L’articolo odierno deve necessariamente cominciare con due premesse. Anzitutto, a livello tecnico, per questioni di spazio disponibile quasi tutte le immagini sono ridimensionate, per una visione completa potete scorrervi sopra con il mouse, senza cliccare, e vedere i dettagli in formato originale.
La seconda premessa riguarda il contenuto dell’articolo. Infatti non è stato facile scriverlo, in parte per il tema trattato e in parte per il rischio di sconfinare in considerazioni politiche ma alla fine il risultato è ciò che leggerete: una descrizione di una serie di manufatti realizzati (con due eccezioni più antiche) in un’epoca che la Storia e l’Umanità hanno già provveduto a condannare e della quale non bisogna dimenticarsi, al fine di scongiurarne la riproposizione. E gli oggetti che di volta in volta verranno descritti vanno considerati proprio come monito perenne affinché quel passato condannato continui a restare tale: passato. Bisogna altresì precisare che – come avrete modo di leggere – la loro storia è ben più antica rispetto all’accezione che viene data oggi a questi simboli e questo rimanda al fatto che fu l’ideologia che li adottò come simboli a prendere il nome da loro, non furono quindi questi oggetti a ereditarne il nome ma l’esatto opposto, proprio in virtù della storia più antica e arcaica di questo simbolo che in origine non aveva l’accezione a noi nota, sebbene non fosse mai stata del tutto positiva.

La loro storia infatti risale agli Etruschi. Il più antico fascio littorio finora conosciuto è infatti un bronzetto rinvenuto nel 1898 a Vetulonia, nella cosiddetta “Tomba del Littore”. Si tratta di una stilizzazione di un fascio di canne sormontata da un’ascia bipenne assai allungata ancora lontana dalla scure che, in epoca romana, verrà associata al fascio di canne. In epoca romana assursero a simbolo del potere del Re, e venivano portati in spalla da dodici funzionari – appunto i Littori – che avevano il compito di difendere e proteggere il Re, oltre ad eseguire sul luogo le condanne. ll fascio littorio era costituito da un cilindro di canne di betulla legate insieme da stringhe di cuoio rosso alle quali era inoltre fissata la scure. La loro funzione, come detto, non era solo simbolica poiché venivano realmente usati per fustigare sul luogo i criminali e – nel caso della scure che veniva sfilata – per eseguire le sentenze capitali. Questa funzione diede loro un ulteriore significato: oltre a quello del potere di vita e di morte del Re, divennero anche un simbolo della giustizia capitale. Quest’ultimo significato acquisito è quello che consentì al simbolo del fascio littorio di sopravvivere ben oltre l’epoca romana, venendo adottato anche nella Roma papale e negli stemmi e bandiere di diverse nazioni.
Due fasci littori sono legati in particolare alla storia dell’arte barocca, essendo presenti in due capolavori realizzati da Lorenzo Bernini e da Giovanni Battista Maini che, ancora una volta, mostrano come il fascio littorio avesse un’accezione legata alla giustizia.
All’interno della Basilica di San Pietro, proprio alla destra della Cattedra di San Pietro è infatti collocato il pregevole sepolcro di Urbano VIII, vero e proprio capolavoro del virtuosismo berniniano, alla base del quale sono scolpite le personificazioni della Fede e della Giustizia. E proprio la personificazione della Giustizia mostra accanto a sé un delizioso putto che, con notevole sforzo, sorregge un pesante fascio littorio alto quasi quanto lui.

Basilica di San Pietro in Vaticano, Monumento funebre di Urbano VIII, opera di Gian Lorenzo Bernini del 1628. Il basamento del monumento e il dettaglio dell’angelo col fascio littorio

Roma: Chiesa di Sant’Agnese in Agone, Tomba di Innocenzo X (foto di Biber su Wikipedia)

All’interno della Chiesa di Sant’Agnese in Agone, proprio sopra l’ingresso, è invece presente il sepolcro di Papa Innocenzo X, anch’esso accompagnato dalle personificazioni della Fede e della Giustizia, opera di Giovanni Battista Maini del 1655.  È la giustizia stessa, stavolta, a reggere col braccio il fascio littorio proprio come i Lictores romani, mentre nell’altra mano regge una spada sguainata (simbolo della giustizia capitale già rappresentata dalla scure del fascio littorio). Il monumento è di per sè un’opera di alto valore artistico, sebbene la collocazione al di sotto della cantoria e al di sopra del portale ne sacrifichi un po’ la grandiosità, al punto che le erme angeliche al di sopra appaiono visivamente più grandi della figura del Papa.

Washington: la porta della Sala Ovale alla Casa Bianca

L’utilizzo del simbolo del fascio littorio fu continuo anche nei secoli successivi ed ebbe una grande fortuna anche in altre nazioni. In Francia è stato infatti utilizzato in epoca barocca sotto Luigi XIII come elemento decorativo ma venne adottato anche come simbolo sulla bandiera francese, mentre è ancora in uso presso alcuni reparti dell’esercito di terra francese.
Anche la Russia Zarista utilizzò il simbolo del fascio littorio con lo stesso significato di potere e giustizia che ebbe in origine.Ancora più significativa fu l’adozione del fascio littorio da parte degli Stati Uniti in epoca post-indipendentista come simbolo dell’autorità repubblicana. In tale veste il fascio littorio è presente sopra le porte della Stanza Ovale della Casa Bianca e in modo anche più significativo all’interno del Lincoln Memorial dove la colossale statua del Presidente Lincoln siede su un trono i cui braccioli sono sostenuti da ben cinque metri di fasci littori.

Washington: Lincoln Memorial. Il Presidente Lincoln seduto su un trono con fasci littori

Cagliari, pur essendo una città che vanta una storia plurimillenaria e nella quale i romani hanno lasciato tracce di un passato grandioso in splendidi monumenti, non annovera però tra le opere antiche monumenti che rimandino al simbolo del fascio littorio. In epoca Romana è comunque presumibile che questo simbolo fosse utilizzato in strutture pubbliche, ma non ne rimane traccia nè i reperti conservati al Museo Archeologico Nazionale presentano particolari legami col fascio littorio. Nemmeno in epoca medievale e spagnola vi furono opere nelle quali fosse presente questo simbolo, prediligendo come simbolo della Giustizia nei monumenti la canonica bilancia con due piatti.

Facoltà di Ingegneria e Architettura: Aula Magna “Gaetano Cima”

Tuttavia i più antichi fasci littori presenti a Cagliari non sono da ascriversi al ventennio, ma lo precedono di circa ottant’anni e sono stati realizzati ancora in veste di simbolo di giustizia. Questi fasci littori sono stati dipinti sulla straordinaria volta dell’Aula Magna Gaetano Cima della Facoltà di Ingegneria e Architettura, nella sede di via Corte d’Appello un tempo Collegio dei Gesuiti e, dopo alterne vicende, divenuto sede della Corte d’Appello fino al 1940, quando venne inaugurato il nuovo Palazzo di Giustizia. La decorazione pittorica dell’Aula Magna Gaetano Cima pertanto risale alla metà dell’ottocento e venne realizzata ad affresco sulla volta a botte unghiata dell’aula utilizzando un ampio repertorio di simboli legati al tema della Giustizia. L’autore delle pitture, non firmate, potrebbe identificarsi con Antonio Caboni (1786 – 1874) che aveva realizzato gli affreschi dell’abside della vicina Basilica di Santa Croce (e la vicinanza stilistica tra i trompe-l’œil della Basilica e quelli dell’Aula Magna è davvero notevole). Gli affreschi risalirebbero quindi ad un periodo compreso tra il 1842, quando il Caboni era impegnato negli affreschi dell’abside di Santa Croce, e il 1845 – anno in cui cominciò un grande ciclo di affreschi nella volta del Presbiterio e nella Cupola della Cattedrale, di cui oggi rimane solo la “Gloria di Santa Cecilia” nell’abside – o in un periodo immediatamente successivo di pochi anni. All’interno di quattro delle unghie della volta (le porzioni di volte a botte più piccole e ortogonali rispetto a quella principale, al di sotto delle quali di solito si trovano le finestre) sono dipinte coppie di fasci littori posti ai lati di scettri ornati da piume di struzzo – simboli di giustizia e uguaglianza (le piume di uno struzzo sono infatti tutte uguali tra loro) – e inseriti tra corone d’alloro e girali floreali e d’acanto. I fasci sono rappresentati secondo la tradizione etrusco-romana ovvero con l’ascia posta al di sopra del fascio (e non davanti come in raffigurazioni più tarde) e sono caratterizzati da una monocromia che, nell’aspetto generale del trompe-l’œil, li fanno figurare – se osservati a distanza – quasi come degli stucchi veri e propri.

Facoltà di Ingegneria e Architettura, ex Corte d’Appello, Aula Magna “Gaetano Cima”: le quattro coppie di fasci littori nelle unghie della volta

Il secondo fascio littorio cagliaritano più antico ugualmente non è da ascriversi al ventennio ma è di epoca ben precedente ed è visibile in una lastra commemorativa nel Cimitero Monumentale di Bonaria: la lapide dedicata a Vincenzo Bruscu Onnis, collocata nel portico che dal Campo di San Bardilio conduce al quadrilatero originario del Camposanto. L’epitaffio sulla lapide, che riporto, è firmato da Giovanni Bovio: “Dio e Popolo – A Vincenzo Brusco Onnis – con Saffi Quadrio e Campanella – uno dei quattro – che più propalarono il pensiero di Mazzini – non gli ruppe mai fede – proclamandolo più che dottrina politica – religione civile – del rinnovamento umano – G. Bovio – I Repubblicani – P. – MDCCCXCVI”. L’epigrafe fa riferimento all’adesione da parte di Vincenzo Bruscu Onnis al Mazzinianesimo e alla sua idea di Repubblica Italiana nella quale i cittadini avrebbero trovato libertà e giustizia in misura uguale per ognuno.
La lapide è semplicemente incisa, non reca motivi scolpiti in rilievo, e anche il fascio littorio è disegnato con semplici linee d’incisione ed è associato alla Lira e al fascio d’alloro. Ma, soprattutto, è coronato dal Berretto Frigio quale simbolo di libertà, unita alla giustizia rappresentata dallo stesso fascio littorio.

Cimitero Monumentale di Bonaria: la Lapide in memoria di Vincenzo Bruscu Onnis e il dettaglio del fascio littorio con berretto frigio

Il percorso tra questi simboli ora proseguirà seguendo le tre correnti in cui si divise l’architettura del ventennio: lo storicismo, il razionalismo e il monumentalismo (una corrente sviluppatasi dal razionalismo ma con il recupero di una concezione monumentale delle architetture, sebbene prive di ricchi ornamenti; un po’ come accadeva negli stessi anni in Germania), e il modo stesso in cui i fasci littori vennero rappresentati secondo i due canoni principali: più dettagliati e inseriti spesso in stemmi neobarocchi nell’architettura storicista; più lineari e semplici, spesso – come vedremo – inseriti in modo quasi occulto, nelle architetture razionaliste. Non mancano inoltre convivenze ibride, ovvero fasci littori di matrice razionalista inseriti in architetture storiciste. Ma la narrazione non verrà suddivisa secondo queste due fasi stilistiche, bensì tracciando due itinerari – composti in ordine cronologico – il primo dei quali si snoda tra i fasci littori scomparsi, distrutti completamente o parzialmente dopo la seconda guerra mondiale, ma dei quali rimangono ancora tracce o gli elementi decorativi dei quali facevano parte; il secondo itinerario invece mostra quali sono i fasci littori ancora presenti nelle nostre architetture e che si spera rimangano a memoria di uno dei periodi più bui della nostra storia come monito affinché la storia non vada dimenticata ma conosciuta  in modo che non possa riproporsi.

Cattedrale, il fascio littorio nel nuovo prospetto

Sebbene i primi fasci littori del ventennio di cui si abbia traccia a Cagliari risalgono agli anni intorno al 1923, il primo fascio littorio di cui bisogna fare menzione affonda le sue radici in un episodio ben preciso e piuttosto traumatico nella storia dell’architettura cagliaritana: la demolizione della facciata barocca della Cattedrale, nel 1908. In tale occasione (della quale si è parlato in un precedente articolo sui cambiamenti delle facciate cagliaritane) la facciata progettata nel 1702 da Piero Fossati venne smantellata – e uso volutamente il termine “smantellata” e non “demolita” spiegandone presto le ragioni – in seguito al distacco di alcune lastre marmoree e nella speranza di ritrovarvi al di sotto l’originale facciata romanica della metà del XIII secolo. La Cattedrale rimase senza facciata per ben 25 anni finché, nel 1933, non venne inaugurato il nuovo prospetto neoromanico che tuttora conosciamo. Al di sopra del secondo ordine di finte logge della facciata corre una fascia con l’intitolazione alla Vergine Assunta come Regina dei Sardi, “Sanctæ Mariæ Raginæ Sardorum”: ai lati dell’iscrizione sono presenti due stemmi, quello a destra è lo stemma della Città di Cagliari, mentre alla sinistra è presente uno stemma vuoto, con visibili tracce di abrasione che – come testimoniano foto d’epoca degli anni ’40 – ospitava un fascio littorio eseguito secondo canoni storicisti.

Dettaglio del fascio littorio nel nuovo prospetto

La presenza del fascio littorio è ancora una volta una chiara dimostrazione delle motivazioni che spinsero alla realizzazione del nuovo prospetto neoromanico piuttosto che al ripristino del prospetto barocco, all’epoca ancora possibile reintegrando le poche parti mancanti, tanto più che il periodo storicista viene spesso chiamato anche neobarocco proprio perché fu un periodo nel quale le nuove architetture ripresero le forme dei grandiosi edifici realizzati tra ‘500 e ‘700. Due soli ostacoli si opponevano al ripristino: l’imperante dottrina medievalista che sconvolse tanti edifici cagliaritani dando loro nuove vesti soprattutto neogotiche in sostituzione di quelle barocche e, come dimostra la presenza del fascio littorio, l’urgenza di eliminare una facciata di gusto spagnolo per sostituirla con un manufatto che fosse di chiara ispirazione italica, un falso storico che dunque poneva le sue basi in una concezione italocentrica di ciò che doveva essere l’architettura dell’epoca.

Il Prospetto attuale della Cattedrale e il dettaglio del fascio littorio abraso

A breve distanza dalla Cattedrale, nella Piazza Palazzo, un altro fascio littorio era posto al di sopra della colonna destra nel portale del Palazzo Viceregio. Il fascio, visibile in alcune foto d’epoca, era dipinto su una piastra ovale in ceramica o metallica (difficile dirlo dalle foto) e non presentava la numerazione romana che avrebbe consentito di stabilirne la datazione. È però verosimile che sia stato applicato sulla facciata in concomitanza con il rifacimento degli esterni del Palazzo di San Placido (unito nel 1912 al Palazzo Viceregio), ovvero nel 1925, per conformarli alla struttura del Palazzo Viceregio che – da quel momento – prenderà il nome di Palazzo del Governo (come attesta l’incisione al di sopra del cornicione in corrispondenza delle aperture centrali. Sopra la colonna sinistra, in simmetria con il fascio littorio, un’altra lastra ovale ospitava lo stemma di casa Savoia.

Piazza Palazzo: il Palazzo Viceregio negli anni ’20 col fascio littorio, e nella sua veste odierna

Sempre nel 1925 vennero intrapresi importanti lavori di rifacimento di una delle principali infrastrutture cittadine: la Stazione Centrale. Inaugurata nel 1879, inizialmente presentava un elegante prospetto di stile neoclassico, caratterizzato da due terrazze laterali e da un corpo centrale scandito da quattro semicolonne sorreggenti un timpano con un notevole fregio. Con gli ampliamenti del 1925 (ne riparleremo anche nella seconda parte dell’articolo), eseguiti su progetto dell’architetto Roberto Narducci, venne completamente rifatto anche il prospetto salvando solo le tre aperture centrali del pianterreno, e adeguandolo ai canoni stilistici di matrice storicista. In questa nuova veste, il prospetto vide dapprima la messa in mostra di due soli fasci littori ai lati dell’orologio, i quali sono ben visibili in alcune foto d’epoca riprese dall’antistante Piazza Matteotti. Si trattava di fasci realizzati a bassorilievo in maniera canonica e dettagliata.

La Stazione centrale coi fasci littori ai lati dell’orologio e il dettaglio degli attuali spazi vuoti

Installazione del fascio littorio.
(collezione privata di Roberto Coa)

Successivamente venne installato un terzo fascio littorio nell’angolo tra via Sassari e via Roma. Realizzato in metallo e di notevoli dimensioni, si trovava al di sotto dello stemma neo-barocco con le iniziali delle Ferrovie di Stato ancora visibili. È improbabile una sua distruzione durante i bombardamenti in quanto l’ala colpita dalle bombe fu quella al lato opposto, verso gli attuali parcheggi, mentre un’altra area che subì danni ingenti fu quella di via Roma ma lontano dall’angolo su cui svettava il fascio littorio. Un quarto ed ultimo fascio littorio venne apposto sopra la pensilina dell’ingresso principale ed era inserito in una piastra di forma ellittica. La sua installazione dovrebbe risalire alla fine degli anni ’30 o ai primissimi anni ’40, non comparendo in foto di epoca precedente ma essendo ben visibile in una drammatica foto che mostra la distruzione subita dalla Stazione durante i bombardamenti del 1943. Nessuno dei fasci citati è stato mantenuto dopo la guerra o comunque dopo il 28 luglio 1943, e nessun elemento decorativo è stato posto in loro sostituzione nemmeno nei due campi riquadrati lasciati vuoti ai lati dell’orologio.

La Stazione dopo i bombardamenti (col fascio littorio sopra la pensilina) e la stessa area oggi

Al 1927 risalgono i primi lavori di sistemazione della Piazza Galilei. L’intervento più imponente dal punto di vista dimensionale e architettonico fu la costruzione delle case I.N.C.I.S. (Istituto Nazionale Case Impiegati Statali), una struttura formata da tre corpi di fabbrica progettata dall’architetto Augusto Valente seguendo canoni storicisti di tipo neo-manierista. È questo uno dei casi di convivenza ibrida tra struttura storicista e fasci littori di matrice razionalista. Ai lati e al di sopra degli ingressi dell’edificio erano infatti apposte piastre – verosimilmente ceramiche o anche metalliche, difficile dirlo sulla base delle foto – nelle quali era impresso il fascio littorio disegnato come stilizzazione del fascio di canne e dell’ascia in una semplice silhouette chiara su sfondo scuro. Di tali elementi rimangono solamente alcune foto d’epoca a testimonianza della loro presenza, mentre l’edificio oggi si mostra nelle sue gradevoli linee architettoniche prive però di qualsiasi riferimento al contesto nel quale venne realizzato.

Piazza Galilei: le case INCIS con e senza fasci littori

La sistemazione della Piazza Galilei fu una delle prime opere per l’assetto del nascente quartiere di San Benedetto, il cui nucleo più antico venne appunto costruito a partire dalla seconda metà degli anni ’20. In molti edifici sono tuttora visibili grandi stemmi neobarocchi dal campo vuoto, privo di raffigurazioni all’interno. Ognuno di questi stemmi era destinato ad ospitare non l’emblema di una qualche famiglia nobiliare – il quartiere nacque appunto per offrire nuovi spazi architettonici ad un’accresciuta popolazione cittadina – bensì proprio i fasci littori. Esempi di tali stemmi si possono osservare in Via Dante, in Via Rossini, in Via Farina. In una palazzina di Via San Benedetto, risalente al 1928, sono invece presenti due piastre lisce (o meglio, ora lisce) realizzate in intonaco chiaro sullo sfondo arancione dell’intonaco. Queste due piastre, come mostra una foto degli anni ’30 in cui la Via San Benedetto si presentava ancora alberata, ospitavano anch’esse dei fasci littori oggi scomparsi. Le piastre sono state mantenute lisce come mero elemento decorativo ma, a modo loro, sono ancora memori di quelli che erano gli elementi un tempo presenti al loro interno (potrete vederli nel video a fondo articolo).

Via San Benedetto. La palazzina con i fasci littori negli anni ’30 e gli alloggi dei fasci oggi completamente lisci

La cornice del fascio littorio oggi.

Sempre agli anni compresi tra il 1925 e il 1928 risale l’edificazione di un nuovo gruppo di edifici ad uso popolare sorti nel nascente quartiere di Bonaria-Montemixi, tra la via Milano e il Viale Diaz. In particolare nell’edificio all’angolo tra Via Firenze e Via Livorno, completato nel 1928 in forme storiciste con richiami ai modi decorativi tardo-rinascimentali, era originariamente presente un fascio littorio posto all’interno di una cornice circolare tuttora esistente e mantenuta anche in seguito all’eliminazione del fascio con la sostituzione dello stesso inserendo nella cornice la data di ultimazione dell’edificio espressa con numeri arabi invece dell’originaria numerazione romana che doveva affiancarsi, seppure in forme minuscole, al fascio littorio. Due analoghe cornici rotonde sono poste ai lati del balcone sul fronte principale di via Firenze e anch’esse erano destinate ad ospitare due fasci littori di ridottissime dimensioni anch’essi scomparsi. Resta memoria del fascio sul fronte di via Livorno in una foto degli anni ’30, sebbene non sia possibile ingrandire il fascio fino ad intravvederne i dettagli ma sia comunque possibile osservarne l’inconfondibile forma.

Via Firenze: la palazzina all’angolo con via Livorno negli anni ’30, ancora col fascio littorio, e come appare oggi

Via Catania: cartiglio per fascio littorio

Nell’isolato sul lato opposto di via Firenze, e precisamente nell’angolo con la via Catania, in una palazzina che nonostante la matrice storicista vira già ad una semplificazione orientata quasi al razionalismo, si trovava un altro piccolo fascio littorio, inserito in una cornice mistilinea di stampo neobarocco collocata al primo piano sopra la finestra centrale di un bovindo che si sviluppa per tutta l’altezza dell’edificio. Anche in questo caso è possibile vedere il fascio esclusivamente in una foto d’epoca poiché in seguito venne completamente eliminato insieme alla cornice che lo ospitava. Pochi passi più in basso nella via Catania, all’angolo con via Palermo, sorge una palazzina gemella e speculare anche nella disposizione diagonale rispetto all’angolo dell’isolato. Anche in questa palazzina, sempre al di sopra della finestra centrale del bovindo, era presente un fascio littorio inserito in una cornice mistilinea neobarocca. In questo caso però, nonostante l’eliminazione del fascio, la cornice è stata mantenuta come semplice elemento decorativo.
Cornici attualmente vuote (proprio come gli stemmi del quartiere di San Benedetto) sono presenti in diversi edifici del quartiere di Tuvixeddu-Tuvumannu che stava venendo edificato proprio negli stessi anni di San Benedetto e Bonaria-Monte Mixi.

Via Firenze angolo via Catania: palazzina ICAP con fascio littorio negli anni ’30 e oggi, senza fascio nè cartiglio

Scuola Elementare Riva

Risale al 1930 il completamento dell’ala della Scuola Elementare Alberto Riva prospettante sulla Piazza Garibaldi e sulla Via Macomer. All’angolo di quest’ala era stato inserito un fascio littorio in cemento bianco che si stagliava sullo sfondo di mattoni rossi dell’edificio. Al lato del fascio era annotato l’anno di completamento della scuola espresso a partire dalla marcia su Roma e dunque corrispondente all’anno VIII. Anche questo è un caso di fascio littorio razionalista – rappresentato da un fascio di canne stilizzato in un semplice cilindro a cui era associata una scure rappresentata da un semplice rettangolo – e inserito in un edificio storicista. Oggi l’angolo del caseggiato scolastico è privo del fascio littorio e, con i restauri postbellici e la posa di nuovi mattoni, ha perso anche le tracce della precedente presenza.
Il 1933 fu l’anno di inaugurazione della Galleria Comunale d’Arte Moderna, realizzata nell’ex Polveriera neoclassica all’interno dei Giardini Pubblici. La ristrutturazione in chiave razionalista degli interni è ancora oggi visibile soprattutto nel vano scale, rimasto pressoché inalterato a differenza delle sale espositive. All’esterno, al di sotto del timpano sormontato da tre statue di Dei greci, erano presenti tre fasci littori disposti nel campo centrale tra due paraste di ordine corinzio. I due fasci littori laterali erano rappresentati di profilo, mentre il centrale era rappresentato frontalmente e quindi era l’unico dei tre realizzato ad altorilievo. Oggi anche questi fasci littori sono scomparsi e nessun elemento degli anni ’30 deturpa l’armoniosa composizione neoclassica della facciata progettata nella prima metà dell’800 da Carlo Boyl.

La Galleria Comunale d’Arte con e senza i fasci littori

Legione dei Carabinieri, scultura di Albino Manca

Sempre nel 1933 venne inaugurato un altro imponente edificio cittadino: il Comando della Legione dei Carabinieri. Quest’edificio potrebbe trovare spazio anche nella seconda parte dell’articolo perché uno dei fasci littori, come vedrete, è ancora presente, ma è preferibile riunire l’edificio in un’unica descrizione. La Legione dei Carabinieri è un altro esempio di architettura con richiami storicisti e si caratterizza per l’imponente mole, rimarcata dall’uso di semicolonne e paraste di ordine gigante estese per tutta l’altezza dell’edificio a partire dal basamento. Al di sopra delle semicolonne sul principale prospetto angolare tra le vie Sonnino e Grazia Deledda e sopra le paraste binate dei fronti laterali delle due vie, in sostituzione del triglifo che avrebbe dovuto comporre il fregio erano presenti i fasci littori in due versioni: quelli singoli sopra le colonne (scelta obbligatoria per la forma rettangolare del campo sul quale erano incastonati) e in forma triplice sopra le paraste binate per meglio occupare il campo pressoché quadrato. Di questi fasci littori rimane traccia solo nelle fotografie d’epoca, in quanto vennero eliminati con la ricostruzione e il restauro postbellici. Più difficile da eliminare, in quanto parte integrante di una scultura che altrimenti sarebbe stata di difficile interpretazione, è il fascio littorio tenuto in mano da uno dei quattro colossali bronzi di Albino Manca posti al di sopra della facciata angolare su cui si apre l’ingresso principale. In particolare, la scultura col fascio littorio rappresenta l’era fascista e raffigura un uomo nell’atto di estrarre la scure dal fascio littorio come se stesse sguainando una spada dal fodero. La scultura è di buona fattura e di gusto prossimo all’Art Decò (Albino Manca lavorerà anche negli Stati Uniti, e il suo stile è riconoscibile in diverse sculture presenti su alcuni grattacieli); il fascio littorio è scolpito in modo realistico e non stilizzato come quelli che campeggiavano sopra le semicolonne e le doppie paraste.

La Legione dei Carabinieri negli anni 30, con i fasci littori, e oggi.

 

Banco di Napoli: lo stemma

Già dai primi anni del ‘900 il Largo Carlo Felice divenne il luogo deputato ad ospitare Banche ed edifici istituzionali, ma soprattutto a partire dagli anni ’20 cominciò la costruzione di alcuni importanti edifici bancari sul lato occidentale che culminò, nel 1935, con l’edificazione dell’ex Palazzo del Banco di Napoli. Costruito in sostituzione del Palazzo Devoto a partire dal 1931 su progetto degli architetti Crespi e Vanzetti, dapprima presentava due soli prospetti (sul Largo Carlo Felice e sulla retrostante Via Angioj) e venne dotato di un terzo prospetto identico agli altri due negli anni ’50 con l’apertura dello sbocco di via Mameli nel Largo. Si tratta di un edificio che richiama nelle sue aperture timpanate gli edifici del tardo ‘500 secondo una concezione ancora barocca tipica della corrente storicista. Al centro del primo piano si apre un balcone sormontato da un timpano spezzato nel quale è ospitato lo stemma del Banco di Napoli, composto da più emblemi di altri edifici di credito riuniti (Monte di Pietà, Monte dei Poveri, Banco dello Spirito Santo e Banco di S. Giacomo e Vittoria) racchiusi in un unico campo.

Livorno: Stemma del Banco di Napoli

Nella parte alta dello stemma è oggi visibile una abrasione notevole se si considera la scabrosità della superficie, ma di piccole dimensioni se raffrontata al resto dello stemma e alla mole dell’edificio. Quella piccola abrasione oggi potrebbe apparire insignificante e si potrebbe mettere in dubbio che si trattasse di un fascio littorio eliminato se nella sede livornese del Banco di Napoli – progettata dagli stessi architetti – non fosse presente uno stemma del tutto identico a quello cagliaritano con ancora intatto il minuscolo fascio littorio.
Potete confrontare le due immagini a lato (scorrendovi sopra per zoomare): i dettagli e la forma dello stemma sono identici, appare pertanto chiaro cosa manca nello stemma cagliaritano.

Sempre nel 1934-35 venne inaugurata una nuova struttura pubblica destinata a scopi umanitari, l’Albergo del Povero nel Viale Sant’Ignazio. L’edificio, che oggi ospita la Biblioteca della Facoltà di Economia, è stato costruito seguendo i dettami del più puro razionalismo ed è costituito da due ali laterali che, in veste di pilastri secondo il sistema trilitico, sostengono la lunga copertura nastriforme. Al di sotto della copertura, addossati alle due ali si trovano altri due corpi di fabbrica dalle linee curve e arretrati rispetto ai due corpi di sostegno. Tra questi ultimi due corpi curvi, ancora più arretrata, si apre la vasta vetrata di accesso. Originariamente la struttura presentava caratteri più innovativi di quanto non mostri oggi, infatti le finestrature a nastro sui due corpi curvilinei (per l’epoca una vera innovazione che guardava già alle avanzatissime costruzioni di Le Corbusier) sono state in seguito modificate per ottenere delle banali e anonime aperture. Il fascio littorio presente nell’ex Albergo del Povero non era un manufatto in forte rilievo bensì una semplice sagoma chiara applicata sulla parete laterale sinistra, presso l’angolo col prospetto principale, assieme ai caratteri formanti la datazione in numeri romani e all’intitolazione sul fronte dell’edificio. Le foto d’epoca non consentono di stabilire se si trattasse di elementi in metallo o ceramica applicati sulla parete o se fossero stati realizzati con uno stencil; ciò che appare chiaro dall’osservazione delle foto d’epoca è invece l’unicità del fascio littorio, tra quelli cagliaritani, per l’assenza della scure.

LAlbergo del Povero ieri e oggi: con e senza fascio littorio laterale

Tra il 1935 e il 1939 vennero realizzati nuovi impianti e nuove strutture anche nella Città del Sale, splendido esempio di archeologia industriale in parte ampiamente recuperato. Tra i nuovi edifici, uno dei più noti è l’Idrovora del Rollone. Si tratta di una struttura di foggia semplice del tutto aderente a canoni razionalisti e funzionali. La piccola struttura è oggi caratterizzata dall’intonaco bianco su cui si stagliano le cornici gialle delle aperture e dalla semplice scritta “SALINA IDROVORA del ROLLONE” realizzata con lettere in bronzo. Un tempo la scritta completa era “R. SALINA IDROVORA del ROLLONE” e difatti la parola Salina appare decentrata rispetto alla facciata. Al di sopra della scritta era inoltre posto un fascio littorio sempre in bronzo affiancato dall’anno di costruzione espresso in numeri romani. Il fascio littorio venne eliminato in tempi non troppo remoti, tant’è che fino ai restauri realizzati circa un decennio fa era possibile osservare le tracce del fascio littorio che spiccavano più chiare sull’intonaco invecchiato.

Idrovora del Rollone: a sx negli anni ’40, al centro prima dell’ultimo restauro con ancora visibili i segni del fascio littorio, a dx come appare oggi

Sempre nel contesto della Città del Sale, un cancello sul Viale La Palma conduce ad un viale su cui si affacciano alcuni capannoni e delle officine. Nei due pilastri che sorreggono il cancello sono poste due lapidi in marmo oggi prive di elementi decorativi ma nelle quali rimangono visibili una serie di fori nei quali erano tassellati degli elementi in rilievo presumibilmente in bronzo a giudicare dai segni di ossidazione ancora visibili nei fori. Unendo con lo sguardo i puntini e considerando le corrispondenze tra i gruppi di punti nelle due lapidi, un po’ come si fa a penna in un celebre gioco delle riviste di enigmistica, non è difficile immaginare quali fossero gli elementi ospitati nelle due lastre di marmo, dei quali riporto più sotto un’ipotesi di restituzione in rosso.

Cancello del viale delle officine e restituzione grafica del fascio littorio un tempo presente

Un altro importante edificio facente parte della Città del Sale è il Teatro delle Saline, completato nel 1932. Il teatro dovrebbe far parte della seconda parte dell’articolo poiché il suo fascio littorio è ancora intatto, ma per completezza riguardo la sezione sulla Città del Sale ne parleremo in questa prima parte. Il teatro venne realizzato come sala per spettacoli dell’Opera Nazionale del Dopolavoro il cui acronimo è ancora visibile sul frontone della facciata principale oggi del tutto restaurata, caratterizzata – al pari di tutto l’esterno – dalla muratura rivestita in mattoni rossi su cui spiccano le modanature e le trabeazioni che incorniciano le aperture. L’interno del Teatro mostra ancora una bella aula affrescata secondo modelli che richiamano i Teatri neoclassici ma con qualche accenno di tardo-liberty. L’ambiente del Teatro che ci interessa in questo post è però il piccolo vano di ingresso, anch’esso decorato con affreschi di buona fattura e di matrice tardo-liberty, tra i quali è inserito un cartiglio dipinto a trompe-l’œil nel quale un fascio littorio è accompagnato dalla numerazione romana che sancisce la data di completamento e inaugurazione, ovvero il 1932.

Il fascio littorio nell’atrio del Teatro delle Saline

I fasci littori nell’ex Palazzo delle Poste

Al 1936 risalgono i lavori di rifacimento di alcune facciate nella piazzetta formata dalla confluenza delle vie Baylle e Savoia. In particolare i lavori riguardarono l’ex Palazzo delle Poste, sostituito pochi anni prima nelle sue funzioni dal già citato Palazzo delle Poste Centrali di Piazza del Carmine, l’ex “Hotel du Progres” e l’Asilo “Marina e Stampace”. L’edificio delle Poste Centrali in origine presentava un aspetto piuttosto semplice, di derivazione seicentesca, con balconcini in ferro battuto e le aperture prive di cornici. In seguito subì delle leggere modifiche all’esterno per adempiere alla funzione di ufficio centrale delle Regie Poste, e in quest’occasione vennero appena accennate delle cornici attorno ai balconi e venne aggiunto un piano. Successivamente divenne sede del partito di regime e fu in questa occasione che gli venne dato l’aspetto attuale di matrice razionalista. In una lapide posta sopra l’ingresso principale erano presenti, ai lati, due fasci littori che accompagnavano l’iscrizione che stabiliva quale fosse l’organismo ospitato nell’edificio. I due fasci littori scomparvero nel dopoguerra, e attualmente il campo vuoto originariamente occupato dalla lapide è la sede elettiva per le insegne delle attività commerciali che si sono susseguite nel pianterreno dell’edificio. Attualmente vi è appunto l’insegna di un ristorante.

 

Nel 1937 venne inaugurato un edificio ospitante numerosi appartamenti popolari nella Piazza Pirri, ora Piazza Kennedy. L’edificio è uno dei migliori esempi di architettura razionalista ed è stato progettato da Ubaldo Badas pochi anni prima. Si tratta di una palazzina con un corpo centrale di forma curva dal quale dipartono due ali laterali che seguono l’andamento delle vie Romagna e Liguria. Il portale centrale è quello prospiciente la piazza Kennedy, mentre altri due ingressi sono presenti nelle vie laterali. Al di sopra del portale centrale si eleva in altezza un volume parallelepipedo piuttosto slanciato ospitante il vano scale e collegante visivamente il pianterreno con quello che un tempo era il piano attico poi occluso per realizzare un nuovo piano con altri appartamenti. Al vertice del corpo scale, sulla piazza Kennedy, erano inseriti due fasci littori simmetricamente posti ai lati della datazione romana relativa all’inaugurazione dell’edificio, ovvero il 1937. I fasci littori, secondo lo schema razionalista, non sono più rappresentati in modo realistico ma sono astratti in semplici sagome di intonaco chiaro risaltante su quello più scuro dell’edificio. Non si tratta però degli unici fasci littori presenti nel palazzo, si tratta solo di quelli scomparsi. Un’altra coppia di fasci littori è stata volutamente inserita in modo occulto nella composizione del prospetto principale ed è costituita dal corpo scale (che rappresenta il fascio di canne) e dai balconi dei primi tre piani (formanti le due scuri laterali). Attualmente l’elevazione di un piano dell’edificio, a seguito della quale il corpo scale appare parificato al lastrico solare, e l’aggiunta di due balconi nel quarto e ultimo piano, non consentono più l’immediato riconoscimento di questa forma quasi nascosta, ma è possibile ridisegnarla sui prospetti d’epoca, se non in quello attuale tralasciando le aggiunte del dopoguerra.

Palazzina per alloggi popolari in Piazza Kennedy. A sinistra i fasci littori sommitali, al centro il doppio fascio occulto nella facciata, a destra la palazzina come appare oggi

Attuale sede RAI

Un ottimo esempio di architettura razionalista, oggi parzialmente modificato, è l’edificio sede della RAI nel Viale Bonaria, un tempo sede della G.I.L., la Gioventù Italiana del Littorio. Realizzato nel 1935, l’edificio era originariamente caratterizzato da una torretta intonacata in una tonalità chiara (svettante sull’edificio a due piani, intonacato con una tonalità più scura, e affiancata ad uno spazio porticato) l’edificio ha subito una sopraelevazione di un piano che ha pareggiato il livello della torretta con quello del lastrico solare, sminuendone così lo slancio verticale. Sebbene la torretta stessa possa, per la sua forma, richiamare un fascio littorio, l’edificio presentava due fasci littori nella balconatura dello spazio porticato e posti esattamente in corrispondenza dei pilastri soprastanti e sottostanti. I due fasci littori, non ben visibili nell’unica foto d’epoca che ritrae l’edificio ma intuibili come sagome più scure, dovevano essere realizzati in metallo proprio per la maggiore scurezza delle loro forme. Attualmente lo spazio porticato è stato occluso per ricavarvi altri vani e i fasci littori scomparvero sicuramente nel dopoguerra ma in data incerta.

Un’altra tra le più imponenti strutture realizzate a cavallo tra gli anni ’30 e i ’40, e rappresentativa di uno stile derivante dal razionalismo – e propriamente noto come “monumentalismo” è il Palazzo di Giustizia. Costruito a partire dal 1933 su progetto di Augusto Valente (che si distaccava in quegli anni dalla corrente storicista che aveva caratterizzato altre sue realizzazioni cagliaritane) e inaugurato nel 1938 si presenta come un’ampia struttura occupante il lato più largo della trapezoidale Piazza Repubblica ed è caratterizzato dall’alternanza di trachite grigia usata per le colonne, i pilastri, le paraste e le modanature e la pietra calcarea bianca utilizzata nelle campiture tra i sostegni. Le foto d’epoca lo ritraggono prevalentemente da lontano e non è dunque possibile osservarne i dettagli. Però alcune foto dell’Archivio Luce, databili al 1942 e testimonianza di un noto avvenimento pubblico cittadino, consentono di osservare nel dettaglio le due lapidi poste sopra i due ingressi laterali del prospetto principale. Nelle due lapidi erano presenti coppie di fasci littori ancora realizzati con uno stile richiamante i canoni storicisti – e quindi in forma più dettagliata sebbene lo slancio verticale fosse già prossimo all’astrazione razionalista – affiancanti lo stemma di Casa Savoia. Non passarono molti anni da quell’evento, perché i fasci littori venissero eliminati e sostituiti con l’emblema della neonata Repubblica Italiana tuttora visibili nelle stesse metope che ospitavano i fasci e gli stemmi sabaudi.

Palazzo di Giustizia: a sinistra e al centro i fasci littori dell’ala sinistra nel 1942, a destra la lapide con lo stemma della Repubblica Italiana che li ha sostituiti

Risalgono al 1940 circa alcune fotografie di Alfredo Ferri scattate nel Refettorio della Scuola Materna ed Elementare Sebastiano Satta. Non è chiaro se la presenza dei fasci littori all’interno del refettorio, con tanto di data riferibile agli anni 1937-38, fosse un caso esclusivo della scuola Satta o fosse esteso anche alle altre scuole cagliaritane. È comunque l’unico ampiamente documentato. I fasci littori qui presenti erano di diverse dimensioni e dipinti direttamente sul muro. La tecnica fa pensare ad una tempera su intonaco piuttosto che ad un più costoso e impegnativo affresco. L’edificio della Scuola Satta subì gravi danni durante i bombardamenti del 1943 e i fasci littori dipinti sulle pareti potrebbero essere scomparsi sotto le macerie, oppure durante la ricostruzione. Oggi le pareti dell’intera scuola sono dipinte di un bianco candido e, al massimo, ospitano i più rassicuranti disegni dei bambini.

Il Refettorio della Scuola Satta nel 1940, con i fasci del 1937-38

Silos del Consorzio Agrario negli anni ’40

Al 1938-39 è databile un imponente edificio industriale posto alla periferia occidentale dell’abitato cittadino, ovvero il Silos del Consorzio Agrario in viale Elmas. L’edificio in sé è un buon esempio di architettura razionalista applicata alle attività produttive ed è caratterizzato per il suo forte slancio verticale e la partitura bicroma dell’intonaco che – come vedremo – potrebbe essere ancora quello originario della fine degli anni ’30. Sullo stretto fronte principale del Silos erano infatti presenti due elementi scomparsi ma dei quali è rimasta ancora traccia grazie ad un poco sapiente risarcimento in cemento che, anziché cancellare le forme asportate e che dovevano scomparire, ne mostra invece in pieno la sagoma rendendola tutt’oggi leggibilissima: si tratta dell’anno di costruzione espresso con la datazione in numeri romani (XVI), un tempo realizzata in intonaco o pietra chiara e posta sulla sinistra della finestra del secondo piano e il fascio littorio posto sul lato destro della stessa finestra, anch’esso realizzato negli stessi materiali delle cifre che componevano la data. Il fascio littorio, in adesione ai canoni razionalisti, era rappresentato con una forte astrazione e dunque con la sola sagoma cilindrica affiancata dal falcetto. Per chi passa oggi in viale Elmas non è difficile vederne le tracce, difatti nel distacco dall’intonaco dei due elementi si formò uno spazio vuoto che dovette essere colmato con del cemento che però venne sparso solo sulla porzione di intonaco mancante e che pertanto riprende precisamente la forma del fascio littorio e del numero XVI. Ciò che appare evidente è che l’eliminazione del simbolo e della data andava realizzata in altro modo, magari staccando una porzione di intonaco di forma quadrilatera in modo da non rendere intuibile la forma mancante, ma soprattutto potrebbe dimostrare come quegli intonaci siano originari della fine degli anni ’30.

Silos del Consorzio Agrario: a sinistra lo stato attuale, a destra le tracce della datazione in numeri romani e del fascio littorio

Il Cine-Teatro all’aperto Eden Park

Un ultimo caso di questa prima parte dell’articolo è costituito dai fasci littori posti ai lati del Cine-Teatro all’Aperto Eden Park, scomparsi nel dopoguerra prima ancora della demolizione del Cinema durante le fasi costruttive del Palazzo dell’INPS che ne occupò parzialmente la superficie. Anche in questo caso si trattava di fasci littori aderenti al canone razionalista e rappresentati su entrambi i lati del palco come stilizzazioni in forma triplice e in tonalità più chiara rispetto alla campitura dello sfondo. Le foto d’epoca non consentono di stabilire con precisione i materiali, nè si conosce con esattezza l’anno di installazione dei fasci littori perché il Cine-Teatro era già esistente negli anni ’20, ma le immagini finora note ritraggono una struttura già ampiamente inserita nell’ambito razionalista, quindi fortemente rimaneggiata.
Non si tratta comunque degli ultimi fasci littori scomparsi perché ora, nella seconda sezione dell’articolo, vedremo come in alcune strutture dove ancora sono presenti fasci littori integri siano riconoscibili anche tracce di fasci littori distrutti.

Lapide dell’Istituto Martini (fonte foto: scheda del M.I.B.A.C.T.)

I più antichi tra i fasci littori del ventennio tuttora esistenti risalgono al 1923 e sono quelli presenti ai lati di una delle due lapidi commemorative nell’atrio dell’Istituto Tecnico Economico “Pietro Martini”. Entrambe le lapidi sono dedicate al ricordo degli studenti ed ex studenti caduti in battaglia durante la Prima Guerra Mondiale. La lapide di sinistra, in particolare, è quella che presenta i fasci littori ed è possibile dedurne la datazione perché realizzata dalla Casa d’Arte Benvenuto Cellini di Firenze (sotto la supervisione di Mario Nelli) ed inserita all’interno del Catalogo curato da Carlo Delcroix che proponeva un medagliere riproducibile in serie e nel quale potevano venire scolpite delle incisioni o delle epigrafi. Tale lapide infatti è rintracciabile anche a Genova, a Siena, a Parma, a Lucera e in altre località prevalentemente toscane. Nella versione cagliaritana, la lapide è incisa con una lunga epigrafe che riporta il bollettino di guerra del 4 Novembre 1918 nel quale il Generale Diaz annunciava la vittoria sull’esercito austrungarico. Ai lati dell’epigrafe, tra gli altri stemmi e simboli è possibile riconoscere due fasci littori posti simmetricamente. I fasci, pur nella dettagliata realizzazione, risentono di una forte geometrizzazione delle forme e appaiono piuttosto massicci. La scure è rappresentata con la lama sporgente direttamente dal fascio di canne, senza la rappresentazione canonica dell’impugnatura e l’eventuale protome leonina o d’ariete sulla parte sommitale. Una accentuata curvatura sommitale fà in modo che la lama della scure non risulti un semplice rettangolo ma sia facilmente identificabile come arma da taglio. Sulla lapide posta nella parete destra dell’atrio invece non è presente alcun fascio littorio ma un bassorilievo di alta qualità esecutiva realizzato da Andrea Valli, già attivo in altre realizzazioni monumentali cagliaritane.

Tra i fasci littori ancora esistenti, ma solo parzialmente riconoscibili per via dell’eliminazione della scure sono interessanti – per via dell’astrazione del fascio fino a sembrare una modanatura verticale – quelli presenti sul Corpo Aggiunto della Stazione delle Ferrovie Centrali e precisamente sul prospetto nella parte terminale di Via Roma. L’edificio, destinato ad ospitare i viaggiatori, è stato progettato nel 1925-26 dall’architetto Roberto Narducci in concomitanza con i rifacimenti della Stazione di cui si è parlato nella prima parte dell’articolo.
Attualmente i fasci littori si presentano come semplici nicchie decorative con un motivo ornamentale laterale formato da tre cilindri affiancati. Nel campo rimasto vuoto era originariamente presente la scure, eliminata nell’immediato dopoguerra, pertanto oggi – anche per via della forte stilizzazione del fascio di canne vero e proprio – è difficile riconoscervi immediatamente il primitivo fascio littorio. Al di sotto delle due nicchie, protette da minuscole tettoie in tegole, sono presenti altre due nicchie stavolta però ornate con dei motivi a festone in tonalità chiara su sfondo color terracotta.

Corpo aggiunto della Stazione Centrale – Nicchie con resti di fasci littori

Il 1925 fu un anno di importanti lavori di ristrutturazione anche all’interno del Palazzo dell’Università, nell’ala del Rettorato. Le modifiche vennero apportate anche agli esterni, e infatti l’ingresso al Rettorato è costituito da un portale neobarocco di foggia semplice, con timpano curvo, in sostituzione della più modesta porta che vi si trovava in precedenza. Il resto del prospetto dell’edificio venne mantenuto intatto nelle sue linee di gusto barocchetto-piemontese. Uno dei più riusciti interventi fu il rifacimento dell’apparato decorativo dell’Aula Magna, occasione nella quale venne commissionata a Filippo Figari la grande tela rappresentante il “Mito di Prometeo” (portatore di conoscenza all’Umanità e dunque eroe di riferimento nell’ambito della divulgazione scolastico/universitaria) posta sopra la Cattedra del Rettore. Tra la Cattedra del Rettore e la tela del Figari è presente un cartiglio (che ha un suo gemello esattamente di fronte, sull’altro lato corto della sala) sostenuto da una cornice ovale affiancata da volute, nella quale è inserito un fascio littorio rappresentato secondo i canoni storicisti a cui si rifà l’intero nuovo apparato decorativo dell’Aula Magna (uno stile neobarocco perfettamente integrato nella struttura realmente barocca del Palazzo dell’Università).

Aula Magna del Rettorato: una visione d’insieme e il dettaglio di uno dei due cartigli con fascio littorio

Il Gonfalone dell’Università

All’interno dell’Aula Magna non sono presenti solamente i due fasci littori nei cartigli in stucco: in una teca posta tra due delle finestre aperte sul lato est è infatti conservato il Gonfalone dell’Università. Si tratta di un rifacimento del 1933 dell’antico gonfalone seicentesco (andato perduto) su disegno del pittore cagliaritano Edoardo Buffa. Il terminale dell’asta del Gonfalone è costituito da un medaglione circondato da foglie d’alloro all’interno del quale è scolpita in bassorilievo una testa femminile affiancata da due fasci littori con scuri piuttosto pronunciate e appuntite. Il riferimento iconografico è alla Giustizia, in quanto la Facoltà di Giurisprudenza fu una delle prime quattro facoltà nelle quali era suddiviso l’Ateneo nell’anno di fondazione 1620. Ancora ai restauri del 1925 risale l’erezione del nuovo grande portale neobarocco dal quale si accede al Bastione del Balice, che oggi forma un giardinetto-parcheggio annesso all’Università e che proprio negli anni ’20 e ’30 venne interessato da una serie di lavori di costruzione di nuovi locali amministrativi e gestionali dell’Università (andati poi in gran parte distrutti dai bombardamenti del ’43 che lasciarono fortunatamente intatto il settecentesco Palazzo dell’Università). All’interno di questo nuovo portale, realizzato ancora in chiave storicista e con evidenti richiami all’architettua barocca e ai portali settecenteschi delle aziende agricole sarde (si pensi al Portale di Vitu Sotto a Oristano e agli altri appunto dell’Oristanese) è montato un cancello a due ante su ognuna delle quali campeggia uno stemma ornato da volute e con il campo oggi liscio ma originariamente ospitante il fascio littorio. Non è dato sapere se i fasci fossero dipinti o realizzati in metallo diverso e applicati sugli stemmi ancora presenti oppure ancora se il campo vuoto visibile oggi è una piastra applicata sopra dei fasci ancora presenti al di sotto.

Palazzo dell’Università, Portale del Bastione del Balice: i due stemmi originariamente ospitanti i fasci littori

Palazzo degli Istituti Biologici

Il Palazzo degli Istituti Biologici, in via Porcell, è un edificio progettato dall’architetto Gustavo Tognetti nel 1926 e realizzato a partire dal 1928 con alcune varianti in corso d’opera. Si caratterizza per uno stile storicista che mostra ancora legami con dettami del modernismo specialmente nelle aperture trifore. Alcuni dettagli, come i due stemmi posti al di sopra del portale centrale, sono invece tipici della fase storicista coincidente con il neobarocco e si caratterizzano per un ampio uso di volute, palmette e corde scolpite in altorilievo. Si tratta di realizzazioni di buona qualità pur essendo realizzate con un materiale semplice come il cemento. Nello stemma di sinistra è rappresentato l’emblema di Casa Savoia; lo stemma di destra ospita invece un fascio littorio rappresentato in modo piuttosto dettagliato sebbene il fascio di canne sia privo dei nastri che dovrebbero tenerlo unito, ma è probabile che siano state cancellate da un restauro perché nella parte superiore del fascio è ancora presente traccia dei nastri originari. La scure è rappresentata secondo un canone tipico del periodo, ovvero con la parte terminale dell’asta scolpita in forma di testa leonina (in altri casi era presente la testa d’ariete o un pomolo decorativo).

Palazzo delle Scienze – stemma per fascio littorio

Stilisticamente affine al Palazzo degli Istituti Biologici è il vicino Palazzo delle Scienze, realizzato a partire dal 1934 dall’architetto Angelo Binaghi al pari dell’edificio di Anatomia Normale (l’unico dei tre edifici ad aver subito importanti ampliamenti e variazioni che ne hanno cancellato definitivamente l’aspetto storicista-eclettico). Nel prospetto principale del Palazzo delle Scienze, al di sotto del cornicione, sono presenti due stemmi analoghi a quelli del Palazzo degli Istituti Biologici, uno dei quali ancora rappresentante lo stemma di casa Savoia e l’altro ora caratterizzato dal campo vuoto. Si tratta di uno dei casi di fasci littori eliminati del quale si sarebbe dovuto parlare nella prima parte dell’articolo, ma si è preferito descriverlo ora per la forte analogia con gli Istituti Biologici e di Anatomia Normale, difatti anche in questo caso – come a San Benedetto, a Tuvixeddu, e in altri luoghi di Cagliari, lo stemma ospitante il fascio littorio è un ornamento neobarocco con volute superiori e inferiori, in questo caso inoltre completato dallo stemma dei quattro mori nella parte sommitale.

Palazzo delle Poste, stemma con fasci littori laterali

Tra il 1926 e il 1932 venne costruito un altro importante edificio pubblico cittadino, il Palazzo delle Poste, in Piazza del Carmine. I lavori subirono delle interruzioni a metà realizzazione per via di un crollo nell’erigenda ala occidentale, pertanto l’edificio poté essere inaugurato soltanto nel 1932. È un ampio edificio isolato realizzato secondo dettami neorinascimentali tipici del periodo storicista e inizialmente si presentava privo del balcone centrale, realizzato in ultima fase dopo l’inaugurazione e sostenuto da quattro colonne in granito che incorniciano le tre aperture dell’ingresso principale. Al di sopra del portone centrale è ancora presente uno stemma di casa Savoia che mostra ai lati due elementi cilindrici nei quali sono ancora evidenti segni di scalpellature che non hanno però del tutto eliminato gli elementi verticali di cui erano costituiti. E gli elementi verticali erano appunto le canne legate in forma di fasci littori affiancati allo stemma sabaudo. Le parti eliminate completamente furono le due scuri sporgenti dai fasci e dunque realizzate in altorilievo. La scalpellatura non del tutto accurata consente comunque di osservarne tuttora le loro sedi nei lati dei resti dei fasci littori e le forme degli stessi fasci.

Palazzo delle Poste, recinzione con triplice scure littoria

Anche nel Palazzo delle Poste si manifesta però una convivenza tra elementi storicisti ed altri più razionalisti che tendevano all’esibizione in modo quasi occulto dei fasci littori: si tratta di alcuni elementi associati in forma triplice ed inseriti come elementi decorativi nella recinzione del lato di Vico Malta in origine più bassa di quanto appaia oggi (è stata sopraelevata solamente lo scorso anno con l’aggiunta di un’alta recinzione che riprende i motivi decorativi di quella presente in Via Malta e in Via Maddalena). Come detto, in questa recinzione sono presenti dei gruppi di tre piastre inserite tra le sbarre orizzontali della recinzione e rappresentanti il fascio littorio nella sua iconografia triplice e fortemente stilizzato al punto di apparire come la sola lama della scure. Elementi simili, come vedremo nella seconda parte dell’articolo, ricorrono anche in altri edifici cittadini.

Ponte di Giorgino

Al 1927 risale la realizzazione di alcune importanti infrastrutture di collegamento tra l’area di Giorgino e la vicina Capoterra: si tratta di sette piccoli ponti costruiti al di sopra delle foci dei vari rii che dalla Laguna di Santa Gilla sfociavano sul lungo litorale di Giorgino. La strada che univa i sette ponti è stata in seguito ampliata e trasformata nell’attuale SS 195 “Sulcitana”, e i nuovi ponti sono stati costruiti accanto a quelli degli anni ’20. Di questi sette ponti, solo uno attualmente presenta ancora i fasci littori ed è quello presso la centrale elettrica delle Saline Contivecchi, un po’ prima del bivio per Maramura. I quattro fasci littori, osservabili da sotto il nuovo ponte della 195 e sul prospetto opposto, dal lato della centrale elettrica delle Saline si trovano ai lati dell’arcata e sono inseriti all’interno di medaglioni circolari in cemento (si consiglia vivamente, nel caso, di andare a vederli in estate quando la foce è quasi asciutta e non come il sottoscritto che ha scelto una giornata autunnale di inizio novembre con la foce colmata da tre giorni di pioggia ininterrotta e da una mareggiata che portava nel rio l’acqua del mare, fotografando quindi dalle spallette dell’argine e dovendo tornare in Gennaio dopo qualche giorno di sole e mare calmo). Nonostante la semplicità dei medaglioni, il livello di dettaglio dei fasci littori è pari a quelli degli Istituti Biologici e difatti i fasci sono rappresentati nello stesso identico modo, con la scure la cui asta termina in una testa leonina e con in più le stringhe di cuoio che tengono unito il fascio ancora intatte. Uno dei fasci littori sul fronte marittimo, già parzialmente danneggiato alcuni anni fa, è stato in anni recenti tagliato per consentire la costruzione di una muratura di rinforzo in cemento armato del nuovo ponte sulla S.S.195-Sulcitana.

I quattro fasci littori del Ponte di Giorgino

Nel 1930 vennero intrapresi i lavori di rifacimento di buona parte del Porto, ed in particolare del Molo Sanità dove, su progetto dell’architetto Augusto Valente, venne costruita la Stazione Marittima, un elegante piccolo edificio costruito in stile storicista e completamente distrutto dai bombardamenti del 1943. Non ci occuperemo però della Stazione Marittima, anche perché le foto d’epoca non consentono di stabilire se – come probabile – vi fossero dei fasci littori nella sua struttura. Infatti le foto riprese dal lato mare mostrano i due stemmi sabaudi ai lati del grande finestrone centrale, mentre le foto riprese dal lato di via Roma sono sempre troppo piccole per poter identificare se su quel prospetto ci fossero dei fasci. Il Molo Sanità, su cui ora sorge la nuova Stazione Marittima, conserva ancora dei fasci littori intatti e un fascio littorio distrutto.

Molo Sanità, resti di fascio littorio nella fioriera, ex-argano

Di quest’ultimo oggi rimane solo la cornice del medaglione in cui era inserito e si trova alla base di quella che oggi è una grande fioriera sul lato di sud-est, mentre un tempo era la base circolare di un argano per il sollevamento dei carichi dai bastimenti. Il medaglione appare affine a quelli del ponte di Giorgino, l’abrasione del fascio littorio invece non consente di stabilire i dettagli originari del manufatto che, verosimilmente, doveva essere anch’esso assai simile ai due presenti nel ponte di Giorgino e a quello del Palazzo degli Istituti Biologici.
Come detto poc’anzi, il Molo Sanità conserva anche dei fasci littori pressoché intatti sebbene la ruggine di quasi novant’anni li abbia deteriorati. Sono tutti scolpiti sul fronte marittimo delle bitte del molo. Non mi è stato possibile fotografarli tutti e devo ringraziare l’equipaggio di un’imbarcazione che, gentilmente, ha consentito a fotografarne uno per me con la mia fotocamera qualche mese fa (soffro il mal di mare…). Un altro fascio littorio è possibile osservarlo anche dal lungomare quasi sull’angolo del molo e pertanto sono riuscito a fotografarlo da terra. Il molo conta in tutto il molo ha dodici bitte, cinque sui lati lunghi e due sul lato corto a meridione. Le bitte sul lato di levante sono però state occluse da una nuova passerella lignea dotata a sua volta di nuove bitte più piccole e di concezione contemporanea. Oltre la passerella è però presumibile che siano stati preservati i fasci nella base delle bitte.
Sul lato di ponente invece nessuna nuova struttura occlude il basamento delle bitte e dunque è possibile osservare i fasci che vi sono scolpiti in bassorilievo. Sono fasci ancora di tipo tradizionale realizzati con perizia di dettaglio, sebbene in modo più semplice rispetto ad altri esemplari coevi. Anche in altri moli, ad esempio il molo di levante, è possibile osservare i fasci littori nelle bitte, o almeno in alcune di quelle originarie ancora superstiti.

Molo Sanità – Fasci littori nelle bitte

Restando nell’area portuale e sempre negli anni ’30, precisamente tra il 1930 e il 1933, venne ingrandito il molo di Ponente. Anche nelle bitte originarie, in gran parte sostituite, erano presenti dei fasci littori, ma l’esempio più importante è quello ancor oggi presente sopra l’ingresso del vecchio faro che originariamente si trovava sulla parte terminale del molo prima di un ulteriore allungamento dello stesso. Il faro, piuttosto gradevole nella sua struttura, è costruito con una commistione di materiali diversi: trachite grigia per il basamento, calcare per la struttura (realizzata in due ordini, quello inferiore con conci esagonali e quella superiore con muratura in “opus incertum”), calcare alternato a mattoni nell’oculo circolare sopra il portale e cemento per il parapetto sul terminale. Il fascio littorio si trova esattamente tra la chiave di volta del portale e l’oculo circolare soprastante. È scolpito interamente in calcare, a bassorilievo e secondo dettami e dettagli ancora una volta di matrice storicista, Anche in questo caso l’asta della scure termina con una protome leonina, mentre la datazione in numeri romani (X) consente di stabilire l’anno di costruzione tra il 1932 e il 1933.

Molo di Ponente: il Faro e il suo fascio littorio (fotografie di Riccardo Guantini)

Foyer del Teatro Civico con scuri littorie

Il 1933 fu un anno di trasformazioni piuttosto importanti nel quartiere di Castello. Infatti in quell’anno, oltre alla Cattedrale, anche un altro importante edificio pubblico subì una notevole modifica nell’aspetto esterno: si tratta del Teatro Civico, e più precisamente del Foyer (il resto del teatro mantenne il suo originario aspetto neoclassico), come già ricordato nell’articolo sulle modifiche alle facciate cittadine. Il prospetto del Foyer inizialmente presentava gli stessi caratteri neoclassici del resto della struttura ma, inspiegabilmente, l’originaria facciata venne ristrutturata secondo un canone stilistico a metà tra storicismo e razionalismo, difatti presenta una maggiore semplificazione delle decorazioni pur con una persistenza di elementi tipici delle facciate classiche, come ad esempio i timpani sulle aperture del primo piano. Ciò che qui ci interessa sono però gli elementi decorativi posti al di sopra delle finestre del secondo piano. Ad un primo impatto potrebbero sembrare dei semplici triglifi in rilievo, in realtà anche qui la funzione decorativa è sostituita da quella più meramente simbolica, resa quasi occulta dall’astrazione razionalista. Difatti i tre elementi altro non sono che la rappresentazione delle scuri dei fasci littori nella loro disposizione triplice, come abbiamo visto anche nella recinzione del Palazzo delle Poste e come vedremo, tra poco, anche per il Parco delle Rimembranze.

Appunto due anni dopo, nel 1935, venne realizzato – su progetto di Ubaldo Badas – un importante monumento cittadino, il Nuovo Parco delle Rimembranze, costruito sopra il Giardino di San Lucifero in sostituzione di quello precedente che occupava il tratto terminale del Viale Buoncammino al di sopra dell’Orto dei Cappuccini (l’accesso si trovava nella parte di viale Buoncammino oggi ribattezzata Viale Luigi Giussani). Il monumento progettato da Badas è un po’ un record nell’articolo di oggi perché mostra i due esemplari più grandi di fasci littori tra quelli costruiti all’interno dell’abitato urbano (vedremo poi quali sono i più grandi dell’intero circondario). I due grandi piloni sui quali sono incise le date delle principali battaglie della I Guerra Mondiale, sono infatti due enormi fasci littori fortemente stilizzati nei quali l’alternanza di pietra trachitica scura e calcare bianco non solo rimanda alle murature bicrome di epoca pisana, ma rappresenta idealmente la legatura dei fasci di canne. Ciò che li contraddistingue definitivamente come fasci littori sono inoltre le tre lame delle scuri poste sulla parte terminale dei piloni (anche qui dunque ricorre lo schema triplice già visto in precedenza).

Il Parco delle Rimembranze negli anni ’40 e i piloni maggiori ai giorni nostri

I due piloni maggiori non sono però gli unici fasci littori presenti nel Parco delle Rimembranze. Anche nella recinzione, infatti, sono realizzati dei fasci littori di ridottissime dimensioni e fortemente stilizzati al punto da assumere il solo aspetto della scure (in epoca razionalista infatti il fascio littorio venne raffigurato spesso come una semplice scure, la cui impugnatura sostituiva definitivamente il fascio di canne, e spesso in forma tripla). Tra i fasci della recinzione dovevano essere inserite dei numeri romani a ricordo dell’anno di costruzione: infatti sono presenti dei piccoli fori mentre tra il primo e il secondo fascio di ogni gruppo è ancora possibile vedere una barra orizzontale decorata con un motivo ad onde che è possibile riscontrare in ogni fascio littorio al di sotto della A di “Anno”. All’interno del Parco delle Rimembranze, nella struttura commemorativa vera e propria (costruita come una chiesa all’aperto) erano inoltre presenti altri due fasci littori dei quali oggi rimangono solamente i piloncini portanti di forma curva, realizzati in calcare di Bonaria e rappresentanti il fascio di canne. Nella parte alta di entrambi i piloni è possibile ancora osservare dei fori con dei perni in bronzo nei quali erano alloggiate le scuri scolpite anch’esse in calcare e poi inspiegabilmente eliminate (infatti la modifica di quei fasci littori appare quasi inutile se si considera ciò che è ancora presente nella recinzione e l’imponente mole dei due piloni principali).

Parco delle Rimembranze – I due piloni interni ora privi delle scuri

Parco delle Rimembranze, i fasci littori nel cancello

Cartellone di Piazza Gramsci

Nel 1935, proprio dinanzi al Parco delle Rimembranze, un’altra piazza cagliaritana – l’attuale Piazza Gramsci – venne ristrutturata anche in virtù dell’edificazione dei nuovi edifici in parte razionalisti e in parte storicisti sia ad uso civile sia con funzioni pubbliche (come la già citata Legione dei Carabinieri). Al rifacimento della piazza deve pertanto riferirsi l’installazione di un cartellone destinato ad accogliere dapprima proclami e locandine e in seguito manifesti pubblicitari. Il cartellone era inizialmente collocato sul lato della piazza prospiciente la via Sonnino ed era interamente dipinto in verde. Con i recenti restauri della Piazza Gramsci, conclusi nel 2016-17, il cartellone venne anch’esso restaurato eliminando la patina di vernice e restituendone il primitivo colore grigio scuro della ghisa con cui è realizzato. Alla base di ognuno dei due pilastri che sostenevano il pannello per i manifesti (ancora non ripristinato, difatti i pilastri sono tutto ciò che ne rimane) è presente un fascio littorio sempre derivante da modi stilistici di tipo storicista e fortemente dettagliati pur nella loro ridotta dimensione. Come tanti altri fasci citati in precedenza anche questi sono caratterizzati da una scure con protome leonina e con le canne cinte da una singola stringa che forma tre giri nella parte superiore e in quella inferiore del fascio. Non si hanno notizie circa la fine del pannello superiore, ma è auspicabile un suo ripristino, i pilastri per ora hanno l’aspetto di vecchi lampioni privati della lanterna e vista la ricollocazione come memoria storica sarebbe bene che anche la funzione storica prevista per il manufatto venga ripresa.

Cartellone di Piazza Gramsci – dettagli dei pilastri con fasci littori

Ancora al 1935 risale un’altra realizzazione oggi costituente uno degli accessi ad un piacevole spazio verde urbano: si tratta dell’esedra dalla quale si accede al Giardino Sotto le Mura e alla recentissima Piazza dello Sport (realizzata sopra il settecentesco Bastione del Palazzo), in origine con funzione di accesso al Vivaio Cittadino e alla palestra all’aperto posta sopra il sopraccitato Bastione del Palazzo. Le foto d’epoca mostrano i due pilastri d’ingresso dell’esedra con i fasci littori – realizzati in cemento e ancorati con fasce di metallo che simboleggiano le stringhe di cuoio – ancora intatti, con ancora le loro scuri. L’esedra è un’altra realizzazione su progetti di Ubaldo Badas secondo i dettami del razionalismo, e anche i fasci littori seguono questa linea stilistica presentandosi in una forma completamente astratta formata da un cilindro principale – sopra e sotto il quale sporge la stilizzazione dell’impugnatura del fascio – al quale è sovrapposta l’asta della scure, oggi distrutta in entrambi i fasci. Attualmente infatti sopravvive solo il nucleo rappresentato dal fascio cilindrico e dall’asta della scure, sormontato da un’alta asta in metallo un tempo pennone di stendardi.

L’Esedra del Giardino sotto le mura in due foto d’epoca e come appare oggi

Esedra del Giardino sotto le Mura, dettagli dei fasci littori

Si è già parlato delle modifiche in stile razionalista apportate nel 1936 alla piazzetta formata dal bivio tra le vie Baylle e Dettori. In tale occasione si è fatto cenno alla trasformazione della facciata dell’Asilo Marina e Stampace dalla sua veste originaria in una nuova realizzazione di matrice razionalista. Ai lati del balcone centrale del primo piano sopravvivono tuttora due bassorilievi cementizi raffiguranti i fasci littori in triplice forma e stilizzati fino a sembrare tre semplici asce. La presenza del fascio littorio su questo edificio ben più antico è motivata dal finanziamento per la ristrutturazione dello stesso, non per una sua costruzione ex-novo.

Balcone dell’Asilo Marina e Stampace

Ospedale Binaghi, il portale coi fasci littori

Il 1937 è l’anno di costruzione del nucleo da cui poi prese forma uno dei principali ospedali cittadini odierni: l’Ospedale Binaghi. L’edificio venne realizzato inizialmente come Sanatorio posto alle pendici meridionali del Monte Urpinu ma la struttura venne ben presto ingrandita anche perché se prima la sua posizione era ancora periferica, già intorno agli anni ’40 cominciava ad essere parte integrante dell’abitato urbano. Il canone stilistico per l’edificazione dell’Ospedale Binaghi è il razionalismo, pur con un marcato richiamo a forme ancora di derivazione storicista (ad esempio le modanature intorno alle finestre e nella parte alta dei pilastri che formano i loggiati o i bovindi sulle facciate delle ali posteriori). Il portale è realizzato interamente in calcare, verosimilmente estratto dalla vicina cava di Monte Urpinu (si presenta infatti di una tonalità appena più calda di quella del calcare di Bonaria) ed è affiancato da due fasci littori anch’essi realizzati in calcare e con una fortissima astrazione che oggi – con la privazione delle scuri sommitali – li fa passare quasi inosservati e facilmente confondibili con due tubi pluviali. Ognuno dei due fasci littori mostra ancora la rappresentazione scultorea, sebbene molto semplice, dei nastri in cuoio che cingono l’immaginario fascio di canne, la parte sommitale e quella basale sporgente come nei fasci romani (il fascio di canne era difatti legato con le stringhe attorno ad una robusta pertica centrale), ma non presentano – come detto – le scuri, eliminate immediatamente dopo la II Guerra Mondiale con una maggiore attenzione rispetto a quanto avvenne per gli altri fasci cittadini. Infatti quelli dell’Ospedale Binaghi non mostrano tracce di abrasione delle scuri in virtù di una accurata levigazione successiva, probabilmente anche per contribuire a “nascondere” la forma originaria facendola apparire come una semplice decorazione cilindrica.

L’anno successivo, il 1938, vide l’inaugurazione di un altro importante polo ospedaliero che ci riporta nella già percorsa Via Porcell (per gli Istituti Biologici e il Palazzo delle Scienze): si tratta della Clinica Pediatrica, chiusa definitivamente in anni recenti (nel 2015) con il trasferimento delle sue funzioni al Policlinico Universitario di Monserrato. Il nucleo originario, al quale venne poi affiancata la grande struttura della Clinica Macciotta (realizzata solo nel dopoguerra), è costruito secondo dettami tipici del razionalismo e con un’attenta scelta dei materiali: il basamento, la fascia con l’intitolazione e le cornici delle finestre sono infatti realizzati con il pregiato calcare di Bonaria. Oggi la struttura è inoltre ingentilita dalla piacevole tonalità verde-menta dell’intonaco esterno, sebbene cominci a mostrare segni dell’evidente abbandono.

Clinica Pediatrica, pilone con fascio littorio

Su uno dei piloni della recinzione è ancora riconoscibile un imponente fascio littorio realizzato in cemento e secondo una concezione razionalista che però mostra ancora un’attenzione al dettaglio assai lontana dalla rigida astrazione di altri manufatti coevi. Infatti il fascio è scolpito nel cemento con una dettagliata rappresentazione di ogni singola canna che lo compone, mentre le stringhe che lo tengono unito sono state semplificate in semplici nastri di cemento, uno dei quali – quello inferiore – è incluso nella modanatura del muro di recinzione mentre quello superiore forma anche il coronamento del pilone. L’eliminazione della scure è stata pressoché totale e anche qui non è possibile riconoscere segni di abrasione.
Due chiavi di volta poste al di sopra delle aperture del pianterreno dovevano ospitare anch’esse dei fasci littori (come consueto infatti questi simboli erano posti in corrispondenza degli ingressi principali degli edifici pubblici e difficilmente ci si sarebbe accontentati del solo fascio della recinzione), ma anche in questo caso un’accorta lisciatura non permette di riconoscerne l’originaria presenza.

Clinica Pediatrica, l’ingresso e le due lastre calcaree per i fasci littori

Il 1940 è l’anno in cui lo stadio della storica Società Sportiva Amsicora, subì una notevole trasformazione del prospetto: da quello neobarocco dei primi anni ’20 ad una veste razionalista caratterizzata da un altissimo pilone centrale che suddivide l’ingresso in due aperture. Il pilone è formato da tre elementi verticali: uno principale più robusto e sporgente, e due laterali – più sottili e stretti – aderenti a quello centrale. Tale conformazione è un richiamo ancora più astratto (e “occulto”) alla conformazione tipica del fascio littorio con l’asta della scure sporgente. Non esistono foto degli anni ’40 che attestino la presenza di una forma decorativa che rappresentasse la scure nella parte frontale del pilone (sebbene nella parte posteriore è effettivamente presente tale sporgenza), ma il richiamo al fascio littorio è comunque evidente, considerando anche le importanti attività sportive svolte all’Amsicora che – all’epoca – era ancora uno degli unici due Stadi esistenti (l’altro era il Campo Sportivo di Via Pola ora MEM).

Ingresso dello Stadio Amsicora col fascio littorio stilizzato in funzione di pilone

Nel 1940 venne inaugurato il Cimitero di San Michele. Il progetto risale agli anni ’30 e venne portato a compimento con alcune modifiche solamente nel 1940 – secondo canoni che non erano già più razionalisti ma ricadevano nel monumentalismo – e relativamente agli ingressi, al primo nucleo e alla Cappella. Due fasci littori sono infatti ancora presenti nelle murature esterne. Sebbene ci si possa aspettare che i due fasci littori di cui parleremo ora si trovino nel corpo centrale dell’ingresso, il cosiddetto “Famedio” (anche se non ricoprì mai tale funzione), essi si trovano invece sui due corpi laterali a forma di abside, e per di più in una posizione dove è difficile notarli a prima vista anche per il fatto che non sono scolpiti ma incisi sulla pietra trachitica di cui è formata la muratura. Si trovano per l’esattezza nelle chiavi di volta delle piattebande soprastanti i grandi finestroni quadripartiti da croci in calcare bianco delle due suddette absidi. Nell’abside al lato sinistro il fascio littorio è assai stilizzato e piuttosto primitivo nella sua realizzazione, praticamente è poco più che un rettangolo con linee diagonali, le due sporgenze della pertica centrale sopra e sotto il rettangolo, e un triangolo a formare la scure. Appena più dettagliato, ma sempre di fattura alquanto rozza, il fascio littorio dell’abside sinistra: il rettangolo appare qui più largo e intervallato da linee verticali a formare le canne, sono sempre presenti le due sporgenze della pertica centrale e la scure è realizzata con una lama ricurva che ricorda più un falcetto che una scure vera e propria. Non è chiaro perché siano stati realizzati in quel modo, e soprattutto in una posizione nella quale non sono ben visibili, è forse probabile che la loro realizzazione si debba all’iniziativa di qualche operaio durante la costruzione delle absidi piuttosto che ad una scelta celebrativa che sicuramente sarebbe stata fatta optando per una maggiore visibilità.

Cimitero di San Michele: le absidi delle ali laterali dell’ingresso e i dettagli dei loro fasci littori

Ma questi non erano gli unici fasci littori presenti nel Cimitero. All’interno del Cimitero infatti non sono più presenti veri e propri fasci littori, sebbene se ne possa intuire la precedente esistenza in alcuni pilastri addossati alle strutture murarie del cosiddetto “Viale delle Cappelle”, ed in particolare in quelli presenti nei setti divisori tra il primo e il secondo recinto del Viale. Questi pilastri infatti si differenziano dagli altri per la loro forma semicilindrica e per il fatto che mostrano – sebbene non sia immediatamente percepibile alla vista – una differenza di superficie nella parte alta, quale risultato del riempimento di un vuoto con un cemento di tipo diverso (più granuloso) da quello originario (più liscio). Questa differenza è destinata ad essere sempre visibile proprio per la differente composizione dei due materiali. Non è difficile immaginare l’eliminazione di quali elementi abbia provocato il vuoto colmato e tuttora visibile, ovvero la lama della scure (presumibilmente anch’essa in cemento e probabilmente con una leggera armatura interna) che faceva di ogni pilastro un fascio littorio assai stilizzato e semplificato.

Cimitero di San Michele: due semipilastri del primo piazzale in una vista d’insieme, in una dal basso e in un dettaglio che rivela la precedente asportazione di un elemento, verosimilmente la scure

Il 1941 ci riporta invece nella Facoltà di Ingegneria e Architettura in Via Corte d’Appello, ex Complesso Mauriziano. Come già detto infatti nel 1941 vennero intrapresi lavori di restauro e recupero dell’antico tribunale per realizzarvi all’interno la scuola di disegno di quella che allora era solamente la Facoltà di Ingegneria (i corsi di Architettura sono stati aperti in epoca relativamente recente, nel 2005). Una lapide, posta nell’atrio settecentesco dell’edificio, commemora questi lavori di recupero ad opera di Giuseppe Brotzu, all’epoca rettore dell’Ateneo cagliaritano. La lapide reca questa iscrizione in latino: “Hae, Jamdiu, Temporum Injuria, Obsoletae Aedes / Ac Paene Fatiscentes / In Pristinam Studiorum Dignitatem / Restitutae Fuere /
A.D. MDCCCCXLI A.F.R. XIX / Curante J. Brotzu /Recrote Universitatis Studiorum Caralitanae”. Come si evince dalla lapide dunque si volle commemorare la ristrutturazione dell’edificio ormai fatiscente per farne un luogo di studio. Ai lati dell’iscrizione, anch’essi incisi come i caratteri dell’epigrafe, sono presenti due fasci littori assai stilizzati, schematicamente risolti con un rettangolo a rappresentare il fascio di canne e un trapezio con un lato lievemente curvo a formare la scure.

Facoltà di Ingegneria e Architettura, via Corte d’Appello: lapide commemorativa dei restauri del 1941 posta nell’atrio

Sempre all’interno del Complesso Mauriziano, all’imbocco del portico di Via Corte d’Appello, un’iscrizione dipinta su una lunetta in metallo – soprastante una porta anch’essa in metallo – ricorda come ancora in quegli anni fosse ospitata la sede ufficiale del Gran Maestro dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro. La scritta, i cui caratteri seguono la forma della lunetta, è affiancata a sinistra dalla doppia Croce dell’Ordine Mauriziano (formata da una Croce – detta di San Maurizio – di quattro frecce verdi disposte diagonalmente attorno ad una Croce bianca con terminali polilobati, detta di San Lazzaro); al lato destro invece è presente un tricolore (oggi sbiadito per via dell’ossidazione della lunetta che ha causato anche la mutazione della pigmentazione) il cui campo centrale è occupato da un fascio littorio con la scure sporgente su quello che inizialmente era il campo rosso.

Complesso Mauriziano: lunetta della Sede del Gran Maestro dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, con fascio littorio laterale e dettaglio dello stesso.

Il 1942 fu l’anno in cui cominciarono i primi bombardamenti alleati sull’abitato urbano (dal 1940 e fino ad allora infatti vennero colpite solo le infrastrutture portuali e i due aeroporti) e fu quindi anche l’anno in cui cominciarono ad essere utilizzati i rifugi antiaerei realizzati nei due anni precedenti. Uno di questi rifugi venne approntato nell’ampia cripta ipogeica di Santa Restituta, nelle cui murature sono ancora incisi o scritti i nomi di quanti vi trovarono, bombardamento dopo bombardamento, rifugio riparo e salvezza.

Cripta di Santa Restituta, lapide con fasci littori e svastica

Ma il ricordo dei bombardamenti non si limita al solo elenco delle centinaia di nomi scritti sulle pareti, difatti una piccola lapide affiancata all’altare con la colonna del Martirio di Santa Restituta (riguardo al quale potete approfondire nell’articolo sulle madri cagliaritane) incisa il 13 Dicembre 1942 ricorda appunto il ricovero all’interno della Cripta in quella data a difesa da un attacco di cui però non si ha menzione nei bollettini di guerra e che, verosimilmente, dovette rivelarsi un falso allarme. La lapide è semplicemente incisa in caratteri piuttosto disordinati (sebbene nella riga in cui è riportata la data siano ancora visibili le linee tracciate per un maggior ordine calligrafico) e reca la seguente iscrizione: “Questa Grotta già / carcere di S. Restituta / servì da ricovero antiaereo / nella guerra contro gli / anglo, russi americani / Secchi Gaetano / Cagliari -13 -12 – 1942 XXI”. La lapide inoltre è completata da due fasci littori: uno più grande sulla parte sommitale e anch’esso scolpito nella pietra della parete dell’ipogeo, scolpito in modo piuttosto grossolano ma con ben evidenti i dettagli dell’ascia e delle stringhe di cuoio appena sbozzate sulla pietra e sotto il quale è incisa la numerazione romana dell’anno: “A XXI” sebbene appena visibile; l’altro fascio littorio è collocato appena al di sotto del primo ed è realizzato in materiale più scuro, probabilmente la stessa pietra scolpita e dipinta con una vernice metallica che oggi mostra segni di importante ossidazione. Anche questo secondo fascio littorio è scolpito in modo rosso, persino più di quello maggiore; lo affianca la datazione romana dell’anno XXI oltre la quale, sulla destra, è inciso anche il simbolo della svastica.

Al 1942 risale un altro fascio littorio la cui realizzazione però è ben più accurata nei dettagli e per il quale è stato scelto un materiale piuttosto pregiato come il travertino. Questo fascio littorio si trova nell’edificio dei Magazzini Generali della Marina Militare presso la Marina di Sant’Elmo e la Diga Foranea, proprio all’imbocco della pista ciclabile che oggi percorre la cosiddetta “Galleria del Sole”, luogo elettivo della Street-Art di qualità. Il fascio littorio è curiosamente realizzato sul fusto di un’ancora – che dunque forma la pertica centrale – la cui parte inferiore è morbidamente scolpita in pieno contrasto con la spigolosità delle frecce che ne compongono le punte. La parte superiore con l’occhiello per la fune sostituisce invece la sporgenza sommitale della pertica centrale. Il fascio vero e proprio è realizzato con perizia di dettaglio essendovi scolpita ogni singola canna e ben delineando le sottili stringhe di cuoio che lo cingono. Le due scuri laterali sono invece realizzate in modo schematico e al limite dell’astrattismo razionalista e si presentano inoltre capovolte, ovvero con la lama in basso (composizione comunque non inusuale, solamente più rara rispetto alla canonica rappresentazione con la scure in alto). Completa il riquadro scultoreo la datazione in numeri romani “A XIX”, a commemorazione del 1941-42 come anno di realizzazione del deposito.

Magazzini Generali della Marina Militare: la lapide col fascio littorio

Cimitero di Bonaria: lapide del S.T. *** con aquila e fascio littorio

Il percorso tra i fasci littori ancora presenti nell’area urbana di Cagliari fa ora ritorno all’interno del Cimitero Monumentale di Bonaria, sebbene non con una datazione specifica perché i fasci di cui parleremo ora coprono un arco temporale compreso tra gli anni ’30 e il ’42-’43. Per ovvie ragioni non verranno riportati i nomi dei defunti ai quali appartengono le lapidi, e nelle foto documentarie sono stati censurati i volti. Di tutti questi fasci littori solamente uno è un manufatto scultoreo, peraltro di piccole dimensioni: si tratta di una piccola scultura in bassorilievo in bronzo applicata ad una lapide marmorea e rappresentante un’aquila che stringe tra gli artigli proprio un piccolissimo fascio littorio. L’Aquila col fascio tra le grinfie non va confusa però con il simbolo presente sulla bandiera di guerra della Repubblica Sociale Italiana, sebbene sia identica, poiché infatti questa lapide risale al 1935, quindi è precedente di 8 anni rispetto alla proclamazione della R.S.I.; in questo caso si tratta dell’Aquila come simbolo dell’Aeronautica Militare – difatti la lapide è posta sulla sepoltura di un Sotto Tenente – ed è sormontata dalla corona della Casa Reale dei Savoia.

La spilla presente nelle fotoceramiche.

Gli altri fasci littori sono invece immortalati in fotoceramiche presenti su numerose lapidi. In queste fotoceramiche è ritratto il defunto – nella quasi totalità dei casi un uomo – con all’occhiello della giacca la spilla di appartenenza al partito. Alcuni modelli di queste spille sono ancora reperibili nei mercatini dell’usato e nei negozi online, e il modello immortalato sulle fotoceramiche di Bonaria è lo stesso per tutti ed uno dei più utilizzati. Si tratta di una bandiera tricolore disposta però ortogonalmente rispetto alla sua disposizione canonica, e con il campo verde in alto. Il fascio littorio suddivide il tricolore in due parti e la scure è collocata sulla parte alta, nel campo verde. Va chiarito comunque, né in discolpa né in accusa del defunto, che la scelta di utilizzare foto in cui il defunto indossava la spilla non era dettata necessariamente dal suo credo politico ma, molto spesso, dal semplice fatto che ancora negli anni ’30 le fotografie erano costose, specialmente in caso di ritratti ufficiali e ancor più se si pensa ad immagini di buona qualità; pertanto è probabile in questi casi che le famiglie dei defunti si siano avvalse delle uniche foto “buone” dei loro parenti scomparsi, senza badar troppo agli orpelli applicati sulle giacche.

Cimitero Monumentale di Bonaria: alcuni ritratti in fotoceramica con fasci littori all’occhiello

L’articolo non può non concludersi – come peraltro anticipato in apertura – con la descrizione dei fasci littori più grandi tra quelli dell’area cagliaritana. Sebbene si trovino nella vicina Elmas, va infatti ricordato come nel 1937 la cittadina dell’hinterland fosse stata annessa come frazione dal Comune di Cagliari (per ritrovare la sua autonomia solamente nel 1989) e dunque all’epoca della loro realizzazione questi enormi fasci littori si trovavano all’interno della superficie comunale cagliaritana. Si tratta degli altissimi piloni di accesso al Dipartimento dell’Aeronautica Militare presso l’aeroporto di Elmas allora ancora ad uso esclusivamente militare (l’uso civile avverrà con l’istituzione di un nuovo scalo solamente nel 1957). I due altissimi piloni sono sostenuti da una struttura con funzione di guardiola realizzata con sei vetrate disposte tra pilastri cilindrici in cemento armato. La guardiola ha la funzione di supporto anche di una copertura nastriforme di uno spazio di recinzione, oltre la quale svettano i piloni-fasci veri e propri. Questi ultimi sono realizzati su pianta ellissoidale e sono emblematici della logica astrattista del periodo razionalista: il fascio di canne è sostituito dal semplice corpo prismatico ellissoidale mentre le cinghie sono rappresentate da semplici marcature orizzontali che ne seguono il perimetro. La scure (privata della lama) è un semplice parallelepipedo a sviluppo verticale posto frontalmente al fascio. La differente tonalità dell’intonaco del corpo centrale del fascio e di quella delle stringhe e della scure ne sottolinea ulteriormente la rappresentazione stilizzata. Non sono comunque gli unici fasci littori presenti tra gli edifici dell’ex Comando dell’Aeronautica Militare: la quasi totalità di quelli un tempo presenti è ormai scomparsa e oltre ai due mastodontici piloni dell’ingresso principale, gli altri due fasci littori sono rappresentati da un ingresso secondario anch’esso realizzato secondo gli stessi dettami razionalisti votati all’astrazione delle forme e sono caratterizzati anch’essi da un fascio centrale (stavolta perfettamente cilindrico) cinto da marcature orizzontali in rappresentazione delle stringhe e con una scure (anche qui privata della lama) di forma parallelepipeda a sviluppo verticale posta sul lato frontale.

Elmas, aeroporto militare. A sinistra l’ingresso principale (foto dalla scheda di Sardegnacultura.it), a destra l’ingresso laterale (foto da Streetview)

Termina qui questo lungo elenco di manufatti, un tempo sicuramente più lungo. A seguire potrete vedere un video che riporta tutte le foto sulle quali è basato l’articolo.

Con l’occasione, visto che di recente ho ritrovato parti di altri miei articoli – o addirittura interi articoli – copia-incollati da persone che cercavano solamente dei like sui social senza nemmeno citare il sottoscritto autore dei testi e delle foto, ci tengo ancora una volta a precisare che tutto il materiale testuale e fotografico (ad esclusione delle foto d’epoca di pubblico dominio) è sottoposto a tutela tramite la piattaforma Patamu al Consiglio Nazionale del Notariato con prove di paternità e marcature temporali verificabili dai seguenti link: Testo dell’Articolo, Fotografie dell’Articolo, Video. Qualunque violazione dei diritti d’autore su ogni mio articolo, non solo su quest’ultimo, e su ogni fotografia presente (incluse quelle d’epoca con inserimento di forme di evidenziazione dei dettagli) d’ora in avanti verrà perseguita legalmente e senza preavviso nei confronti di chi opera la violazione dei diritti d’autore.





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