Siamo a metà Febbraio e le giornate cominciano già ad allungarsi piacevolmente, la sera si esce ben volentieri sapendo che il tramonto è più lontano di qualche minuto e che le luci cittadine cominceranno ad accendersi sempre più tardi. Ci troviamo allora nel periodo migliore per parlare della luce, e in particolare degli elementi che la diffondono nelle strade di Cagliari. L’illuminazione pubblica fece la sua comparsa a Cagliari ben più di due secoli fa, esattamente nel 1807, quando la via Barcellona – all’epoca la principale strada del quartiere Marina ancora chiuso tra le sue mura medievali – venne illuminata da due grandi fanali a olio posti a distanza di 120 passi l’uno dall’altro. Certo, la loro luce non doveva essere particolarmente intensa, ma l’evento segnò comunque una svolta nella vita pubblica della città, fino ad allora limitata temporalmente dal sorgere e dal tramontare del Sole. Nel 1824 l’amministrazione cittadina provvide ad illuminare parzialmente il quartiere Castello (all’epoca ancora il principale quartiere cittadino sede delle istituzioni politico/amministrative/religiose) e le principali strade della Marina, con un primo gruppo di cento lampade ad olio, che fin da subito però dimostrarono la loro scarsa efficacia nel rendere completamente sicure e vivibili anche in orario notturno le strade e soprattutto le difficoltà gestionali dovute alla costante fornitura di olio e alla possibilità che gli agenti atmosferici spegnessero i fanali.
Nelle sedute del Consiglio Comunale dell’11 e del 12 novembre 1863 venne approvato il primo appalto per l’illuminazione a gas. Il capitolato prevedeva la consegna dei progetti entro l’aprile del 1864, data alla quale pervennero quello della ditta Riedinger di Augsburg, quello della ditta inglese William-Gesse e il progetto dell’Ing. Vincenzo Marsaglia. Il progetto aggiudicatario fu quello della ditta Riedinger, ma una serie di lungaggini e revisioni dei progetti originari prolungarono l’assegnazione fino al 10 agosto 1864 quando venne stilato il capitolato ufficiale sulla base del progetto Riedinger. Tuttavia anche in questo caso la decisione del Consiglio Comunale venne rimessa in discussione l’ottobre successivo poiché l’appalto venne considerato come trattativa privata, alla quale il Consiglio non era autorizzato, e venne fatto presente il minor costo previsto nel progetto riveduto della ditta William-Gesse (che proponeva un costo di quattro centesimi di lire di consumo orario per ogni becco a gas, a fronte delle cinque previste nel progetto della ditta Riedinger nonostante la maggior potenza dei lampioni previsti dalla ditta tedesca ne diminuisse il numero e la distanza intercorrente tra essi) e l’approvazione del capitolato venne nuovamente annullata.
Dopo anni di lungaggini e nuovi appalti, il 28 febbraio del 1868 la società inglese “Gas & Water Company Limited”, nuova aggiudicataria dell’appalto per l’illuminazione pubblica e la fornitura di gas ad uso privato, inaugurò il Gazogeno cittadino sito nell’attuale Via Barone Rossi (del quale si è ampiamente parlato nell’articolo sulle Ciminiere).
La messa in opera dei nuovi lampioni a gas, consentì a tutti i quartieri storici di prolungare ben oltre il tramonto la vita pubblica nelle loro strade e, al tempo stesso, segnò la nascita di una nuova figura professionale, “Su Lantioneri” (il “Lampionaio”) ovvero l’operaio addetto all’accensione dei fanali pubblici.
I modelli di lampioni a gas installati nel centro cittadino sono ben riconoscibili in numerose e note foto d’epoca, sebbene in nessuna di esse compaia la figura del lampionaio (anche perché la tecnica fotografica non consentiva ancora foto notturne particolarmente precise). A partire dal 1868 fanno dunque la loro comparsa i lampioni a muro (in seguito riadattati con l’avvento dell’illuminazione elettrica), caratterizzati da robuste mensole in ghisa, sostenute da un ricco ricamo a motivi floreali, all’interno delle quali passava la cannula per la conduzione del gas fino al fanale a vetri con copertura parzialmente metallica conclusa da un terminale a pinnacolo o, più spesso, da uno a corona. Il fanale era aperto alla base per consentire al lampionaio l’accensione del lampione. La mensola non consentiva solo il passaggio della cannula del gas ma costituiva il punto d’appoggio per le scale dei lampionai laddove fosse stato per loro difficile arrivare all’altezza della chiavetta d’accensione. Il lampionaio era infatti dotato di due strumenti per l’accensione dei fanali: la scala e la pertica sulla quale era collocato un gancio che consentiva di aprire lo sportello della lanterna e girare la chiavetta da cui fuoriusciva il gas che veniva trasformato in fiamma grazie alla “lampada d’accenditore” posta in cima alla pertica.
I fanali a vetri che venivano posti sulle mensole in ghisa sono gli stessi modelli che si riscontrano, sempre grazie alle foto d’epoca, anche nei lampioni su asta. Al termine di ogni asta, esattamente sotto la lanterna, era collocata una sbarra orizzontale (solitamente conclusa da un pomello) sulla quale veniva poggiata la scala del lampionaio onde svolgere le mansioni previste anche per l’accensione dei bracci a muro. Solitamente i lampioni su asta prevedevano un singolo fanale, ma le piazze principali erano illuminate anche da lampioni a due o tre bracci, come testimoniano foto d’epoca della Piazza del Carmine e del Largo Carlo Felice intorno al monumento a lui dedicato.
Il primo evento legato all’illuminazione pubblica elettrica a Cagliari non avvenne in una strada: si trattò dell’impianto di duecento lampadine che, nel 1888, illuminarono la splendida sala del Teatro Civico. L’evento, pur se tecnologicamente limitato, fu comunque di portata storica per la Città. Gli eventi che segneranno la svolta dall’illuminazione a gas alla definitiva illuminazione elettrica cittadina saranno legati alla storia della Società Elettrica Sarda, che vide però la sua nascita solo nel 1911.
Sulla storia della S.E.S. si è ampiamente discusso nel post dedicato alle Ciminiere, ma soprattutto in quello dedicato alle Cabine Elettriche. Tuttavia vale la pena soffermarsi e ripercorrere brevemente una tappa fondamentale nella storia recente della nostra Cagliari.
Nel 1907 scadeva il contratto col quale Cagliari assegnava alla ditta inglese “Gas & Water Company Ltd” l’appalto per la gestione dell’illuminazione pubblica, ma il Comune continuò a dimostrarsi restio al cambio di gestore e di tecnologie energetiche, che avvenne solo con la nascita della Società Elettrica Sarda.
La SES non nacque a Cagliari ma fu fondata a Livorno il 4 Novembre 1911 con un capitale sociale di 600 mila lire dell’epoca, oltre all’appoggio della Banca Commerciale Italiana e delle Società Bastogi e Strade Ferrate Meridionali. Scopo della società era quello di gestire le strutture e le centrali di produttrici di energia elettrica da distribuire per i servizi pubblici quali l’illuminazione pubblica, il funzionamento delle Tranvie e delle Ferrovie e per scopi agricoli e industriali. Già ad un anno dalla nascita la SES ottenne l’accordo per la costruzione e la gestione dell’impianto elettrico per tutta la Città di Cagliari. L’anno successivo, nel 1913, nacque la Società Imprese Idrauliche ed Elettriche del Tirso, controllata dalla SES, per la costruzione dei grandi impianti di produzione sul Tirso e sul Coghinas. Nel 1914 finalmente cominciò la produzione di energia elettrica.
Ancora una volta non fu Cagliari a mostrarsi pioniera nell’abbracciare le nuove tecnologie, difatti la prima città sarda a dotarsi di illuminazione elettrica fu Ozieri, nel 1907, seguita da Carloforte, da Macomer e Nuoro nel 1914. A Cagliari l’illuminazione pubblica venne finalmente inaugurata nel 1914, a ben sette anni dalla scadenza dell’appalto con la ditta inglese che provvedeva all’illuminazione a gas…Tempio Pausania venne illuminata elettricamente nel 1915 e Sassari solamente nel 1919.
Sebbene i giornali parlarono ampiamente della portata storica dei nuovi impianti di illuminazione (e su tutti va ricordato l’articolo apparso sull’Unione Sarda del 4 settembre 1913 nel quale si parla in toni entusiastici dei cambiamenti che la Città stava per subire), la descrizione che maggiormente descrive l’impatto sulla popolazione è quella fatta da Sebastiano Satta nel suo “Il Giorno del Giudizio”, sebbene l’evento riferito sia quello dell’illuminazione elettrica di Nuoro:
«E d’improvviso, come in un’aurora boreale, queste candele si accesero, e fu fatta la luce per tutte le strade, proprio da San Pietro a Séuna, un fiume di luce, tra le case che restavano immerse nel buio. Poi, gli occhi stanchi di guardare, la gente infreddolita rientrò piano piano nelle proprie case o nei propri tuguri. La luce rimase accesa inutilmente. Si era levata la tramontana, e le lampade sospese nel Corso coi loro piatti si misero a oscillare tristemente, luce e ombra, ombra e luce, rendendo angosciosa la notte. Questo coi fanali a petrolio non avveniva.
I quali restavano attaccati e morti nei muri, e ponevano un grosso problema, cui nessuno aveva pensato. Che farne? Erano costati circa venti lire l’uno, Don Priamo se lo ricordava ancora. L’illuminazione elettrica era un evento, come oggi si usa dire, irreversibile, cioè ai lampioni non si sarebbe tornati mai più. Allora avvenne un fatto che nessuna cronaca del mondo io credo abbia mai registrato. Nuoro, con la sua aureola di luce, era come una nave nelle tenebre dell’Oceano. I paesi vicini continuavano nella loro notte. Il più vicino di tutti era, proprio di là dalla valle, Oliena. […] Ora, dalla piazza di Oliena, Nuoro appare come una immensa fortezza, con l’abside della chiesa a picco sulla valle, il molino rosso, le case alte di San Pietro: solo un angolo, perché Nuoro, come mi pare di aver detto, si riversa tutta dall’altra parte. Ma quella sera di ottobre tutti gli olienesi si erano raccolti, uomini, donne, bambini, con gli occhi volti in su perché la fama si era sparsa: e a un tratto apparve quella magia luminosa nell’immenso vuoto, e fu anche a Oliena un urlo di gioia. Cosa c’entravano, se non forse per via del miracolo, che è miracolo per tutti, non si s bene. E invece c’entrarono, e come. Perché non si può stabilire con precisione da chi sia partita l’idea, ma il fatto è che i morti fanali di Nuoro presero la via di Oliena, furono venduti con la scala del lampionaio ai vicini poveri […] I nuoresi si fregarono le mani di nascosto, e alla sera andavano a Sant’Onofrio a vedere Oliena che si illuminava, un fanale dietro l’altro, che si potevano contare, e chissà se anche là i ragazzini non correvano appresso al lampionaio, a raccogliere i fiammiferi spenti.»
È pur vero che il racconto di Sebastiano Satta si riferisce all’illuminazione di Nuoro e al suo rapporto con Oliena, ma lo stesso stupore provato dai Nuoresi e dai loro vicini Olienesi, fu probabilmente lo stesso provato dai Cagliaritani all’accensione delle nuove lampade elettriche e dagli abitanti delle cittadine vicine (in diretta comunicazione visiva con il capoluogo) nel vedere da lontano la città illuminata.
L’arrivo dell’illuminazione elettrica ebbe due conseguenze sui lampioni a gas: in un primo caso vi fu l’adeguamento dei vecchi fanali a muro, la cui cannula, come detto in precedenza, venne utilizzata per il passaggio dei cavi elettrici e la lanterna con il becco a gas venne sostituita da un modello predisposto per l’illuminazione a lampada; nel secondo caso, riguardante i lampioni ad asta, vi fu una quasi completa sostituzione in tutta la Città, proprio come avvenne nella descrizione fatta dal Satta per l’illuminazione nuorese. In seguito, come vedremo, il potenziamento dell’illuminazione stradale comportò l’adozione di nuovi modelli a muro nelle strade in cui non erano presenti neppure i lampioni a gas, e la parziale sostituzione di quelli precedenti con modelli sempre nuovi.
Fino agli anni ’40 i modelli scelti per l’illuminazione cittadina erano di tipo classicheggiante, una buona parte dei quali venne distrutta insieme agli edifici e alle strade durante i bombardamenti alleati del ’43. Esempi notevoli di questi lampioni furono quelli a quattro braccia installati nella Piazza del Carmine, notevoli per l’altezza raggiunta (furono infatti i primi tra i lampioni più alti installati a Cagliari) ma anche per l’eleganza stilistica pur nella semplicità dell’aspetto. Un’eccezione alla classicità è rappresentatata dai lampioni con fusto in graniglia e globo in vetro installati nella Piazza Matteotti agli inizi degli anni ’40, dopo il rifacimento della piazza e l’eliminazione della recinzione (requisita per la raccolta del “Ferro per la Patria”). Nell’immediato dopoguerra, con la ricostruzione, vennero scelti lampioni moderni ma che ammiccavano ancora ad uno stile retrò per quanto riguarda le arterie del centro storico e i monumenti (in particolare per il Bastione di Saint-Remy), mentre nel resto della città andava diffondendosi uno stile più pratico e meno ornamentale. Dagli anni ’60, con ulteriori potenziamenti, vennero sostituiti i lampioni precedenti con modelli sobri e contemporanei, dei quali oggi sopravvivono ben pochi esemplari (dei quali si parlerà più avanti). Infatti, dalla fine degli anni ’80 – con i primi lavori per il recupero del centro storico – si pose maggior cura anche all’arredo urbano e le piazze e le strade vennero abbellite da lampioni di gusto classicheggiante con evidenti richiami allo stile della belle-époque, scelti (o riprodotti) sulla base della somiglianza con i modelli più antichi e realizzati per la maggior parte dalla ditta “Domenico Neri” di Longiano, uno dei primi stabilimenti a realizzare nuovi prodotti con un’attenta ricerca allo stile classico che ha portato anche alla fondazione del Museo Italiano della Ghisa, nel quale è possibile ammirare la più importante collezione di lampioni e di arredi urbani storici.
Fu dunque negli anni ’80 e ’90 che luoghi come la Piazza Amendola, la Piazza Carlo Alberto, la Terrazza Umberto I, Piazza Yenne, il Corso Vittorio Emanuele II e le strade storiche dello shopping vennero nuovamente illuminate con lampioni adeguati allo stile architettonico degli edifici che vi si affacciano. A partire dal 2005 il centro storico vide un nuovo e imponente lavoro di recupero e illuminazione, con il quale vennero quasi completamente eliminati i lampioni degli anni ’60 in favore di modelli classici ispirati ad un gusto liberty assai prossimo a quello degli stessi modelli adottati quasi un secolo prima in gran parte delle arterie urbane cittadine. È il caso, in particolare, dei quartieri di Castello e Villanova, nei cui edifici vennero installati lampioni arricchiti da volute e dallo stemma cittadino ma con una maggiore potenza di illuminazione che ha reso ancora più sicure le vie dei due quartieri, mentre Stampace e Marina – nei quali erano in buona parte già presenti lampioni classicheggianti scelti nel decennio precedente – videro completato il loro sistema di illuminazione con modelli più sobri ma sempre attenti ad uno stile d’epoca che ben si armonizza con gli edifici antichi.
Nell’ultimo decennio, i lavori di rifacimento di alcune strade e piazze hanno comportato la scelta di ulteriori nuovi lampioni pressoché identici a quelli già utilizzati dal 2005 e l’adozione di altri modelli più semplici il cui unico elemento classicheggiante è dato dal terminale a cappello ospitante lampade di ultima generazione. L’ultimo tassello nell’illuminazione pubblica è dato dalla sostituzione dell’ormai obsoleto lampione della rotonda di Piazza Costituzione, con un nuovo modello assai modesto.
Ma è possibile osservare ancora i resti degli storici lampioni di Cagliari? La risposta è positiva, poiché un po’ in tutto il centro storico, ma anche negli altri quartieri, è facile trovare tracce dell’antico sistema di illuminazione se non veri e propri esemplari perfettamente conservati che fanno ancora bella mostra delle loro fogge classiche, liberty, razionaliste e persino degli anni ’60. E sono proprio questi lampioni i protagonisti della seconda parte dell’articolo, nella quale verrà proposto un itinerario dei lampioni storici organizzato in base al periodo in cui i manufatti vennero realizzati e installati.
I più antichi tra i lampioni presenti a Cagliari e documentati fotograficamente, sono i modelli a braccio risalenti alla seconda metà dell’800 e inizialmente utilizzati per l’illuminazione a gas, poi adattati all’elettricità con l’adozione della nuova fonte energetica. Si tratta di robuste mensole in ghisa riccamente ornate alla base da motivi vegetali ispirati ad un gusto ancora a metà strada tra il tardo neoclassicismo e lo stile liberty. La mensola ad angolo retto era robusta poiché svolgeva tre funzioni: la principale era quella di sostenere la lanterna in vetro e ghisa, di per sé già notevole nelle dimensioni e piuttosto pesante; la seconda era quella di nascondere la cannula attraverso la quale passava il gas che alimentava la lanterna (e dentro la quale vennero poi fatti passare i cavi elettrici al momento della riconversione) e la terza era una funzione di appoggio per la scala del lampionaio. Questi lampioni sono documentati in alcune celebri foto antiche, come ad esempio quella che ritrae la Piazza Costituzione quando ancora esisteva “S’Arrengherara”, ovvero la successione a semicerchio di piccole botteghe alla base dei bastioni spagnoli sui quali poi venne eretto il Bastione di Saint-Remy.
Le foto sono dunque anteriori al 1895, anno della demolizione e della preparazione al cantiere per la costruzione del Bastione. Lo stesso modello di lampione è altresì ben visibile in una foto di fine ‘800 al lato dell’ingresso dell’ex Palazzo di Città e, sempre nella stessa collocazione, nella celebre foto che immortala l’arrivo del corteo degli scioperanti del 1906 nell’ex Municipio. Sempre lo stesso tipo di lampione si trova in altre vedute cittadine, come ad esempio in un’antica foto dei primi anni del ‘900 rappresentante uno scorcio di Piazza Yenne, e ancora in una veduta del Viale Buoncammino al lato dell’ingresso alla Caserma Carlo Alberto e in un’antica veduta dell’Ex Mattatoio quando ancora nella via San Lucifero si trovava il Giardino di San Lucifero dove ora sorge il Parco delle Rimembranze.
Di questi lampioni sono rimasti solo pochi esemplari, otto in tutto, ma in ottimo stato di conservazione. Sei di essi si trovano all’interno dell’Exmà, quattro agli angoli del fabbricato centrale e due negli angoli delle torrette superstiti. Sono stati recentemente restaurati e la ghisa ha assunto un aspetto quasi nuovo di fabbrica ma, ad un’occhiata più attenta, è possibile osservarne i segni del tempo sia sui decori che sulla parte più robusta delle mensole. Oggi non hanno più la lanterna in vetro e ghisa rivolta verso l’alto ma un cappello a sospensione rivolto in basso nel quale si trova l’alloggio per le lampade.
Oltre ai sei lampioni custoditi nell’Exmà è possibile osservarne altri due esemplari nella centralissima Via Baylle, all’altezza dell’incrocio con la Via Mercato Vecchio. I due lampioni di Via Baylle non sono stati sabbiati e ripuliti dalla ruggine come quelli dell’Exmà, pertanto è possibile apprezzarne l’aspetto antico. Anch’essi sono stati adeguati all’illuminazione elettrica e, al posto della lanterna in vetro, presentano la sospensione in metallo rivolta in basso. Tra i due lampioni più antichi si può osservare un terzo lampione risalente agli anni ’10-’20, uno dei primi esemplari cittadini di lampione elettrico. Si tratta di una mensola tubolare più sottile e leggera di quelle dei lampioni in ghisa (perché non doveva sorreggere il peso della scala del lampionaio) sotto la quale si trova un’aggraziata decorazione vegetale di chiara matrice liberty. Non è possibile identificare il luogo originario nel quale doveva trovarsi il lampione, e d’altronde si tratta dell’unico – e dunque preziosissimo a livello storico – esemplare di quel modello in tutta la Città. Un settimo lampione in ghisa era collocato fino a pochi anni orsono nella Via San Giacomo, poco prima della confluenza nella via San Giovanni, ma è stato sostituito pochi anni fa da un modello recente di stile classicheggiante quando l’impianto illuminotecnico dell’intero quartiere Villanova venne rifatto e potenziato.
L’adozione dell’energia elettrica per l’illuminazione comportò la sostituzione dei vecchi lampioni stradali a gas con modelli più leggeri, più alti e più sofisticati nelle forme. Fu così che i lampioni a gas del Bastione di Saint-Remy vennero sostituiti da eleganti e slanciati lampioni elettrici ispirati allo stile liberty, arricchiti da volute dalle quali pendevano le sospensioni in vetro con le lampade e da altre volute che sostenevano le basi delle stesse sospensioni. Al centro delle volute erano presenti dei motivi floreali assai decorativi. Nelle foto scattate immediatamente dopo il passaggio all’illuminazione elettrica, i lampioni del Bastione si presentavano ancora con le volute a sostegno della base della sospensione (che aveva una forma cilindrica), mentre già un decennio dopo le sospensioni appaiono sostituite da elementi più piccoli con un cappello rivolto verso il basso sotto il quale un mezzo globo di vetro proteggeva la lampada e senza le caratteristiche volute della base. Ciò che rimase invariato fu il colore scelto dato all’intero lampione: il rosso. Analoghi ai lampioni del Bastione furono quelli installati nelle sue immediate vicinanze, in particolare al termine dei due muretti di Via De Candia, e i lampioni a muro posti al lato interno e in quello esterno della Porta dei Leoni e lungo la via Spano.
Molti dei lampioni del Bastione scomparvero con i bombardamenti del 1943: una foto scattata dal Bastione di Santa Caterina mostra lo squarcio aperto sulla Terrazza Umberto I al di sopra della Passeggiata Coperta con i lampioni ivi sprofondati.
Oggi di questi elementi rimane ben poco, ma i dettagli superstiti sono davvero interessanti. Recentemente, dagli scavi intrapresi nel Bastione di Santa Caterina, è emersa una delle basi dei lampioni del Bastione, ancor oggi visibile all’interno del cantiere e fortemente corrosa dalla ruggine. Nella Via De Candia, fino al 2005 erano ancora presenti le basi dei lampioni installati sui due muretti che delimitano la discesa, e dei quali oggi rimane ancora la traccia circolare nei punti di installazione. Anche i lampioni a muro vennero smontati nel 2005 con l’adozione dei nuovi modelli (di uno stile classicheggiante che richiamava i predecessori) ma gli elementi per l’ancoraggio al muro non vennero asportati, solamente sabbiati e privati della verniciatura rossa per poi venire rivestiti di una patina protettiva di colore scuro e sono tuttora visibili nei pressi della Porta dei Leoni e all’angolo tra la Via Mazzini e la Via Spano. Due basi dei lampioni del Bastione vennero inoltre reimpiegate in modo assai originale nel Piazzale Bonaria: oggi costituiscono i due paracarri che chiudono l’accesso al piazzale dal lato del Santuario e spiccano per il loro lucidissimo rivestimento in smalto nero. Un uso intelligente di elementi di storia cittadina che altrimenti sarebbero finiti in una fonderia…
Nelle altre strade e piazze vennero installati modelli di lampioni elettrici più sobri ed economici rispetto a quelli scelti per il Bastione. Nella Piazza Palazzo, e precisamente nel sagrato della Cattedrale, in sostituzione dei due fanali a gas collocati ai lati dell’ingresso dell’Ex Palazzo di Città si provvide all’installazione di due lampioni astili sormontati da globi in vetro, uno per ogni lato delle scalette che collegano il sagrato con la Via Canelles. Oggi di quei lampioni rimangono solamente i fori nei conci di calcare dei muretti e parte dei tubi metallici all’interno dei quali passavano i cavi elettrici. In Via Roma vennero invece montati dei lampioni molto alti e al tempo stesso piuttosto semplici, le cui uniche decorazioni erano costituite da riccioli di ferro battuto collocati sull’elemento terminale che sosteneva una semplice sospensione a cappello con il mezzo globo in vetro. A due terzi della loro altezza, i lampioni di Via Roma svolgevano anche la funzione di supporto per i cavi della sospensione aerea del Tram. Analoghi a quelli della via Roma – ma più ricchi a livello decorativo – furono i lampioni installati nelle nuove strade del quartiere di Tuvixeddu, ben documentati in numerose foto d’epoca. Si tratta degli stessi identici modelli, oggi sostituiti da elementi più semplici e funzionali identici a quelli anonimi presenti un po’ in tutti i quartieri moderni. Ma a Tuvixeddu è avvenuto qualcosa di magnifico: due degli antichi lampioni si sono salvati! Non sono più installati in strada ma sono stati recuperati e reimpiegati per l’illuminazione interna del giardino di un condominio, salvandoli così dalla distruzione o fusione in fonderia. Oggi fanno ancora bella mostra di sé, uno dipinto in bianco e uno ricoperto della patina di ruggine che il tempo gli ha concesso donandogli il fascino del suggestivo. È bene comunque specificare che la presenza di questi due lampioni in un contesto privato ne ha consentito il salvataggio da parte di qualche persona lungimirante e con un gusto antiquario: ciò per evitare che si possa dire – come spesso accade – che tutte le cose belle sparite dalla città sono finite nel giardino della villa di qualche politico. Non è questo il caso.
Più antichi rispetto ai lampioni per l’illuminazione pubblica elettrica, e risalenti agli inizi del ‘900, risultano essere gli imponenti lampioni ancor oggi visibili al termine del Viale Calamosca e un tempo destinati all’illuminazione degli esterni della dismessa caserma Ederle: si tratta di due splendidi lampioni astili con il fusto lavorato a torciglione sorreggente tre globi in vetro di fattura però assai recente. La base dei fusti è decorata con eleganti motivi floreali, piuttosto leggiadri in confronto alla severa struttura militare che fa loro da sfondo, mentre la parte terminale ha forma svasata decorata con motivi a foglie d’acanto. Ai due lampioni astili sono abbinati gli splendidi lampioni a muro riccamente ornati da volute e foglie e dai quali originariamente pendevano le sospensioni in vetro attualmente scomparse. Entrambe le tipologie di lampione, un tempo colorate in rosso, sono oggi rivestite da una patina di ruggine che non toglie loro nulla del fascino originario.
Prima di parlare di altri due notevoli lampioni collocati in un contesto militare è necessaria una premessa spostandoci (purtroppo solo con l’immaginazione) nel Largo Carlo Felice, all’interno dell’Ex Mercato Civico Inferiore, demolito negli anni ’50 per far posto all’attuale sede della Banca Nazionale del Lavoro. All’interno del porticato dorico del Mercato Inferiore, già dalla fine dell’800 l’illuminazione elettrica era garantita da una lunga fila di eleganti lampioni in ferro battuto di foggia squisitamente liberty, lavorati in forma di grifi – emergenti tra le volute e le decorazioni vegetali – ad ali spiegate e dalle fauci spalancate dalle quali fuoriesce una lunga ed elaborata voluta decorata con motivi vegetali che sorregge il globo in vetro a protezione della lampada. Di questi splendidi lampioni non rimangono solamente le documentazioni fotografiche nelle foto d’epoca, ma – come annunciato poco fa – basta spostarsi in un contesto militare nel centro cittadino: infatti all’esterno dell’edificio del Comando Militare di via Torino sono presenti due lampioni del tutto identici a quelli un tempo collocati nel Mercato Inferiore. Non si tratta di lampioni provenienti dal mercato perché fotografie d’epoca mostrano come gli esemplari del Comando Militare fossero già in sede nello stesso periodo in cui i loro gemelli si trovavano all’interno del Mercato. I due lampioni del Comando Militare sono in uno stato di conservazione impeccabile, e ben risaltano con le loro forme scure sul fondo chiaro della facciata dell’edificio.
Con la messa in opera degli impianti di illuminazione elettrica pubblica, la figura dei “lantioneris” scomparve, ma la nuova tecnologia impose nuove esigenze: se da un lato non era più necessaria la presenza di un operaio addetto ad accendere i lampioni ogni sera, dall’altro era comunque fondamentale sostituire le lampade bruciate o fulminate. Ciò era facile da eseguire nel caso di lampioni a muro o astili, ma con l’illuminazione elettrica si diffuse anche il modello a sospensione aerea (ovvero i cappelli con globo sospesi su cavi al centro delle strade), e questo rese necessario un accorgimento per consentire il cambio delle lampadine.
Nelle strade in cui transitavano i tram le sospensioni aeree dovevano difatti trovarsi ad un’altezza superiore rispetto a quella dei normali lampioni ed era piuttosto difficile raggiungerli con una scala. Per sostituire le lampade e provvedere alla manutenzione degli impianti era dunque necessario che il lampione sospeso venisse calato a terra. Ciò era possibile tramite appositi verricelli (collocati tra il pianterreno e il primo piano sulle facciate degli edifici sullo stesso lato di una strada) a loro volta collegati a delle pulegge poste ad un’altezza superiore corrispondente a quella dei cavi e appese a dei ganci da cui partivano i cavi al centro dei quali era collocata un’altra puleggia sostenente il lampione sospeso. Gli operai addetti portavano con sé la manovella, non montata dunque sul verricello per evitare che chiunque abbassasse per divertimento le lampade, e provvedevano ad abbassare i lampioni per le normali operazioni. Sul lato opposto della strada, in corrispondenza delle pulegge erano invece collocati dei ganci che sostenevano i tiranti dei cavi che partivano dal gancio su cui erano ospitate anche le pulegge. Alcune foto d’epoca ne documentano la presenza e le funzioni. Di questo apparato tecnico oggi sopravvive ben poco, ma gli elementi ancora esistenti sono esemplari di grande interesse non solo funzionale ma anche estetico. In tutto il centro sono stati preservati solo due verricelli: il primo si trova alla sinistra dell’ingresso principale di Palazzo Valdes, nel Viale Regina Elena ed è un elemento assai semplice e di dimensioni relativamente contenute che ben si accompagna ai coevi rosoni del tram sulle pareti del monumentale palazzo; l’altro esemplare, di dimensioni leggermente maggiori, si trova nel Corso Vittorio Emanuele all’esterno di una palazzina gialla su cui il verricello si staglia con la sua tonalità scura derivante anche da un accurato recupero conservativo.
Più numerosi, sebbene sempre rari, sono i ganci che si trovavano sui lati opposti delle strade. Ne sopravvivono pochi esemplari, quasi tutti simili tra loro e caratterizzati da una borchia lavorata con eleganti motivi a foglie d’acanto dal centro della quale si estende il gancio vero e proprio. Se ne può osservare un esemplare in Via Sonnino nella Palazzina per i Dipendenti Comunali eretta nel 1925, all’altezza delle finestre del primo piano; un altro è sito in Via San Benedetto nella “Piccola Casa San Benedetto” sempre tra le aperture del primo piano, mentre un terzo gancio – con ancora attaccato il tirante – si trova in una palazzina di Viale Regina Margherita, di fronte all’omonimo albergo. Altri tre anelli aventi la stessa funzione dei ganci e caratterizzati da una borchia di fattura più semplice decorata con quattro piccole volute possono essere osservati in Viale Regina Margherita, in Piazza Costituzione e in Piazza Martiri. Ganci più semplici, privi della borchia, si possono inoltre osservare un po’ in tutte le strade nelle quali transitava il tram ed era dunque necessario mantenere l’illuminazione sospesa ad un’altezza superiore.
Più recenti, poiché risalgono alla fine degli anni ’20 (come documentano alcune foto dell’epoca, sono i lampioni che tuttora si possono osservare nel Largo Carlo Felice. Si tratta di lampioni dalle forme severe, caratterizzati da una robusta mensola sostenuta da un motivo formato da nove riquadri disposti a scaletta, quattro dei quali costituiscono lo spazio in cui è inserito lo stemma della città di Cagliari all’interno di una cornice circolare. Al di sopra della mensola sono presenti cinque pinnacoli, mentre la base della mensola e le parti terminali sono ingentilite da semplici volute. Negli angoli dei nove riquadri, la saldatura dei vari elementi è nascosta da piastrine quadrate sulle quali sono incastonati i rivetti di forma semisferica. Il terminale inferiore è caratterizzato da una forma cubica terminante con un elemento piramidale rivolto verso il basso e con una borchia a losanga su ogni faccia del cubo (dettaglio da non trascurare, vedremo poi perché…). La mensola appare piuttosto sporgente e termina con una voluta che sostiene un anello sorreggente la sospensione con il globo di forma allungata, in vetro bianco. Le sospensioni non sono quelle originali degli anni ’20 ma si rifanno ai modelli dell’epoca visibili nelle foto storiche.
Da questi lampioni, negli anni ’90, vennero ricavati i calchi per realizzare altri lampioni destinati ad illuminare il percorso di collegamento tra la Piazza Garibaldi e la Piazza del Carmine, e dunque le copie si possono osservare nella via Garibaldi, nelle Piazze Costituzione e Martiri, in via Mazzini, in via Manno e nella via Crispi con alcuni elementi anche nella parte bassa di via Sassari. Le copie sono quasi del tutto identiche agli originali, ma è possibile distinguerle da alcuni piccoli particolari esecutivi: anzitutto nelle copie le volute sono stilizzate in semplici riccioli con una borchietta ai lati della parte terminale, mentre in quelli originali la voluta è formata da un leggero dilatarsi dell’elemento arricciato. Inoltre, come detto in precedenza, nei lampioni originali il terminale presenta, nella parte bassa, quattro borchie a losanga che invece sono assenti nelle copie. Un altro dettaglio che svela se il lampione è originale o meno è dato dalle placche di ancoraggio al muro: quelle d’epoca presentano una lavorazione più accurata e una lieve modanatura, mentre nelle copie l’ancoraggio è dato da semplici placche circolari. Un ultimo dettaglio che distingue le copie dagli autentici è dato dal fatto che le copie presentano un piccolo foro nella parte più prossima al muro per consentire il passaggio dei cavi elettrici al loro interno, mentre negli originali il cavo è, purtroppo, esterno e ciò rovina in parte il godimento visivo di questi lampioni quasi secolari. In definitiva comunque si può dire che i lampioni originali sono esclusivamente quelli del Largo Carlo Felice (ad eccezione dei due più prossimi all’incrocio con la via Manno, anch’essi copie degli anni ’90).
Sempre nel Largo Carlo Felice è possibile osservare anche un piccolo lampioncino non facente parte della rete di illuminazione pubblica bensì ad uso privato presente dal secondo dopoguerra nelle murature del Caffè Svizzero. È l’unico lampioncino presente nel resto del pianterreno del Palazzo Accardo, che ospita il lampioncino e il Caffè, non sono visibili resti di forature dovute ad altri lampioni asportati. Si tratta di un sobrio lampione formato da un supporto tubolare che sostiene un globo di vetro. Non è probabilmente un elemento di pregio, né un lampione antico, ma la sua originalità deriva dall’essere un unicum nel contesto del Largo Carlo Felice ed è comunque interessante da osservare, sebbene ormai non più in funzione da qualche decennio…
Facendo un salto indietro agli anni ’30, la Via Baylle ci offre una nuova sorpresa dopo i tre lampioni di cui si è parlato in precedenza: poco prima della Chiesa di Sant’Agostino, tra i balconi ottocenteschi che ne nascondono in parte la presenza, è possibile osservare un lampione installato durante un ampliamento e potenziamento dell’illuminazione pubblica.
Non è stato possibile trovare foto d’epoca della Via Baylle dove il lampione fosse ben visibile, ma lo stesso modello è osservabile in una foto degli anni ’30 che immortala il tratto terminale della Via Azuni e la Chiesa di San Michele. È un lampione a muro formato da una semplice mensola tubolare rinforzata da un elemento ad arco anch’esso in tubolare metallico, nel cui angolo di raccordo è inserita una placca con lo stemma cittadino. Il lampione superstite della Via Baylle, unico esemplare rimasto, è posto tra il pianterreno e il primo piano dell’edificio che lo ospita, dunque ad un’altezza che permette di osservarne con attenzione i particolari, non trascurabili sebbene la foggia del lampione possa apparire particolarmente sobria. Oltre alla placca con lo stemma cittadino, arricchiscono il lampione una serie di pomoli al termine di ogni elemento di raccordo e due grandi pomelli lavorati in forme ancora vagamente richiamanti lo stile liberty posti nella parte sommitale e in quella terminale del sostegno verticale. L’elemento illuminante è formato dal semplice cappello rivolto verso il basso privo però del globo in vetro (che non compare nemmeno nella foto dell’esemplare di Via Azuni, quindi è presumibile che il lampione fosse realizzato proprio così, senza globo). Attualmente il lampione di Via Baylle mostra ancora tracce di un rivestimento argentato, sebbene sia ipotizzabile che risalga ad un periodo più recente rispetto al lampione stesso.
Un discorso a parte è quello relativo alle illuminazioni a sospensione, delle quali rimangono ben pochi esemplari d’epoca. Non furono molte infatti le installazioni di questo genere, anche perché adatte a illuminare portici e porticati, e dunque i soli luoghi in cui potevano essere installati furono la Passeggiata Coperta e i portici della Via Roma. Attualmente la Passeggiata Coperta è illuminata da lampioni su aste a tre braccia, mentre nella via Roma è rimasto qualche modello d’epoca abbinato a modelli più recenti anche in seguito alle ricostruzioni postbelliche.
I modelli più antichi della Via Roma oggi sono costituiti dai lampadari dei portici de “La Rinascente”, risalenti alla costruzione dell’edificio negli anni ’20, ed elegantissimi nel loro stile tendente al Decò. Si tratta di lampadari di forma prismatica su base esagonale, con sei lati in vetri bianchi protetti da una grata a losanga. Al termine di ogni lampadario si trova un timpano spezzato con una sfera al centro. Altre sei sfere sono montate nella base. La sospensione al soffitto è assicurata da lunghe pertiche che si raccordano al lampadario tramite elementi geometrici ed altri decorati con motivi vegetali; al centro di ogni pertica è inoltre presente un elemento dalla forma “a cipolla” lavorato a traforo.
Rimandano allo stile liberty, pur essendo stati installati con i restauri del dopoguerra, i lampadari del Palazzo Civico, costituiti da una tronco-conica struttura di sostegno in bronzo sulla quale sono montati vetri curvi e bianchi. La sommità della lanterna forma una corona mentre una semplice catena assicura il lampadario al soffitto del portico, dove un coprifilo sempre in forma di corona piuttosto semplice ne costituisce la parte terminale.
Sobri ed eleganti sono i lampadari in bronzo montati nel resto della palazzata di via Roma, caratterizzati da una forma a prisma esagonale con vetri bianchi, un semplice coronamento in forma di merletto di bronzo e un terminale inferiore con una caratteristica pigna. I lampioni del Palazzo Ravenna e del Palazzo INA sono invece opere più recenti, sempre di matrice classica, risalenti agli anni ’90.
Prima di parlare dei lampioni installati nel centro cittadino nel secondo dopoguerra, meritano una menzione quelli facenti parte del complesso dell’ex Clinica Aresu installati negli anni ’40 quando vennero cominciati i lavori di scavo del tunnel che avrebbe collegato Stampace e Villanova e i lavori per l’abbellimento di tutta l’area del fosso di San Guglielmo mediante murature in conci di calcare di Bonaria. I lampioni presenti nel fosso di San Guglielmo si trovano nella gradinata realizzata, anch’essa, negli anni ’40 e sono caratterizzati da forme semplici e sobrie che pure rimandano a modelli più antichi. Si tratta di lanterne prismatiche a base esagonale con vetri bianchi e opachi su ogni lato e un semplice cappello di protezione. Anche in questo caso non si tratta di elementi particolarmente antichi o rilevanti dal punto di vista artistico ma sono comunque testimonianze di un determinato periodo e di un momento nel quale si volle trasformare il Fosso di San Guglielmo in uno spazio funzionale per il traffico cittadino e in parte destinato a Giardino quindi meritevole di una fontana (tuttora presente) e di un’illuminazione stilisticamente coerente con l’architettura delle murature e destinata a rendere sicuro il fosso anche dopo il tramonto.
Allo stesso periodo risale un piccolo lampioncino a muro ancor oggi presente in una delle strutture interne all’Orto Botanico, caratterizzato da uno stile sobrio e linee rigorose e da una bicromia data dall’uso del ferro per la struttura della lanterna e di elementi originariamente zincati per il sostegno e la copertura.
I bombardamenti del 1943 non distrussero solo case, chiese e monumenti, ma danneggiarono anche una parte considerevole degli impianti pubblici tra cui quello dell’illuminazione. In questo periodo infatti scomparve la gran parte dei lampioni installati nei decenni precedenti e nel dopoguerra si dovette provvedere a fornire alla Città un nuovo impianto di illuminazione, più potente del precedente ma in certi casi non altrettanto affascinante, sebbene vi fossero alcune eccezioni date da lampioni di stile ricercato che, nonostante l’esser recenti, si armonizzavano in modo piacevole con piazze e monumenti.
Tra i modelli più eleganti selezionati in questo periodo per illuminare nuovamente la Città, sono da annoverare quelli scelti per le Piazze del nuovo Quartiere di San Benedetto, ovvero proprio la Piazza San Benedetto e la Piazza Galilei: detti lampioni si rifacevano allo stile classico pur con marcate caratteristiche contemporanee. Erano formati da aste a tre braccia sorreggenti globi in vetro sormontati da piccole corone in metallo negli esemplari più piccoli, mentre quelli più grandi, collocati al centro delle piazze, erano sempre a tre braccia ma con lanterne appese e sorrette anche dal basso per mezzo di sostegni di foggia semplice. Il modello più piccolo, con i globi sormontati da corone, venne adottato anche per la nuova illuminazione del Bastione di Saint-Remy. Anche in questo caso, come avvenuto per le Ciminiere, è il Cinema a fornirci un’immagine storica: sempre nel film “La Calda Vita”, in una delle scene che si svolgono al Bastione di Saint-Remy è possibile osservare con attenzione i nuovi modelli di lampioni in acciaio ma dalla forma classicheggiante.
Nell’immediato dopoguerra fu necessario illuminare nuovamente le strade del centro storico, rimaste prive di illuminazione a seguito dei bombardamenti. Inizialmente vennero scelti lampioni dalle forme semplici formati da una semplice struttura in tubolare metallico sorreggente un cappello rivolto in basso e privo di globo di copertura, dunque con lampada a vista. L’interno del cappello di protezione era inoltre smaltato in bianco per consentire una maggiore riflessione della luce. Si trattava di elementi semplici ed economici, sicuramente scelti in via provvisoria e destinati infatti a sparire in meno di un ventennio. Di questi lampioni oggi se ne possono osservare pochi esemplari nella Via Cammino Nuovo, al di sopra dei pilastri della recinzione della Società Sant’Anna, sui quali si trovano fin dal dopoguerra. Abbinati ad essi, si possono osservare alcune lanterne dello stesso stile poste su alcuni dei pilastri e oggi purtroppo in gran parte rovinate o danneggiate e prive dei vetri di protezione.
Negli anni ’60 si procedette dunque ad illuminare in modo più intenso l’intero centro storico. I lampioni scelti a questo scopo erano caratterizzati da uno stile che ne denunciava in modo palese la contemporaneità e vennero scelti proprio come elementi di rottura con lo stile classicheggiante pur presentando forme poco impattanti visivamente e costituendo un contrasto piuttosto armonico con gli edifici antichi sui quali vennero montati. Si tratta di lampioni a muro la cui mensola di sostegno è formata da un unico elemento in ferro a sezione quadrata, piegato a formare il braccio di sospensione e dipinto originariamente in nero, sul quale era sospeso l’elementi illuminante costituito da un cappello troncoconico ospitante l’impianto e il porta-lampada e da un globo inferiore in vetro diventato giallo col tempo.
Questo modello venne installato in ogni strada e in ogni quartiere, per venire poi sostituito nei primi anni ‘2000 dagli attuali lampioni di forma classica a volute con stemma cittadino. All’epoca non mancarono le polemiche perché i nuovi lampioni erano di dimensioni maggiori e più impattanti visivamente rispetto ai precedenti, ma d’altro canto trattandosi di modelli classicheggianti compensavano con una maggiore armonia nello stagliarsi sugli edifici. In realtà le necessità che portarono alla sostituzione dei lampioni degli anni ’60 non erano strettamente estetiche bensì tecniche e di pubblica sicurezza: infatti l’illuminazione era insufficiente – tanto che i lampioni classicheggianti sono il doppio rispetto ai loro predecessori – e inoltre i lampioni erano montati all’altezza dei primi piani dei palazzi, mentre quelli attuali si trovano ad una quota più bassa garantendo una maggiore illuminazione sulla strada. Per contro, si è perso quel contrasto tra antico e moderno che poteva oggi costituire un aspetto interessante e documentare un preciso momento della storia illuminotecnica della nostra città. Non tutti gli esemplari sono però andati perduti: oggi sono ancora visibili quattro lampioni degli anni ’60 nell’ex Caserma San Carlo, alla quale si accede dalla Via Santa Croce, sebbene uno solo di loro conservi ancora la calotta in vetro, mentre altri due esemplari si trovano nelle scalette Santa Margherita, uno dei quali ancora intatto.
Sempre negli anni ’60 si provvide al rifacimento del Viale Buoncammino e, in contemporanea, all’illuminazione delle nuove strade e dei nuovi quartieri. Se nelle strade più ampie vennero usati dei lampioni molto alti e sporgenti, assai funzionali al punto di essere giunti ancora ai nostri giorni, nel Viale Buoncammino e nel Viale Diaz vennero adottati lampioni di dimensioni più modeste e che, pur nella loro palese modernità, ancora si rifacevano al lampione classico con terminale a cappello. Una buona parte di essi è ancora presente nei due viali anche se in tempi recenti, con il rifacimento della prima parte del viale Buoncammino, alcuni esemplari siano stati sostituiti da nuovi lampioni più avanzati tecnologicamente ma ancora più legati ad uno stile classicheggiante. I lampioni sopravvissuti presentano ancora il loro fusto in tubo metallico verniciato di bianco, sorretto da una base cilindrica realizzata in cemento. La parte terminale è costituita dalla lanterna in vetro piuttosto spesso e con una lavorazione reticolare che consentiva una maggiore diffusione della luce pur con una maggiore robustezza e resistenza. Conclude il lampione il cappello sommitale sporgente rispetto alla lanterna – come in uso nei lampioni d’epoca – e di foggia semplice, privo di qualunque elemento decorativo. Col tempo molti di questi terminali sono stati danneggiati o si sono guastati e sono stati sostituiti da elementi nuovi che mal si adeguano ai sostegni e formano un contrasto stridente con gli altri esemplari.
Dagli anni ’80 e ’90 i nuovi impianti di illuminazione installati col rifacimento di alcune strade e piazze (si pensi ad esempio alle piazze Yenne, Amendola e del Carmine e al Corso Vittorio Emanuele II o al Bastione di Saint-Remy e alla Piazza Carlo Alberto) la sempre più attenta ricerca di elementi che si integrassero nel contesto urbano d’epoca ha portato alla scelta di lampioni sempre più ispirati alle linee liberty. I modelli selezionati sono quasi tutti riconducibili alla ditta Neri di Longiano, e sono in buona parte realizzati proprio sulla base di modelli d’epoca conservati anche nel Museo Italiano della Ghisa. Tra tutti, spiccano i lampioni della Piazza Yenne, dalle forme ispirate ai modelli di fine ‘800 e quelli della Piazza Amendola con i globi sospesi ad elementi decorati con volute e motivi vegetali assai simili a quelli presenti nella Terrazza Umberto I fino ai bombardamenti del 1943.
La scelta di lampioni di tipo classicheggiante ha caratterizzato anche gli anni ‘2000, sebbene nell’ultimo decennio la scelta sia ricaduta su elementi che delle linee classiche presentano solo il terminale a cappello mentre il resto della struttura è di foggia semplice, realizzata in tubi privi di elementi decorativi o al massimo arricchiti da un pomello nella parte inferiore dell’elemento di raccordo. Esempio di questo tipo di scelta è l’ultimo lampione posizionato in città, ovvero quello scelto per la Piazza Costituzione in sostituzione del precedente lampione bianco degli anni ’60 ormai inadeguato e troppo ampio e impattante nei confronti della monumentale struttura del Bastione sulla quale si stagliava.
Qui si conclude il percorso illuminato dai lampioni di Cagliari, spero che la lettura dell’articolo e la visione delle immagini siano state di vostro gradimento.
Di seguito potrete vedere un video con tutte le immagini dei lampioni storici, ma anche recenti, ancora presenti nel centro di Cagliari. Buona visione e buon fine settimana.