiva all’erezione del prospetto romanico. Una fascia di archetti pensili separava i due ordini, e nel registro superiore si apriva un grande rosone al di sopra del quale il Carmona ha curiosamente rappresentato un timpano curvilineo formato da archetti pensili che avrebbe costituito un unicum nel panorama romanico, non esistendo esempi simili. La Basilica, come noto, venne in seguito abbandonata e in parte demolita per ricavarne materiale da costruzione per i lavori di rifacimento della Cattedrale nella seconda metà del XVII secolo. Scomparve così anche l’ordine superiore della facciata, mentre sopravvisse il registro inferiore coi tre portali, che però ancora agli inizi del secolo si presentava assai differente rispetto a quello tuttora conosciuto. Difatti, un’incisione inserita nella “Guida della Città di Cagliari” del Canonico Spano mostra un prospetto basso e piatto, privo dei due grandi archi che sovrastano i portali laterali. Si potrebbe pensare ad un errore, se una foto d’epoca non confermasse la veridicità dell’incisione, confermando il coronamento piatto di ciò che restava della facciata romanica, la tamponatura dei portali laterali e l’assenza dei grandi arconi che non potevano comunque trovarsi nascosti al di sotto dell’intonaco poiché osservando oggi la facciata si nota che essi sono sporgenti rispetto ai portali laterali che invece nella foto d’epoca sono a filo della muratura. Per la comprensione di questo forte stravolgimento della facciata ci viene in aiuto una foto conservata nel Fondo Lepori dell’Archivio Storico e che immortala i lavori di restauro degli anni ’20 durante i quali venne realizzata la facciata posticcia che possiamo osservare ora, con la costruzione dei due grandi archi laterali (di per sé incoerenti con la struttura romanica originaria e che – se anche fossero stati antichi – avrebbero avuto un unico modello assai distante nello spazio e nelle fogge costruttive, ovvero la Chiesa di San Pietro extramuros di Bosa) e l’asportazione della porzione muraria compresa soprastante i portali, oltre all’eliminazione della piattabanda del portale centrale realizzata probabilmente in sostituzione di un architrave monolitico precedente.
Nel quartiere di Villanova sono solo tre gli edifici che mostrano sostanziali modifiche alle facciate, e si tratta di tre chiese.
La Chiesa di San Giacomo è quella che presenta il cambiamento di facciata più antico tra quelle di Villanova. L’edificio religioso fu la prima costruzione realizzata dai catalani dopo la conquista di Cagliari e si impose come modello per le chiese gotiche e tardogotiche di tutta l’Isola (a titolo di semplice esempio basterà osservare una delle tante chiese sarde col campanile sul lato sinistro della facciata per ravvisare da subito delle similitudini formali e spaziali col San Giacomo di Villanova), e dunque doveva rispondere in modo perfetto ai canoni del gotico catalano mostrando pertanto una facciata con terminale piatto verosimilmente sovrastato da merli, con un rosone o un oculo circolare al di sopra del portale il quale doveva essere sormontato da una lunetta a sesto acuto. La facciata attuale è frutto di un rifacimento migliorativo in veste neoclassica ed è una delle più eleganti realizzazioni progettuali di Gateano Cima che la disegnò nel 1831. Il prospetto, non particolarmente sviluppato in altezza anche per non sminuire l’imponenza dell’adiacente campanile (probabilmente nella prima fase progettuale gotica era previsto anche un secondo campanile sul lato destro, mai portato a compimento ma intuibile dallo specchio liscio alla destra della facciata), si caratterizza per l’armonia dell’insieme ripartito in tre specchi da quattro semicolonne di calcare di Bonaria con capitelli corinzi realizzati in bronzo; al di sopra delle semicolonne corre una semplice trabeazione sormontata da un fregio liscio oltre il quale un timpano triangolare privo di elementi decorativi forma il coronamento del prospetto. Dei tre specchi in cui è suddivisa la facciata quello centrale è ampio il doppio rispetto ai due laterali e al centro di esso si apre l’ampio portale riquadrato da una semplice ed elegante mostra in pietra calcarea sovrastata da un’ampia lunetta con la chiave di volta abbellita da una raffinata voluta in bronzo a foglie d’acanto e ai lati della quale sono inserite ghirlande circolari in calcare. Tra i capitelli, negli specchi laterali, sono presenti dei festoni floreali anch’essi realizzati nello stesso calcare delle colonne e delle ghirlande. Non è del tutto chiara la motivazione che condusse al rifacimento della facciata della Chiesa, ma verosimilmente l’intervento fu dovuto alla riprogettazione dello spazio della Piazza San Giacomo secondo il piano urbanistico elaborato proprio da Gaetano Cima.
A poca distanza dalla chiesa di San Giacomo, la chiesa di San Giovanni è oggi contraddistinta da una facciata neogotica a capanna con chiari accenni al decorativismo liberty. Il Canonico Spano, nella sua Guida della Città di Cagliari ci dice – in modo breve e conciso – a proposito della chiesa di San Giovanni che “non ha facciata”. È probabile comunque che la chiesa fosse abbellita da un qualche elemento architettonico almeno per quanto riguarda il portale, tant’è che al di sopra di esso è ancora presente una lunetta con un affresco seicentesco raffigurante San Giovanni Battista oggi nascosta da una tavola dipinta a colori vivaci e piuttosto kitsch raffigurante San Giovannino con l’Agnello. La facciata presenta forti analogie con quello che fu il prospetto neogotico del Santuario di Bonaria e con la facciata della Chiesa della Provvidenza Agricola di via Giardini, dunque forse tutti e tre i prospetti sono opera dello stesso progettista. La facciata di San Giovanni è a capanna, suddivisa in due ordini a una sottilissima fascia marcapiano decorata con un lieve motivo ornamentale ad elementi vegetali. Nell’ordine inferiore si apre il portale con la summenzionata lunetta e caratterizzato dai capitelli già richiamanti uno stile decorativo di matrice squisitamente liberty. L’intradosso del portale invece corrisponde a quello originario riconoscibile dalla forma che si restringe negli angoli superiori per la presenza di due mensole laterali sulle quali posa la piattabanda che separa il portale dalla lunetta. Nel secondo ordine si aprono due monofore evidenziate da forti strombature e caratterizzate da vetrate policrome, sormontate da un rosone centrale suddiviso in dodici spicchi e rallegrato da vetri di differenti colori. Termina il prospetto il timpano su archetti pensili e delimitato da un robusto cornicione.
Ancora nella via San Giovanni è la Chiesa di San Mauro a mostrare modifiche sostanziali al prospetto, operate negli anni ’30 del ‘900. Le modifiche non furono tali da stravolgere la facciata anzi, ne resero ben più armonico l’insieme pur connotandolo in modo differente rispetto al primo impianto. Originariamente infatti la Chiesa di San Mauro era suddivisa – come avviene tuttora – in cinque specchi mediante quattro lesene di ordine gigante più altre due lesene interrotte a metà altezza affiancate a quelle che delimitavano lo specchio centrale. Nessuna parasta angolare segnava gli estremi del prospetto, come avviene tuttora. Una trabeazione con fregio liscio – interrotto solo dalla prosecuzione delle lesene – separava la parte inferiore dalla facciata dal timpano liscio sul quale era innestato un piccolo campanile a vela. Il portale in trachite grigia è pervenuto intatto ai giorni nostri ed è sovrastato da una lunetta con un affresco seicentesco non ben leggibile per via dello stato conservativo, al di sopra della quale è inserita una finestra dall’originale forma a ferro di cavallo.
Nel 1934 venne proposto un progetto di modifica del prospetto secondo uno schema ispirato a canoni neoclassici e – in parte – anche alla summenzionata facciata di San Giacomo. Ecco dunque che nella facciata sarebbero state inserite quattro semicolonne con capitelli corinzi a suddividere il prospetto in cinque specchi, mentre le aperture praticate in ogni specchio sarebbero state trasformate da rettangolari in arcate a tutto sesto riquadrate da imponenti cornici e limitate da colonnine laterali (almeno le due finestre degli specchi mediani). La finestra a ferro di cavallo avrebbe dovuto lasciare il posto ad un rosone mentre il timpano sarebbe stato arricchito da un cornicione su mensoline. Tale progetto non venne mai messo in pratica, seppur fosse originale e piuttosto armonico oltre che rispettoso delle preesistenze, ma il prospetto subì comunque delle mutazioni: anzitutto le lesene ai lati dello specchio centrale che originariamente erano interrotte a metà altezza vennero prolungate fino al basamento al pari delle altre quattro; negli specchi mediani inoltre vennero messi in evidenza gli archi di sostegno con un lieve arretramento della muratura di tamponatura, sebbene poi l’intonaco uniforme del quale venne rivestito il prospetto non li renda particolarmente evidenti o caratterizzanti. La parte che però subì le modifiche più importanti fu il timpano, che da una semplice forma triangolare venne mutato in un doppio timpano spezzato che dà alla facciata un aspetto a salienti e al cui interno un sistema di cornici e lesene rende movimentato l’insieme fino a condurre lo sguardo verso la nicchia centrale realizzata in questa fase di modifiche all’interno della quale è inserita una statua di Sant’Antonio da Padova. Il nuovo assetto del timpano rivela come il progettista, seppur in modo modesto, si sia richiamato a forme tipiche dell’architettura palladiana. A coronamento del prospetto, in luogo del precedente campanile a vela, si trova la Croce in ferro battuto sul simbolo dei tre colli.
Lasciando il quartiere di Villanova, ci si può addentrare nel rione Marina, dove sono molti gli esempi di facciate che hanno subito importanti modifiche a cavallo tra ‘800 e ‘900.
Uno dei casi più emblematici di questa tendenza a modificare gli esterni degli edifici è rappresentato dalla Chiesa del Santissimo Sepolcro, che ha visto la riorganizzazione del prospetto principale e la realizzazione ex-novo di un’altra facciata prospiciente la piazzetta. Ma procediamo con ordine partendo dalla facciata principale, quella che affaccia sul piccolo spazio compreso tra la Chiesa e le scalette che conducono al Portico di Sant’Antonio.
Così ce la descrive il Canonico Spano nella sua più volte menzionata “Guida della Città di Cagliari” del 1861: “[…] La porta maggiore è a ponente, alla quale si entra per mezzo di un cancello di ferro. Bizzarra e trista è l’architettura in quei due stipiti di marmo nero, ove sono scolpiti in rilievo due grandi scheletri che sembrano di annunziarti l’ingresso d’un cimitero, o di sala anatomica”. Il portale della Chiesa era dunque caratterizzato dalla singolare presenza di due scheletri scolpiti in marmo, eliminati nei primi decenni del XX secolo. Non sono state riscontrate documentazioni fotografiche della Chiesa precedenti la demolizione dei due scheletri ai lati del portale, ma un documento custodito nell’Archivio della Chiesa di Sant’Eulalia e risalente al 1749 mostra nel frontespizio un disegno che rappresenta una struttura architettonica analoga a quella narrata dallo Spano, ovvero un’arcata o un portale affiancato da due scheletri sorreggenti ciascuno un capitello su cui posa un fregio e una trabeazione superiore con volute sui cui si trovano altre due raffigurazioni scheletriche della morte sovrana.
Il disegno custodito a Sant’Eulalia sarebbe dunque una rappresentazione arricchita di nuovi dettagli di quello che fino all’inizio del secolo scorso era l’aspetto dell’ingresso principale alla Chiesa del Sepolcro. La presenza degli scheletri nel portale è dovuta al fatto che la chiesa era sede dell’Arciconfraternita dell’Orazione e della Morte, e infatti al suo interno – in modo particolare nella Cripta – non mancano ulteriori raffigurazioni della Morte Sovrana e di scheletri con tibie (delle quali abbiamo già parlato in uno dei primi articoli, dedicati alla rappresentazione della Morte e dei mostri a Cagliari). Con la demolizione dei due scheletri di marmo nero, il prospetto venne dotato di due semplici lesene scanalate che sorreggono i due capitelli ancora risalenti alla fase originaria del portale. Non è chiaro, e in questo non ci viene in aiuto nemmeno la guida del Canonico Spano, se in origine vi fossero altri due scheletri sul timpano spezzato e lo stemma al centro così come raffigurati nel disegno del 1749, eventualmente rimossi prima ancora che lo Spano scrivesse la sua Guida. Tutto sommato la sobrietà del prospetto come si presenta attualmente non manca di una sua dignità architettonica che però ha perso il suo carattere più originale e artistico seppur macabro.
Accanto alla chiesa, l’attuale Piazzetta del Santissimo Sepolcro era originariamente un cimitero annesso all’edificio religioso e retto dalla summenzionata Arciconfraternita.
Nella seconda metà dell’800, con la sistemazione della Piazzetta, si provvide a realizzare un nuovo prospetto laterale per la Chiesa, in sostituzione della nuda fiancata in cui si apriva un portale sormontato da un bassorilievo in ardesia rappresentante il Padre Eterno col globo in mano, ricordato dallo Spano prima del brano citato poc’anzi a proposito del portale principale. Il prospetto laterale – che oggi viene scambiato per quello principale – è spesso attribuito a Gaetano Cima, ma l’identificazione del progettista non è chiara; è evidente comunque l’ispirazione al gusto tardo-neoclassico della seconda metà del XIX secolo. Il prospetto è ampio quanto la navata e si caratterizza per il bel portale centrale che sorge in cima a una breve scalinata ed è riquadrato da una modanatura in pietra cantone al di sopra della quale è presente un timpano semicircolare ribassato. Ai lati del portale, in corrispondenza delle cappelle laterali, si aprono quattro lunette con da grate in ferro battuto davanti alle quali sono posti degli elementi decorativi in calcare formati da conchiglie posate ciascuna su una coppia di cornucopie. Al di sotto delle lunette sono presenti quattro false aperture riquadrate da semplici fasce intonacate. Oltre il cornicione superiore si trova un timpano di forma triangolare ma con una lieve inflessione sui lati e concluso all’apice da due volute sormontate da una conchiglia e dalla Croce in ferro. Ai lati del timpano e agli estremi del cornicione sono posti vasi ornamentali.
La guida del Canonico Spano ci fornisce indicazioni su un altro importante edificio che potrebbe aver subito una modifica piuttosto importante nel prospetto ma della quale, a parte il brano scritto dallo Spano, non è pervenuta altra documentazione. Si tratta della Chiesa di Sant’Antonio Abate, in via Manno, e in particolare del suo portale. Così lo descrive lo Spano “[…] Venendo ora all’annessa Chiesa, merita d’essere osservata l’architettura del portone formato come a pilastri di pietra vulcanica nera, così ben congegnati che può dirsi uno dei più belli che siano in Cagliari”. Tutti noi conosciamo la Chiesa di Sant’Antonio e ci siamo sempre soffermati ad ammirarne il portale, che però abbiamo sempre conosciuto con i suoi pilastri di calcare bianco (seppur meritevole di una bella ripulitura). Lo Spano invece, come abbiamo visto, ce lo descrive formato da pietra scura specificandone anche la natura vulcanica, dunque un basalto – raro però negli edifici di Cagliari – o una più diffusa e utilizzata trachite.
Si può ipotizzare di tutto sul perché di questa descrizione o sulla possibilità di un cambio così radicale nel portale della Chiesa. Si potrebbe pensare che i pilastri fossero anneriti dal tempo, ma il Canonico Spano aveva una profonda conoscenza della geologia tale da consentirgli di riconoscere un calcare bianco anche laddove fosse stato rivestito da una patina di polvere depositatasi in più di un secolo (la chiesa venne infatti consacrata nel 1723, mentre il testo dello Spano è del 1861), e in ogni caso nel 1861 non vi era circolazione di veicoli e presenza di agenti inquinanti tali da giustificare un annerimento che rendesse completamente nero il portale. Un’altra ipotesi è che i pilastri fossero volutamente rivestiti da una tinta scura tale da simulare una pietra nera, ma nel corso dei ripetuti restauri che si sono susseguiti nel corso di oltre due secoli sarebbero state almeno rinvenute tracce di tale rivestimento. La terza ipotesi è che lo Spano abbia riportato una descrizione veritiera e che in un momento non precisato, tra il 1861 e la fine dell’800 (quando la facciata della chiesa venne immortalata per la prima volta nelle foto che rappresentavano quello scorcio della Via Manno, peraltro con i pilastri in pietra bianca ben visibili), i pilastri di pietra trachitica o basaltica siano stati sostituiti da una pietra calcarea analoga a quella della trabeazione e del soprastante fastigio con la nicchia che ospita la statua del Santo.
A conferma di questa terza ipotesi basta guardare le basi su cui poggiano i plinti che sostengono i pilastri, e si noterà come siano differenti in quanto formati proprio da pietra scura (nella fattispecie un basalto). La motivazione che potrebbe (in assenza di documentazioni o materiale iconografico è d’obbligo il condizionale) aver condotto a questo cambiamento potrebbe essere legata al passaggio della Chiesa dall’Ordine Ospedaliero dei Fatebenefratelli – del quale rimane lo stemma sopra il portale – alla Confraternita di Nostra Signora d’Itria, nel 1881 anno in cui la Confraternita d’Itria lasciò la sua sede originaria – l’attuale Oratorio dell’Asilo Marina e Stampace – trasferendo a Sant’Antonio anche il grandioso altare dedicato alla Madonna d’Itria ora visibile nella seconda cappella a destra per chi entra in chiesa e descritto anche dallo Spano nel 1861 quando si trovava ancora nella sua collocazione originaria. Il passaggio dai Fatebenefratelli alla Confraternita d’Itria potrebbe aver avuto come conseguenza proprio l’eliminazione dei due pilastri neri nei quali potrebbe essere identificabile un significato simbolico legato all’Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio e che la Confraternita d’Itria potrebbe non aver voluto mantenere nel tempo.
Poco più in alto rispetto alla Chiesa di Sant’Antonio Abate, sempre nella via Manno, anche la scomparsa Chiesa di Santa Caterina dei Genovesi subì delle parziali modifiche nel prospetto. Per descriverle ci si può basare solo su foto d’epoca scattate in momenti storici diversi. La prima, quella che più di tutte ci indica lo stato precedente della facciata, è la celebre foto scattata da Edouard Delessert nel 1854 che inquadra il solo portale centrale e le lesene che scandivano in tre specchi la parte inferiore del prospetto. Dalla foto del Delessert è possibile osservare come le lesene fossero di ordine dorico-tuscanico, rimarcate nel fusto da un bordo modanato, e analoghe a quelle del prospetto della Chiesa di Santa Teresa ora Auditorium Comunale, in Piazzetta Dettori. I due portali laterali della chiesa erano invece riquadrati da fasce in bugnato che rimarcavano i conci delle piattebande oltre le quali si aprivano delle finestre a lunetta contornate da una robusta cornice modanata. Sopra il portale centrale, al di sopra delle volute sovrastanti la trabeazione, erano presenti due angioletti col braccio teso al cielo.
Da alcune fotografie degli anni ’20 e in particolare da una degli anni ’30 è possibile osservare le modifiche apportate nel secondo decennio del XIX secolo: anzitutto i due angioletti che sovrastavano il portale non erano più presenti, ma questa fu una modifica imposta dalla caduta dell’angioletto di destra, staccatosi dalla grappa che lo sosteneva e precipitato sul manto stradale col ferimento – non grave – di un pedone che transitava. Per questioni di simmetria, non volendosi scolpire un nuovo angioletto o recuperare il precedente, venne eliminato anche quello di sinistra. Le lesene invece si presentavano ora lisce, prive della modanatura che correva lungo il fusto, e soprattutto i loro capitelli erano stati modificati in stile ionico, sicuramente più elegante dello stile tuscanico ma meno fedele ai canoni originari dell’edificio. Anche i portali laterali subirono modifiche, difatti non sono più visibili le cornici bugnate che li attorniavano in precedenza, sostituite da semplici fasce lisce, mentre le lunette soprastanti vennero ingrandite con la conseguente riduzione dello spessore della cornice che ne segnava il bordo. L’edificio venne letteralmente raso al suolo dai bombardamenti del 1943, in un modo talmente rovinoso da non consentirne la ricostruzione per anastilosi e quindi si presentò la possibilità di ricostruire ex-novo la Chiesa oppure – come avvenne – costruire un nuovo edificio moderno alle pendici del Monte Urpinu come nuova sede dell’Arciconfraternita dei Genovesi.
Il progetto di ricostruzione in situ presentato dal Genio Civile nell’immediato dopoguerra presentava un prospetto completamente differente da quello barocco al quale i Cagliaritani erano affezionati e del quale rimpiangono tuttora la perdita: venne progettata una chiesa con una facciata elegante – seppur distante dal modello originario – caratterizzata dalla suddivisione in tre specchi, lisci i due laterali e più articolato quello centrale nel quale quattro colonne doriche davano l’accesso ad un portico che immetteva nella Chiesa. Al di sopra del portico, in un grande spazio quadrato limitato da due colonne corinzie, sarebbe stata inserita l’iscrizione dedicatoria, sovrastata dallo stemma originariamente collocato sopra il portale barocco e recuperato miracolosamente integro tra le macerie postbelliche. Lo stemma sarebbe stato contenuto entro un timpano semicircolare a sua volta inserito all’interno del timpano triangolare che concludeva il nuovo prospetto. Purtroppo anche questa possibilità di riavere la chiesa di Santa Caterina in via Manno sfumò in favore della costruzione del nuovo edificio di via Gemelli, alle pendici di Monte Urpinu, e al posto della chiesa oggi è presente un anonimo edificio grigio che ospita un grande magazzino nella parte bassa e uffici nei piani superiori.
Il quartiere Marina ci offre ancora altri esempi di modifiche notevoli ai prospetti degli edifici. Uno dei casi più clamorosi è quello della Chiesa di Sant’Eulalia.
Costruita in stile gotico catalano nel 1370 circa e profondamente rimaneggiata soprattutto nel XVI secolo secondo dettami ancora tardogotici, la Chiesa doveva presentare originariamente un aspetto che ricalcava i già descritti canoni dell’architettura catalana, ovvero un sobrio prospetto a terminale piatto probabilmente merlato, un grande rosone circolare al di sopra del portale lunettato e un campanile a canna quadrata con aperture monofore. A Sant’Eulalia inoltre erano presenti fin dalla prima costruzione i contrafforti posti a rinforzo della facciata e orientati a 45° rispetto ad essa, così come avveniva – lo vedremo in seguito – nell’originario prospetto della Chiesa di Sant’Antonio dei Cappuccini e in alcuni altri rari esempi isolani.
Nel corso del XVII secolo e del XVIII secolo la chiesa venne arricchita di nuovi arredi marmorei e in quest’epoca di restauri secondo canoni barocchi anche la facciata venne modificata con la realizzazione di un terminale mistilineo, l’occultamento del rosone nascosto da una finestra monofora che riprendeva le linee del terminale soprastante e l’inserimento di due lesene di ordine tuscanico a rimarcare gli angoli tra i contrafforti e il prospetto vero e proprio. Il Campanile venne inoltre innalzato con la costruzione di un secondo ordine di monofore – stavolta realizzate nelle stesse forme della finestra posta in facciata – e successivamente, nel XVIII secolo, con la realizzazione di una sopraelevazione a pianta ottagonale più piccola rispetto alla canna quadrata del campanile circoscritta entro un parapetto con eleganti balaustre ai cui angoli erano poste quattro lucerne con la fiaccola della Vita. La sopraelevazione ottagonale aveva due ordini di finestre, quello inferiore formato da aperture a losanghe polilobate e quello superiore costituito da oculi circolari di ridotta dimensione. Terminava il campanile un cupolino maiolicato nel quale erano presenti altre quattro aperture mistilinee che seguivano l’andamento degli spicchi in cui erano praticate, e un lanternino cieco sul quale era innalzata una Croce in ferro. Nel complesso si trattava del più bel campanile barocco di Cagliari.
I restauri condotti dall’Ing. Simonetti tra il 1914 e il 1919 hanno apportato modifiche considerevoli agli esterni dell’edificio religioso e vanno inquadrati in una corrente di pensiero medievalista teso da un lato a rimettere in luce elementi originari precedentemente occultati come, nel caso di Sant’Eulalia, il bellissimo rosone gotico (che avrebbe comunque potuto convivere in armonia con l’assetto barocco della facciata senza bisogno di altre alterazioni) mentre dall’altro lato tendeva a trasformare in medievale anche ciò che non era stato creato in quel periodo, come vedremo a proposito del campanile. Ecco dunque che il prospetto viene ridisegnato secondo un assetto neogotico a capanna che tra l’altro è incoerente con i modi gotico-catalani diffusi e reinterpretati nell’isola: è difatti rara l’esistenza di facciate a capanna negli edifici gotico-catalani (fatte salve rare e notevoli eccezioni come la chiesa di Santa Giulia a Padria e il San Giorgio di Pozzomaggiore, peraltro in nessuno dei due casi il timpano è sostenuto da archetti pensili come nella reinvenzione del prospetto di Sant’Eulalia) mentre la facciata a capanna è diffusa soprattutto negli edifici che si sono ispirati a modi gotici ancora di matrice italiana. I contrafforti laterali e il portale vennero mantenuti, mentre le lesene e il coronamento mistilineo scomparvero definitivamente. Lo stravolgimento più drammatico e notevole avvenne però per quanto riguarda il campanile: se la base a canna quadrata venne mantenuta intatta poiché ancora rispecchiante i modi gotici secondo i quali fu costruita, la sopraelevazione a base ottagonale venne completamente stravolta nelle sue forme, con l’eliminazione del parapetto a balaustre, la sostituzione delle finestre a losanga con monofore archiacute, l’occlusione dei piccoli oculi circolari e soprattutto con l’eliminazione del cupolino maiolicato in favore di una cuspide piramidale si base ottagona rispecchiante un assetto gotico che quella struttura non ebbe mai. Fu così che Cagliari perse il suo campanile barocco più bello, più elegante persino di quelli della chiesa di Sant’Anna…
Un ultimo caso nel quartiere Marina di edificio religioso (ne vedremo altri due riguardanti edifici civili) profondamente mutato nel prospetto è rappresentato dalla Chiesa di San Francesco di Paola. L’edificio venne costruito assieme all’adiacente convento sul finire del XVII secolo come nuova sede per l’Ordine dei Padri Minimi, fino ad allora insediati nella chiesa e nel convento dell’Annunziata. Il prospetto originario ricalcava stilemi tipici del linguaggio barocco isolano come il timpano mistilineo e il portale riquadrato tra due ordini di semicolonne corinzie sorreggenti una trabeazione piuttosto aggettante (secondo un modello affine a quello della Chiesa di Santa Teresa in Marina, ora Auditorium Comunale, dove però le semicolonne sono sostituite da lesene). Il portale era poi sovrastato da un singolare timpano curvilineo a volute riquadrante un bassorilievo in una cornice quadrata. Al di sopra del portale era presente un piccolo oculo circolare sorretto da una mensola, analogo a quelli dell’Oratorio del Santissimo Crocifisso in piazza San Giacomo). Nella parte alta della facciata si apriva una grande finestra lunettata con cornice cigliata poggiante su peducci sopra la quale era poi presente un’altra apertura – stavolta quadrata – originariamente aperta (e in seguito murata) a mostrare il cielo secondo un preciso significato simbolico riscontrabile anche nella Chiesa di Santa Rosalia e nella Basilica di Santa Croce.
Il prospetto della chiesa venne costruito ex-novo poiché la chiesa venne allungata per consentire il rettifilo della palazzata di Via Roma (sulla quale prospetta la chiesa) e dunque le modifiche non furono apportate direttamente alla facciata originaria (in ogni caso andata perduta) ma ne venne realizzata una nuova pochi metri – giusto lo spazio del portico – più avanti. Il nuovo prospetto venne eretto nel 1932 e dunque nello stesso arco temporale in cui veniva costruita la nuova facciata della Cattedrale, ma con un più raffinato linguaggio neoclassico.
Il nuovo prospetto è realizzato in calcare di Bonaria ed è diviso in tre ordini. In quello inferiore si aprono le tre arcate del portico separate da quattro colonne scanalate di stile ionico, sopra le quali corre una trabeazione con fregio liscio nel quale è inserita l’iscrizione dedicatoria in caratteri di bronzo. Il secondo ordine è scandito in tre specchi da quattro semicolonne scanalate stavolta però di stile corinzio. Nello specchio centrale si apre una loggetta per le benedizioni con balcone riquadrato da due lesene ioniche sorreggenti un’ampia trabeazione oltre la quale è aperta una finestra lunettata, mentre gli specchi laterali sono occupati da nicchie vuote – entro le quali erano previste le statue di San Francesco di Paola in quella sinistra e di San Michele che sconfigge il Drago in quella destra.
Al di sopra di ogni nicchia è posto un cartiglio vuoto, non destinato ad accogliere iscrizioni o bassorilievi nemmeno nel progetto originale. Oltre i capitelli delle semicolonne corinzie corre un secondo fregio liscio interrotto solamente da quattro dischi lisci in corrispondenza di ogni semicolonna. Il terzo ordine è costituito dal timpano con ricca cornice su mensoline al centro del quale è scolpito lo stemma dell’ordine dei Padri Minimi, ovvero lo scudo di San Michele Arcangelo con la scritta CHARITAS e attorniato dai raggi del Sole così come apparve in sogno a San Francesco di Paola in mano all’Arcangelo Michele. Nel progetto della nuova facciata, al posto del timpano era previsto un coronamento attico con due lucerne con la fiaccola della vita e una piccola edicola timpanata al centro con il suddetto simbolo dei Padri Minimi; una variazione in corso d’opera condusse alla realizzazione del timpano ampio come il prospetto e forse più adeguato allo stesso rispetto all’edicola.
Come accennato prima, nel quartiere Marina sono presenti anche due notevoli esempi di modifiche alle facciate di edifici civili. Il caso forse più noto è quello riguardante il palazzo dell’Ex Hotel Du Progres in via Baylle, che ospitò il fotografo Edouard Delessert, il primo a fotografare Cagliari (se si eccettuano i primi esperimenti fotografici di Joseph Nicéphore Niépce a fine ‘700 perché – bisogna ricordarlo – la fotografia venne da lui concepita proprio a Cagliari), nel 1854. E proprio al Delessert si deve la celebre foto dell’Hotel Du Progres che oggi ci consente di appurare le modifiche apportate al suo prospetto negli anni ’30 del ‘900. Originariamente la facciata era caratterizzata da uno stile tardo barocco già votato al neoclassicismo ed era contraddistinta dalla suddivisione in tre specchi (quello centrale con tre balconi e i due laterali con un solo affaccio) per mezzo di due file sovrapposte di lesene scanalate di ordine gigante, di stile tuscanico quelle tra il pianterreno e il primo piano, ioniche quelle tra il secondo e il terzo piano. I portali laterali e i balconi del primo piano erano riquadrati entro cimase modanate sulle quali spiccavano le chiavi di volta degli archi ribassati dei balconi, ognuna realizzata in forma di voluta sovrasta da una conchiglia dalla quale si dipartivano festoni vegetali. Al secondo piano i balconi presentavano invece una modanatura sovrastata da ampi timpani semicircolari sovrastati anch’essi da festoni vegetali più robusti e rimarcati rispetto a quelli del primo piano. Il terzo piano invece presentava balconcini sormontati da cimase lineari ma riccamente modanate. Oltre il quarto piano era presente un fregio nel quale si aprivano degli oculi circolari in corrispondenza di ogni balcone e sopra il quale una cornice a dentelli sorreggeva l’ampio e aggettante cornicione. Concludeva la facciata la ringhiera in ferro battuto che delimitava la terrazza dalla quale il Delessert immortalò alcune splendide vedute panoramiche di Cagliari. Oggi l’edificio è profondamente mutato e risente delle modifiche apportate durante il Ventennio e corrispondenti ad un linguaggio proto-razionalista. Ogni elemento decorativo venne eliminato oppure appianato e le lesene appaiono oggi lisce e anonime; i balconi sono riquadrati da semplici cornicioni lisci leggermente strombati verso l’interno e privi di qualsivoglia decorativismo. Oltre il quarto piano sono ancora presenti gli oculi circolari ma la cornice a dentelli e il cornicione soprastante sono stati sostituiti da una fascia liscia e da una cornice sporgente priva di modanature. La ringhiera in ferro battuto della terrazza è stata invece sostituita da un parapetto in muratura. Del prospetto originario si sono fortunatamente salvati il bel portale centrale con mostra in pietra calcarea e mascherone sulla chiave di volta della piattabanda e i leggiadri balconi in ferro battuto, la cui eleganza fa apparire ancora più anonimo il nuovo assetto decorativo della facciata.
Di fronte all’ex Hotel Du Progres, si trova il secondo caso di edificio civile fortemente modificato nel suo aspetto esterno pochi anni prima della facciata dell’Hotel. Si tratta dell’edificio che ospitò le Poste Centrali fino all’inaugurazione del nuovo edificio di Piazza del Carmine, ovvero nel 1932, anno in cui il vecchio edificio di Via Baylle venne trasformato nella sede dei fasci di combattimento. In quell’anno l’edificio – che fino ad allora si presentava sobrio e dignitoso, caratterizzato dal semplice uso di cornici marcapiano e dalle cornici delle persiane quali unici elementi decorativi. Con la trasformazione nella sede dei fasci di combattimento l’edificio venne innalzato di un piano, mentre il mezzanino – che fino ad allora era intonacato come un piano a sé stante – venne inglobato in un unico basamento rimarcato da fasce di bugnato liscio. I balconi laterali dell’ex piano nobile vennero decorati con un liscio motivo semicircolare mentre quello centrale venne riquadrato da una cornice lievemente strombata al di sopra della quale venne posto un elemento decorativo circolare analogo ai due posti tra i balconi laterali e le robuste e pesanti lesene angolari. Anche i balconi del secondo piano vennero riquadrati entro sobrie cornici lisce mentre l’ultimo piano – aggiunto come detto nel 1932 – non presenta alcun ornamento. Le cornici marcapiano e i cornicioni originali vennero sostituiti con elementi aggettanti ma privi delle modanature che caratterizzavano quelli precedenti. Tutto sommato oggi – grazie ad un recente restauro e alla scelta di una vivace tonalità gialla – l’edificio non risente della pesantezza decorativa datagli nel ventennio, ma è comunque privo della sobria e dignitosa eleganza delle sue origini.
Il percorso tra le facciate modificate si sposta ora nel quartiere Stampace dove sono solo due gli esempi più notevoli, e poi si concluderà definitivamente con l’esame di due architetture a destinazione pubblica.
La prima chiesa stampacina ad aver subito una radicale trasformazione della facciata è quella dedicata alla Santissima Annunziata, al termine del Corso Vittorio Emanuele II. Del prospetto originario, che dobbiamo immaginarci sobrio ed essenziale (trattandosi anche di una chiesa posta, almeno fino alla metà dell’800, ai margini dell’abitato urbano e quindi non necessitante di una facciata particolarmente scenografica) non si ha materiale documentario tale da poterne descrivere l’aspetto. Neppure il Canonico Spano ci viene in grande aiuto poiché tutto ciò che ci dice sull’esterno è che si accedeva alla chiesa da un vestibolo chiuso da un cancello. Il prospetto attuale è frutto di un elegante progetto proposto da Dionigi Scano e realizzato entro il 1913 in uno stile a metà tra il liberty e il neoclassicismo ispirato a modi rinascimentali. La facciata è suddivisa in cinque specchi da quattro lesene con capitelli compositi ornati da volute, foglie d’acanto e volti di cherubini. I due specchi laterali sono lisci e scanditi solamente dalle cornici marcapiano che si dipartono dal portale e proseguono anche negli specchi mediani. I due specchi mediani presentano invece dei cartigli rettangolari adatti ad ospitare bassorilievi o iscrizioni mai realizzati, mentre lo specchio centrale, più ampio degli altri, ospita il bel portale riquadrato tra lesene al posto dei cui capitelli si trovano delle volute con cherubini dalle ali intrecciate al di sotto delle quali pendono elementi vegetali e nappe decorative in uno stile elegante di matrice liberty. Al di sopra del portale un timpano triangolare si inserisce in una grande lunetta semicircolare con chiave di volta decorata da una voluta a foglia d’acanto. Oltre la lunetta è posto uno stemma dalle linee liberty sormontato da un cherubino ad ali spiegate. Un fregio liscio separa l’ordine inferiore coi suoi cinque specchi dal timpano triangolare alle spalle del quale una parete in muratura ornata da una sobria cornice nasconde la struttura del tetto della chiesa. Sul lato sinistro della facciata si erge il campanile, costruito anch’esso nel 1913 durante il rifacimento della facciata, caratterizzato dal basamento ospitante una nicchia vuota con chiave di volta analoga a quella della lunetta del portale e delimitato da lesene gemelle a quelle che suddividono in cinque specchi il prospetto della chiesa. La parte superiore del campanile è invece caratterizzata dalle paraste angolari con capitelli corinzi e dalle aperture a sesto acuto che due colonne corinzie sovrastate da una trabeazione e da altri due elementi verticali lisci scandiscono in finestre trifore. Termina l’elegante campanile il cupolino sormontato da uno svelto lanternino.
Percorrendo il Viale Merello, adiacente al campanile dell’Annunziata, e svoltando in via Don Bosco e quindi salendo nel Viale Sant’Ignazio da Laconi si incontra la seconda chiesa stampacina che subì radicali modifiche nel suo prospetto. Si tratta della chiesa di Sant’Antonio dei Cappuccini. Il suo impianto originario, risale al 1591 e si presentava con un prospetto rispondente pienamente ai canoni del tardo-gotico aragonese, ovvero un prospetto dal terminale piatto sormontato da merli e riquadrato entro due contrafforti analoghi a quelli della chiesa di Sant’Eulalia. Il portale era sormontato da una lunetta a sesto acuto entro la quale era presente un affresco visibile nelle foto d’epoca ma non leggibile per la distanza del punto di ripresa. Al di sopra del portale si apriva un semplice oculo circolare con una lieve modanatura lungo la circonferenza. Anche il Canonico Spano ci descrive la sobrietà dell’esterno dell’edificio: “[…] La facciata della Chiesa è molto semplice come conviene al povero instituto: solo è da osservare che termina con merli alla foggia delle costruzioni arabe, simile a quella del Convento di San Benedetto, che pare siano opera d’uno stesso architetto.”
Agli inizi del ‘900, anche in virtù della sempre maggiore devozione verso Sant’Ignazio da Laconi (all’epoca non ancora beatificato ma la cui Santità era fortemente sentita dalla popolazione non solo cagliaritana ma di tutta la Sardegna) la chiesa venne ingrandita e trasformata in un edificio trinavato. A questo nuovo assetto strutturale dovette venire adeguata anche la facciata che dunque non poteva più presentarsi come corrispondente alla sola navata originaria, e venne eretto un nuovo prospetto di foggia neoclassica caratterizzato originariamente da un rivestimento ad intonaco imitante la pietra in più varianti tonali. Al di sopra del semplice portale di nuova realizzazione venne ingrandito l’originario oculo, dotato ora di una vetrata a dodici spicchi in vetri policromi. Concludeva l’essenziale prospetto un timpano sormontato dalla Croce recuperata dal prospetto originario e che si trovava al centro della facciata tra i merli gotici. Il timpano non occupava l’intero spazio della facciata ma era affiancato da due ali laterali lineari che racchiudevano la facciata in un campo quadrato. Ulteriori restauri portarono all’eliminazione dell’intonaco imitante la pietra in favore di un più sobrio intonaco monocromo, ma la chiesa subì un ulteriore ingrandimento in seguito alla Canonizzazione di Sant’Ignazio nel 1951, conseguente alla beatificazione del 1940.
Con i lavori cominciati dagli anni ’50 il prospetto subì una nuova trasformazione in veste neoromanica con una composizione a salienti realizzata in pietra di Bonaria. Il nuovo e ampio prospetto non presenta cornici o elementi divisori che lo scandiscano in più ordini sovrapposti. Nella parte inferiore si aprono tre portali, di cui quello centrale è sovrastato da una lunetta con un mosaico raffigurante Sant’Ignazio da Laconi ed è inquadrato in una robusta cornice formata da un triplice ordine di conci. I due portali laterali presentano invece una cornice più sottile, formata da una sola fila di conci e lunette mosaicate, dedicate a San Francesco quella a sinistra e a Sant’Antonio da Padova quella destra. L’originario oculo circolare è stato occluso, ornato di una sobria modanatura e decorato con un mosaico raffigurante il Cristo Pantocratore. Il timpano e i salienti laterali sono ornati da un sobrio cornicione e una croce in ferro battuto conclude il prospetto.
Come anticipato, gli ultimi due edifici di cui parleremo sono due strutture ad uso civile: la Stazione Centrale e la scomparsa Stazione delle Ferrovie Complementari.
La Stazione Centrale venne costruita su progetto dell’architetto algherese Luigi Polese e inaugurata nel 1879. L’edificio si presentava con una facciata neoclassica di grande eleganza e armonia compositiva. Il prospetto, ampio quanto il lato corto dell’attuale Piazza Matteotti, era formato da un pianterreno costituito da un basamento in bugnato suddiviso in tre parti: quella centrale, lievemente aggettante, nella quale si aprivano le tre arcate d’accesso ancora presenti più due finestre laterali e due ali laterali che costituivano la base delle due terrazze soprastanti e nelle quali si aprivano tre finestre nei cui archi proseguiva la bugnatura del basamento. Il piano superiore era formato dai due prospetti arretrati affaccianti sulle terrazze laterali – nei quali si aprivano balconi e finestre sormontati da cimase su mensoline – e dal corpo centrale in cui erano presenti cinque balconi separati da quattro semicolonne di ordine ionico che sorreggevano il timpano triangolare entro il quale era racchiuso l’orologio circondato da una ricca cornice ad elementi vegetali. Le aperture centrali erano sormontate da timpani curvi poggianti su mensoline, mentre i timpani dei due balconi laterali erano triangolari. Al di sopra del timpano con l’orologio correva un ricco fregio a girali d’acanto che si diramava dallo stemma del Regno di Sardegna posto all’apice del timpano. Con l’istituzione delle Ferrovie di Stato (dopo il 1905), nelle quali confluì anche la Stazione Centrale di Cagliari, il fregio venne eliminato, probabilmente nell’intento di sostituirlo con uno che presentasse lo stemma della nuova compagnia di trasporti o forse per un parziale crollo.
Negli anni ’20 la Stazione venne sottoposta ad un ingrandimento che comportò radicali trasformazioni anche nel prospetto, riprogettato dall’architetto Roberto Narducci, autore dei progetti di numerose stazioni italiane: in primo luogo venne costruito un secondo piano e tutto l’apparato decorativo neoclassico scomparve per far posto ad un nuovo assetto rispondente ai canoni estetici storicisti della prima fase architettonica del ventennio. Del prospetto precedente si salvarono le tre arcate d’accesso con le loro murature in trachite grigia e le aperture del pianterreno anch’esse con le loro modanature in pietra scura, mentre l’intero basamento venne intonacato. Le terrazze vennero chiuse per ottenere nuovi spazi per l’amministrazione e i prospetti che furono realizzati al loro posto sono costituiti ciascuno da tre finestre per piano: quelle del primo piano poggianti sulla cornice marcapiano e su un falso parapetto che dona loro l’aspetto di balconi e sono sormontate da cimase lineari sorrette da mensole incorporate nelle cornici laterali; le finestre del secondo piano invece sono riquadrate da cornici modanate con i conci di volta delle piattebande messi in evidenza, inoltre le finestre non poggiano su cornici marcapiano ma sembrano quasi appese ad una cornice che corre poco al di sotto del loro margine superiore. Il corpo centrale risulta ancora aggettante come nella fase originaria, ed è sempre caratterizzato da cinque aperture per piano, che però sono ben differenti dai balconi neoclassici della veste precedente. Le aperture centrali del primo piano nel corpo aggettante sono costituite da finestre rette da pilastrini con capitelli tuscanici mentre quelle laterali sono più ampie e costituite da finestre trifore separate da colonne di stile ionico sorreggenti una trabeazione piatta. Al secondo piano le aperture sono invece costituite da balconi con eleganti balaustre: i tre centrali risultano piuttosto semplici e sono decorati dalla messa in mostra delle piattebande superiori; quelli laterali – al pari di quelli del primo piano – sono realizzati in forma di trifore suddivise da lesene in forma di volute e inscritte in arcate a tutto sesto. Al di sopra del cornicione su mensole è posto un fastigio con l’orologio sormontato a sua volta dalla scritta Ferrovie dello Stato posta sotto lo stemma sabaudo affiancato da due aquile. All’angolo con Via Roma è inserito uno stemma neobarocco con le iniziali delle Ferrovie dello Stato. Al vetrice di ogni angolo è poi posto un elemento quadrangolare con uno stemma liscio su ogni lato.
La Stazione delle Ferrovie Complementari venne inaugurata nel 1888, nove anni dopo quella centrale, ed anch’essa era originariamente contraddistinta da un’eleganza architettonica squisitamente rispondente ai canoni della Belle Époque. Il prospetto su Viale Bonaria era costituito da un corpo centrale aggettante a due piani e due ali laterali ad un piano singolo. Le aperture del pianterreno (cinque nel corpo centrale e due nelle ali laterali) erano formate da porte e finestre a tutto sesto rimarcate da robuste cornici modanate. Un cornicione poco aggettante e abbellito da un motivo a dentelli separava il pianterreno dal primo piano nel quale si aprivano altre cinque finestre caratterizzate da cornici mistilinee di notevole eleganza formale e già richiamanti un gusto decorativo di matrice liberty. Completava il corpo aggettante un cornicione su mensoline al di sopra del quale era posta la struttura che ospitava l’orologio, concepita seguendo lo stesso andamento mistilineo delle finestre del primo piano e raccordata al cornicione da due ali svasate. L’orologio era a sua volta inscritto in una cornice modanata e si presentava comunque di piccole dimensioni. L’eleganza formale della struttura venne completamente spazzata via negli anni ’30 in favore di una veste razionalista che diede al fabbricato un aspetto pesante e massiccio, privo della sua grazia originaria. Le aperture del pianterreno erano ora riquadrate da cornici robuste e poco modanate, con i tre portali centrali sormontati da una pensilina in cemento armato retta da mensole lineari e molto allungate. Al primo piano, quelle che erano delle deliziose finestre con cornici eleganti divennero dei semplici balconi inquadrati da fasce di intonaco lisce e con parapetti la cui unica decorazione era data da semplici motivi geometrici. Anche le mensole che sorreggevano il cornicione vennero semplificate nel loro aspetto e la struttura ospitante l’orologio appariva ora bassa e piatta. Ottant’anni dopo la sua inaugurazione, nel 1968, la Stazione venne sostituita dall’attuale stazione di Piazza Repubblica e demolita per far posto a nuovi spazi e al palazzo del Banco di Sardegna. Se la Stazione non avesse mai subito le modifiche di matrice razionalista, probabilmente la demolizione del ’68 avrebbe comportato una grave perdita nel patrimonio architettonico, ma le pesanti manomissioni degli anni ’30 avevano ormai reso poco interessante l’edificio del quale si può rimpiangere la bellezza della prima fase ma non l’esistenza nella sua seconda veste.
Con la Stazione delle Complementari si chiude questo lungo articolo, che spero non vi abbia annoiato e sia stato di vostro gradimento. Vi ringrazio sinceramente per la lettura.