Eccomi di ritorno dopo un lungo periodo di assenza dal blog dovuta a motivi di lavoro e studio ma non solo: per potervi offrire quelli che saranno due successivi articoli su elementi molto interessanti presenti nel centro di Cagliari sono ancora in attesa di alcune autorizzazioni senza le quali sarei stato costretto a pubblicare gli articoli con alcune immagini mancanti. Le migliori….
L’articolo di oggi invece tratta un argomento che non costituirebbe in sé una rarità, in quanto ne è protagonista un determinato genere di scultura funebre presente in tutta Europa e in particolare nel contesto anglosassone oltre a quello cattolico. Si tratta delle sculture dei Vescovi Dormienti. Cagliari però, come vedremo, costituisce una piccola ma significativa eccezione in questo ambito scultoreo in particolare grazie a due tombe all’interno della Cattedrale e a tre sculture raffiguranti uno dei più illustri Vescovi della storia cristiana.
Come detto, le sculture di vescovi dormienti o, spesso, recumbenti (vale a dire non del tutto distesi sui loro sepolcri marmorei ma sollevati, quasi fossero ancora in vita, un po’ come nelle sculture dell’antica Roma raffiguranti illustri personaggi distesi sui loro triclini durante i banchetti) sono diffuse in tutta Europa e sarebbe troppo lungo farne un elenco esaustivo. Le origini di tali sculture hanno in effetti un rapporto molto stretto con i sepolcri sia etruschi che romani, ma con la notevole differenza che questi ultimi celebravano la vita del defunto raffigurandone un momento preciso, mentre le sculture funebri dei vescovi ne rappresentano distintamente la morte ormai giunta.
Esempi notevoli si riscontrano nelle Cattedrali inglesi ed è dovuto al fatto che i vescovi costituiscono il vertice della struttura a capo della chiesa anglicana, si tratta quindi di personalità alle quali veniva, e viene, riconosciuta un’importanza superiore rispetto ai vescovi cattolici (gerarchicamente sottostanti agli Arcivescovi, ai Cardinali e al Papa), ma la diffusione di queste particolari sepolture vede una tradizione ancora più antica in Inghilterra. Ne è un notevole esempio la Cattedrale di Wells, per la presenza di numerose sculture di vescovi dormienti alcune delle quali risalenti alla fine del duecento – è il caso del Vescovo Burwaldus – o altri pregevoli esempi trecenteschi (tra tutti John Godelee, Ralph di Shrewsbury e John Harewell) su cui spicca la bellissima tomba in pietra policromata dell’arcivescovo Thomas Beckynton.
L’Italia, da sempre devota al culto cattolico – e dunque avente i vescovi tra le personalità più importanti non solo nella religione ma anche nella politica e nel governo dei tanti territori in cui il nostro stato fu da sempre suddiviso – annovera insigni monumenti spesso realizzati da importanti artisti dell’epoca. Tra i tanti esempi, spiccano su tutti il Monumento a Tommaso della Testa Piccolomini nel Duomo di Siena (opera eccelsa di Neroccio di Bartolomeo de’ Landi) o ancora quello di Giovanni Geraldini nel Duomo di Amelia (importante capolavoro medievale scolpito da Agostino di Duccio); ancora in ambito trecentesco è da citare il monumento al Vescovo Tommaso Andrei opera di Gano di Fazio nella splendida cornice della collegiata di Casole d’Elsa e la bellissima scultura recumbente del Vescovo di Rethimnon Bartolomeo Averoldi, nella suggestiva Basilica di Santa Maria della Ghiara a Reggio Emilia, un’opera già votata alle linee pure del primo Rinascimento.
Il discorso diventa ancora più ampio quando si prendono in esame le Cattedrali della cattolicissima Spagna, da cui questa tradizione giunse anche nel territorio Sardo durante la lunga dominazione iberica. Basterà citare come splendido esempio le Cappelle di San Ildefonso e di San Blas nella maestosa cornice della Cattedrale di Toledo. La Cappella di San Ildefonso nacque proprio come cappella funebre del Cardinale Gil Carrillo de Albornoz la cui tomba, capolavoro di squisita fattura gotica, è ancor oggi visibile al centro della cappella; successivamente altre tombe di vescovi costituirono il ricco susseguirsi di stili – dal tardo-gotico al Rinascimentale al Plateresco – delle diverse tombe vescovili edificate nelle pareti della cappella; la Cappella di San Blas (San Biagio) ospita al suo centro le tombe dell’arcivescovo Pedro Tenorio e di suo nipote, Vicente Arias Balboa vescovo di Plasencia circondate da un ricco apparato decorativo tra i più pregevoli nel panorama della Spagna medievale.
Come detto poc’anzi, la tradizione delle sculture dei Vescovi Dormienti è legata a Cagliari a realizzazioni soprattutto seicentesche eseguite dunque nella piena dominazione Spagnola, sebbene sia lecito supporre tombe vescovili anche in epoche precedenti e delle quali non è rimasta traccia.
Attualmente la Cappella ufficiale dei Vescovi Cagliaritani è quella edificata al lato dell’Oratorio del Cimitero di Bonaria ma non viene più utilizzata in seguito alla soppressione delle sepolture nel Cimitero a partire dal 1958 quando venne dichiarato monumentale. Le sepolture presenti nella sottostante cripta e nella parete laterale destra sono costituite da sobrie lapidi riportanti i nomi degli Arcivescovi ivi sepolti ma, pur nell’anonimato della Cappella, fa splendida mostra di sé un pregevole monumento firmato da Giuseppe Sartorio e realizzato in sola veste simbolica non costituendo quindi la tomba effettiva di un Arcivescovo. Il monumento è formato da un basamento di marmo bardiglio sul quale è posato un sepolcro poggiante su zampe leonine parimenti di marmo grigio e dal quale pende un ricco drappo di marmo bianco che lascia però scoperti i simboli del potere temporale dei vescovi: la Mitra, la Croce vescovile a due ordini di bracci e il Pastorale deposti sul coperchio del sepolcro, mentre sul fronte del sepolcro è scolpito il Galero (copricapo) Vescovile a dieci nappe.
La Cappella dei Vescovi venne realizzata come nuovo luogo di sepoltura dei Vescovi Cagliaritani in sostituzione della Cripta presente al di sotto della navata centrale della Cattedrale: un ampio ambiente ipogeico confinante col Santuario dei Martiri ma non accessibile da esso; l’ingresso principale infatti era costituito da una botola, non più visibile, posta al di sotto della pavimentazione della navata.
Lasciata per un attimo la Cattedrale, e facendo ritorno al tema principale del post di oggi, ovvero le sculture dei Vescovi Dormienti, sarà bene procedere per tappe cronologiche basandoci sull’epoca in cui visse il Vescovo piuttosto che sul periodo in cui venne realizzato il suo monumento (come vedremo, infatti, non sempre le date coincidono) per fare ritorno in più occasioni alla Cattedrale, dove sono presenti due importanti sculture di Vescovi Dormienti che non hanno corrispondenze con nessun altro monumento simile e che costituiscono due delle quattro sculture che contraddistinguono Cagliari in questa tematica scultorea che abbraccia l’intera Europa.
Tra i Vescovi raffigurati in posizione dormiente, il Primo in ordine cronologico fu San Lucifero, del quale è noto solo l’anno di morte (il 370). Le sculture che lo raffigurano in posizione dormiente sono due e la loro storia è fortemente legata al luogo in cui venne rinvenuto il suo sepolcro: il sacello ipogeico al di sotto della Chiesa di San Lucifero. Le reliquie di San Lucifero vennero infatti rinvenute nel corso degli scavi seicenteschi nella necropoli paleocristiana che occupa l’area circostante la Basilica di San Saturnino e la stessa chiesa di San Lucifero. Il corpo del Santo Vescovo venne rinvenuto all’interno di un sarcofago e, sopra il corpo, furono rinvenute due iscrizioni: la prima è formata da una piccola lastra rettangolare che recita “Hic iacet BM Lucif Crus Arcepis Callapitanus Primarius Sardine et Corice. Ca.fl[ ]s. Rme eclesiae que vixit.annis LXXXI.K.Die XX Mai”. A lato dell’iscrizione è inciso un fiore il cui stelo è formato da una croce a tre ordini di braccia e al di sotto del testo sono incisi un’aquila bicipite coronata e il Chrismon; la seconda iscrizione è formata da un triangolo di pietra con sopra inciso “A. Llucifer Epp”. In seguito al rinvenimento, le reliquie di San Lucifero vennero traslate nel Santuario dei Martiri, al di sotto del presbiterio della Cattedrale, e in onore del Santo venne eretto un magnifico altare barocco. Proprio in quest’altare è possibile osservare tre raffigurazioni di San Lucifero: il Santo in preghiera nel paliotto; il Santo benedicente nella nicchia centrale dell’altare e infine la rappresentazione di San Lucifero come vescovo dormiente nella predella al di sopra della mensa dell’altare. La raffigurazione è eseguita in bassorilievo e i paramenti di cui è rivestito San Lucifero, sostenuto da tre angeli che lo depongono sulla lettiga, e il drappeggio del cuscino sui cui posa la testa sono realizzati con incisioni smaltate in rosso. Il sepolcro su cui è adagiato il corpo del Santo vescovo è costituito da una fedelissima riproduzione dell’iscrizione rinvenuta all’interno del sarcofago, ed è possibile raffrontarla con l’originale in quanto è collocata – assieme all’altra iscrizione triangolare – al di sopra della porta d’accesso alla cappella di San Lucifero.
Nel sacello di San Lucifero, formante insieme ad altri due ambienti la cripta dell’omonima chiesa, venne in seguito posto un notevole monumento anch’esso raffigurante San Lucifero in veste di Vescovo Dormiente, al di sotto della mensa dell’altare, come avviene nelle sculture del Duomo di cui parleremo più avanti. La scultura è oggi ospitata presso la prima cappella della fiancata destra della Chiesa, ed è posta sotto la mensa dell’altare seguendo un modello che – come vedremo – deriva dalle sculture della Cattedrale.
Il Canonico Spano, nella sua guida della Città di Cagliari, ci dà una precisa descrizione del Sacello quando ancora vi era collocata la Statua di San Lucifero dormiente:
“Da una delle porte che stanno sotto le barande del presbiterio, si può scendere per venerare il sito dove fu seppellito il corpo di San Lucifero, e poi tolto per esser collocato nel Santuario della Cattedrale. Si vede il loculo in mezzo, dove da molti secoli riposava, difeso da una grata di ferro in forma di Tempietto, sepolcro, come dice il Valery, adatto alla tempera di quel Santo. In fronte vi era l’altare a lui dedicato, e sotto la mensa si vede la sua statua in marmo giacente con gli abiti pontificali, simile a quelle degli Arcivescovi Carignena e De Angulo che stanno nel Duomo. Questa poi è più maestosa, e più grande, ma è inosservata; per cui converrebbe di collocarla nel corpo della Chiesa, oppure di pulire e sgombrare quel Santuario, che a dir la verità è una spelonca, maltenuta, sporca, rovinosa ed indegna alla sacra memoria di quel Padre della Chiesa”.
La scultura è una pregevole opera di autore ligure della seconda metà del XVII secolo, e presenta forti analogie in particolare col monumento a Monsignor Pedro de Angulo nell’altare di Sant’Isidoro all’interno della Cattedrale sebbene se ne distingua per una maggior attenzione al dettaglio in particolare per quanto riguarda i ricami dei cuscini sui cui poggia il capo mitrato del Santo e per una maggiore rigidità delle vesti e della posa. I decori della mitra, della stola e del piviale sono resi in modo efficace ed elegante con una tecnica a microincisione, mentre il tessuto della tonaca è raffigurato realisticamente con una trama a torciglione e un ricco pizzo che forma l’orlatura inferiore.
Seguendo l’ordine cronologico, il secondo tra i vescovi rappresentati in posizione dormiente è Sant’Agostino d’Ippona. E proprio la rappresentazione di uno dei più importanti Padri della Chiesa fa sì che Cagliari sia una delle grandi eccezioni nel panorama scultoreo delle tombe vescovili. Le spoglie di Sant’Agostino infatti vennero custodite per più di due secoli, dal 504 al 722, nell’ambiente ipogeico che costituisce tutto ciò che resta dell’antica chiesa di Sant’Agostino extra-muros. La Chiesa era un tempio gotico di dimensioni rilevanti e formato da tre navate, al quale era accostato il convento degli eremitani. Nel 1576, con il rafforzamento del sistema murario a difesa del quartiere Marina, si decise di demolire – su editto di Filippo II di Spagna – l’antico tempio e il relativo convento e di ricostruirli, grazie anche al finanziamento diretto del Re, intra-moenia nell’attuale Via Baylle, presso il luogo in cui sorgeva l’antica chiesa di San Leonardo. Della Chiesa gotica rimase ben poco, solamente una porzione di una delle navate laterali trasformata in una piccola cappella (a sua volta scomparsa a fine ‘800 con la costruzione del Palazzo Accardo) dalla quale si accedeva al santuario ipogeico dove, nel 1638, con una donazione da parte della Marchesa Elena Brondo di Villacidro, venne eretto un altare in marmi policromi a memoria della presenza delle sacre reliquie nella cripta. L’Altare oggi non è visitabile nella Cripta di Sant’Agostino in quanto è stato smontato per essere restaurato ed è attualmente custodito presso il Laboratorio di Restauro di Bonaria. Ringrazio Silvia, curatrice del blog My Cagliari (http://mycagliari.blogspot.com) per avermi concesso l’uso delle sue fotografie dell’altare per poter completare l’articolo.
Sul paliotto dell’altare, similmente a quanto avviene nella predella di quello di San Lucifero nel Duomo, una coppia di angeli veglia il sonno di Sant’Agostino Dormiente. Il bassorilievo è opera di scultore locale educato alla scuola spagnola e presenta notevoli sproporzioni, in quanto le mani del Santo e dei due Angeli appaiono enormi se confrontate alle dimensioni delle teste, mentre la posa frontale del Santo sembra derivare da modelli bidimensionali di matrice quasi romanica; il ricco apparato decorativo del piviale e del cuscino è formato da un intrico di arabeschi formati da elementi vegetali. Il pastorale è costituito da un semplice bastone sormontato da un’elaborata voluta costituita da una foglia d’acanto che avvolge una rosetta.
Una seconda scultura raffigurante Sant’Agostino giacente è custodita nel Palazzo Civico, a breve distanza dal piccolo santuario ipogeico. Si tratta di una scultura in creta realizzata nel XVII secolo, poggiante su una lettiga in legno intagliato e dorato. Il piviale di Sant’Agostino è decorato con un motivo a croci e cerchi realizzati presumibilmente con uno stampo. La scultura non presenta caratteri di particolare pregio artistico ma riveste una sua importanza in quanto viene portata in processione dal Palazzo Civico alla Chiesa di Sant’Agostino Nuovo (o intra-moenia) nel giorno in cui la Chiesa celebra il Santo.
Una terza raffigurazione di Sant’Agostino come Vescovo Dormiente, risalente agli anni ’70, è custodita nel cortile della chiesa di Sant’Agostino Nuovo (parte dell’ex Mercato Civico); fa parte di un gruppo scultoreo realizzato da un allora giovanissimo Pinuccio Sciola e raffigurante i “Vescovi Africani”, ovvero i vescovi esiliati dal re Vandalo Trasamondo, tra i quali Feliciano di Cartagine, San Fulgenzio di Ruspe (al quale si deve la fondazione di un monastero adiacente la Basilica di San Saturnino) e il Vescovo di Ippona, che condusse con sé in Sardegna le spoglie mortali di Sant’Agostino. Infatti, nel gruppo raffigurante i Vescovi Africani, Sant’Agostino è rappresentato ancora una volta come vescovo dormiente. La figura è appena sbozzata nel porfido rosso e si caratterizza per un’arcaicità che le dona un aspetto quasi medievale pur nella modernità dell’esecuzione. Nessun ricco ornamento arricchisce le vesti, la mitra e il pastorale di Sant’Agostino, ma la semplicità della scultura non è priva di una sua forza espressiva ben definita.
Il percorso alla scoperta delle sculture dei Vescovi Dormienti ci riporta ora in Cattedrale dove avremo modo di osservare altre tre importanti sepolture di altrettanti vescovi. Il primo tra loro, in ordine cronologico, fu l’Arcivescovo Francisco D’Esquivel, che resse l’Arcidiocesi di Cagliari dal 1605 al 1624, anni importanti in cui le due Diocesi di Cagliari e Sassari si contrapposero in una competizione volta a stabilire quale delle due contasse il maggior numero di Martiri cristiani, acquisendo così maggior prestigio e consentendo all’Arcivescovo di assurgere al ruolo di Primate di Sardegna e Corsica. Durante gli scavi effettuati nella necropoli di San Saturnino a partire dal 1614 vennero rinvenuti numerosi sepolcri contraddistinti dalla dicitura “B.M.”, interpretato a volte come “Beatus Martyr” o come “Bonae Memoriae”.
Negli anni della disputa tra Cagliari e Sassari prevalse la prima interpretazione e i numerosi corpi rinvenuti nella Necropoli vennero traslati nelle 179 nicchiette dell’erigendo Santuario dei Martiri, scavato al di sotto del presbiterio della Cattedrale di Cagliari. Con i recenti restauri dei primi anni ‘2000 si poté rilevare come le reliquie ospitate nelle nicchie fossero ancora custodite con la dicitura “Beatus Martyr” e presentassero il sigillo con la palma del martirio. Al centro del pianerottolo che riunisce le due gradinate d’accesso al Santuario, in una nicchia sulla cui parete di fondo è rappresentato Gesù in Croce attorniato dai Martiri Cagliaritani, si trova il sarcofago dell’Arcivescovo D’Esquivel, poggiante su due sculture leonine e impreziosito dalle figure di due angeli, quello di sinistra sorreggente una fiaccola e il calice, e quello di destra una patena e anch’esso una fiaccola. Al centro, due puttini sostengono il cartiglio con l’epigrafe dedicatoria. Al di sopra del Sarcofago è scolpita la splendida scultura che rappresenta il dormiente Arcivescovo D’Esquivel rappresentato con delle fattezze ancora quasi giovanili nonostante fosse nato nel 1554 e avesse dunque 70 anni al momento della morte. Il volto, reso con grande maestria dall’anonimo scultore che realizzò il suo monumento, presenta un lieve accenno di barba reso con accorti colpi di scalpello. I paramenti vescovili, pur nella loro sobrietà, sono ricchi di preziosi dettagli tra i quali l’orlo lavorato con un’incisione di girali d’acanto e gli ornamenti di gemme e perle sulla mitra. Ricchissima è inoltre la decorazione dei cuscini posti sotto il capo e i piedi dell’Arcivescovo, il cui broccato è reso grazie all’incisione dei ricami. Ricchissimo è inoltre il pastorale che l’Arcivescovo regge tra le mani, decorato da un terminale lavorato a motivi vegetali che si ripresentano, in modo più sobrio, anche nella parte bassa. È sconosciuto il nome del marmoraro a cui si deve la realizzazione del Sarcofago, ma è certo che l’opera venne eseguita immediatamente dopo la morte dell’Arcivescovo grazie anche ai suoi lasciti che consentirono ai suoi successori di portare a termine i lavori nel Santuario dei Martiri e la decorazione a tarsie marmoree lungo le pareti esterne che costituiscono la base del presbiterio.
Successivamente alla morte di Mons. D’Esquivel, la diocesi venne retta da Mons. Machin fino al 1640 e da Mons. De La Cabra fino al 1655. Nel 1657 divenne arcivescovo Monsignor Pietro De Vico, il quale intraprese i lavori di rifacimento della Cattedrale in una nuova veste barocca dopo il lungo periodo di abbandono e i primi crolli che cominciarono a verificarsi intorno al 1665. I lavori cominciarono nel 1666 e si conclusero nel 1672, con una consacrazione definitiva solo nel 1674. La Cattedrale si prestava ora a venire abbellita con ricchi altari e monumenti barocchi. Tra questi, si impone per maestosità l’Altare di Sant’Isidoro, fatto erigere a sue spese dall’Arcivescovo Diego Fernandez De Angulo nel 1683, anno della canonizzazione di Sant’Isidoro Agricola, il San Isidro patrono di Madrid. L’altare è spesso erroneamente attribuito allo scultore genovese Giulio Aprile (già autore, nel 1676, del Mausoleo di Martino d’Aragona): in realtà l’autore dell’altare di Sant’Isidoro non è noto ma basta un confronto con il Mausoleo di Martino il Giovane per notare da subito le differenze stilistiche. Mentre il Mausoleo di Martino il Giovane si presenta in forma d’arazzo ed aderisce fedelmente ai canoni del barocco ligure, l’altare di Sant’Isidoro mostra una chiara influenza di matrice romana, e in particolare una derivazione da quello che fu il modello principe per gli altari barocchi della Città Eterna, ovvero l’Altare di San Luigi Gonzaga nella Chiesa del Gesù, opera eccelsa scolpita intorno al 1680 dal trentino Andrea Pozzo, già attivo in Piemonte e Liguria alla metà del XVII secolo e introdotto successivamente nel mondo artistico romano dall’amico Carlo Maratta, autore di un dipinto raffigurante la Vergine delle Grazie nell’altare di Sant’Isidoro, eretto dal Bernini nella chiesa romana di Sant’Isidoro a Capo le Case. Una copia del dipinto della Vergine delle Grazie del Maratta, probabile opera di un allievo a cui forse collaborò anche il maestro, è appunto ospitata al centro dell’altare cagliaritano di Sant’Isidoro. Dunque la vicinanza tra l’opera del Maratta, la sua amicizia con Andrea Pozzo e le collaborazioni col Bernini fanno supporre, per l’altare di Sant’Isidoro della Cattedrale di Cagliari, la mano di uno scultore ligure allievo di Andrea Pozzo negli anni della sua permanenza romana, da non confondersi con il Giulio Aprile del Mausoleo di Martino il Giovane.
La mensa dell’altare di Sant’Isidoro mostra una particolarità unica della quale si è già accennato riguardo alla scultura di San Lucifero dormiente nella chiesa a lui dedicata: la mensa infatti non è formata dalla canonica struttura dell’altare, bensì da una lastra sostenuta da due puttini che sorreggono un pesante tendaggio, una cortina che forma quasi un baldacchino entro il quale è ospitata la sepoltura di Monsignor De Angulo, rappresentato proprio come Vescovo Dormiente.
L’elevata qualità artistica della scultura è resa evidente dal modo preciso di rappresentare i tratti del defunto Arcivescovo, dalla plasticità della posa e dalla resa nella morbidezza del panneggio. I dettagli sono preziosi e minutamente lavorati: il broccato dei cuscini è scolpito nel marmo con motivi vegetali a foglie d’acanto, simili a quelli che ornano anche l’orlo del piviale indossato da Mons. De Angulo che, però, si alternano a piccoli spazi vuoti in cui è scolpita persino la trama del pesante tessuto. Se si escludono la Croce, l’anello vescovile e la ricchissima mitra al di sotto della quale spunta la folta capigliatura del Vescovo, la sepoltura di Monsignor De Angulo non presenta altri simboli della carica da lui ricoperta quali avrebbero potuto essere il pastorale e il Galero.
Dopo la morte di Mons. De Angulo, altri tre vescovi ressero la diocesi fino al 1699, anno in cui la Cattedra vescovile passò a Monsignor Bernardo De Cariñena y Ipensa, frate appartenente all’ordine dei Padri Mercedari. Fu l’ultimo vescovo dell’epoca Spagnola della Sardegna, difatti il suo successore fu il piemontese Giovanni Giacomo Raulo Costanzo Falletti, fratello del Vicerè Girolamo (alla morte del quale l’Arcivescovo gli successe nella carica vicereale). Monsignor De Cariñena fu un vescovo di notevole erudizione e amante delle arti, e all’interno del Duomo cagliaritano fece anch’egli erigere un altare di forme squisitamente barocche dedicato alla Vergine della Mercede. Si tratta del terzo altare della navata sinistra e l’autore sarebbe identificabile con il genovese Giuseppe Maria Massetti, che lo avrebbe realizzato tra il 1716 e il 1718. L’identificazione dell’autore non è del tutto certa, ma il Massetti operò in Cattedrale anche nel 1727, anno in cui realizzò il maestoso altare di San Michele Arcangelo, e i documenti dell’epoca riportano come fu autore nel decennio precedente di due altari per i quali ordinò il preziosissimo marmo “Portoro” di Porto Venere per realizzare otto colonne cocleate, o tortili, usate in gruppi di quattro nei suddetti altari. Proprio uno di questi sarebbe l’altare di N.S. della Mercede, mentre l’altro – se si accetta l’idea di spostare la datazione dal 1683 al secondo decennio del XVIII secolo e si osservano le somiglianze con l’altare di N.S. della Mercede – potrebbe essere proprio quello di Sant’Isidoro, ipotesi verosimile, oppure l’altare della Cappella del Battistero in seguito sostituito da quello neoclassico eretto dal Cucchiari agli inizi del XIX secolo.
Come avviene esattamente nell’altare di Sant’Isidoro Agricola, anche nell’altare di N.S. della Mercede la mensa è sostenuta dai due puttini che reggono un drappeggio (ancora più ricco di quello che circonda la sepoltura di Mons. De Angulo) ornato di ricche frange.
Il drappeggio forma anche qui un baldacchino che custodisce la sepoltura di Mons. De Cariñena, anch’esso raffiguato come Vescovo Dormiente ma coperto da un piviale ben più sobrio di quello di Mons. De Angulo, sebbene l’orlatura sia ricamata con dettagli preziosi raffiguranti medaglioni e simboli religiosi. Anche il cuscino appare più sobrio, presentando solo le quattro nappe negli angoli e un tessuto liscio invece del ricco broccato dei cuscini della sepoltura di Mons. De Angulo. Non mancano però dettagli che rivelano lo status di benessere economico e di potere religioso, quali l’anello vescovile e il prezioso decoro della mitra, al di sotto della quale è visibile la capigliatura anche più lunga e folta di quella dell’Arcivescovo De Angulo.
Il Canonico Giovanni Spano, nella sua “Guida alla Città di Cagliari”, nel descrivere la sepoltura di Mons. De Cariñena – e con un riferimento anche a quella del De Angulo – non manca di sottolineare la rarità di questa tipologia scultorea al di sotto delle mense degli altari, pur riconoscendone la bizzarria che le rende uniche nel loro genere: “La prima cappella è dedicata alla Vergine della Mercede, tutta di marmo, fatta a spese dell’Arcivescovo Carignena, di cui si vede la statua in marmo, coricata sotto la mensa, con due puttini agli angoli che sostengono i lembi della cortina. È veramente assai strano che statue di tal genere si collochino sotto gli altari, perché gli ignoranti del vero loro significato potrebbero riputarle di Santi Martiri!”.
L’ultima scultura affine a quelle dei Vescovi Dormienti è custodita nella Cappella di San Pasquale Baylon nella Chiesa di Santa Restituta. Si tratta della lastra tombale del sepolcro di Monsignor Francesco Genoves, non un Vescovo ma un Canonico (in quanto tale però sepolto con dignità vescovile). In origine, come ci ricorda la Guida del Canonico Spano, la scultura era posta sotto l’altare (come nei casi di San Lucifero, di Mons. De Cariñena e di Mons. De Angulo) della seconda cappella a destra, in origine dedicato alla Madonna di Trapani e successivamente sostituito, nel 1844, da un altare dedicato a San Salvatore da Horta, in seguito anch’esso scomparso quando le reliquie del Santo vennero deposte sotto la mensa dell’altare maggiore e la Cappella venne dedicata alla Vergine di Lourdes.
La scultura raffigurante Mons. Genoves in posizione dormiente è realizzata in pietra povera, un calcare, a differenza delle altre sculture simili realizzate in marmo, ed è datata alla fine del XVII secolo. Il canonico non indossa la mitra vescovile bensì il tricorno sacerdotale secondo il modello spagnolo, ovvero quello a corona (distinto da quello romano con le quattro falde incrociate al centro e sormontate da una nappa) che ricorda le origini iberiche del canonico e l’appartenenza al capitolo metropolitano non ancora reso suddito del governo piemontese. Anche i paramenti indossati da Monsignor Genoves non sono quelli di un vescovo: non indossa infatti il piviale ma una più semplice casula ornata da un sobrio motivo vegetale, appena inciso nella dura pietra calcarea, e una stola ornata dal simbolo della Croce. Il doppio ordine di cuscini a quattro nappe sotto il capo del canonico è scolpito a raffigurazione di un broccato ornato da motivi vegetali a foglie d’acanto. La capigliatura fuoriesce lunga e fluente al di sotto del tricorno e le mani giunte sono prive di ornamenti e anelli. Attualmente il monumento è sorretto da una semplice struttura in ferro che lo mantiene sollevato dal suolo e ne consente la visione quasi ad altezza d’uomo, nonostante il monumento fosse stato realizzato per essere osservato dall’alto al di sotto della mensa d’altare.
Qui si conclude il percorso tra le sculture dei Vescovi dormienti, spero che l’articolo abbia riscosso il vostro interesse e vi porgo un caro saluto.
Con l’occasione voglio ringraziare l’Amica Silvia, curatrice del blog MyCagliari (http://mycagliari.blogspot.com/) per avermi fornito le immagini dell’altare di Sant’Agostino. Senza il suo aiuto, non avendo il sottoscritto fotografato l’altare prima che venisse portato al Laboratorio di restauro, non avrei potuto offrire al lettore un completo corredo iconografico a illustrazione del testo.