Un ringraziamento speciale all’amico Filippo Melis che, nel 2018, mi aiutò a realizzare le fotografie grazie alle quali è stato rimontato digitalmente il monumento.
Il monumento funebre di Marina Bellegrandi, del quale si tratterà nell’articolo odierno (in occasione del quale riprendono le pubblicazioni sul sito, interrotte per oltre un anno onde lavorare alla realizzazione di un testo editoriale che vedrà la luce a breve), è già stato descritto in altre due occasioni in questo sito.
Il testo più vicino in ordine temporale è l’articolo sull’ipotesi di identificazione della Donna effigiata nel medaglione liberty di Via Martini con la stessa Marina Bellegrandi la cui sepoltura è soggetto del presente articolo. Per chi volesse approfondire l’ipotesi, risalente al 2018 e per la quale un’altra divulgatrice ha già cercato in due occasioni di appropriarsi della paternità (pur smentita dalle prove in mio possesso, dalla data di pubblicazione dell’articolo stesso e dalla corrispondenza con una discendente della famiglia Bellegrandi la quale ha fornito informazioni precise onde poter definire l’età di Marina Bellegrandi alla data della morte riportata sul cartiglio del monumento, mancante dell’anno di nascita), può fare riferimento al presente link
Il primo articolo in cui si è trattato di questo pregevole monumento del Sartorio è stato invece quello sull’ispirazione all’Angelo di Monteverde in alcune sepolture nel Cimitero Monumentale di Bonaria. In riferimento al citato articolo del 2017, si può qui riassumere come il monumento funebre di Marina Bellegrandi riprenda la tematica inaugurata dalla scultura di Giulio Monteverde, ovvero la figura di un angelo non più androgino bensì rappresentato con forme decisamente femminili, in un momento in cui si ferma a riflettere sulla vita e la morte prima di accingersi a suonare la tromba che porta con sé. Tale momento nelle intenzioni del Monteverde e in quanti si ispirarono a lui, incluso il Sartorio, è la rappresentazione non solo di un istante di riflessione, bensì una raffigurazione del passaggio dell’anima dalla sede corporea alla destinazione celeste: gli angeli di queste rappresentazioni sono infatti eternati in un momento di indecisione, l’attimo prima di proseguire il loro cammino per il ritorno alle origini dell’anima dopo aver lasciato la vita terrena.
Il monumento funebre di Marina Bellegrandi venne realizzato da Giuseppe Sartorio nel 1888, e in quanto tale si pone come una tra le prime opere realizzate dall’autore all’interno del Cimitero Monumentale di Bonaria: la prima in assoluto fu la lapide di Cecilia Metteo del 1885, cui fecero seguito altre lastre tombali per poi approdare alla grande statuaria a tuttotondo con il monumento a Camille Victor Fevrier nel 1886 e subito dopo al monumento a Marina Bellegrandi.
Il successo dell’Angelo di Monteverde si rispecchiò anche sui monumenti che da esso trassero ispirazione, difatti il Monumento a Marina Bellegrandi conobbe da subito un grande plauso da parte della critica artistica dell’epoca e da parte del pubblico, al punto che il Sartorio venne incaricato a replicarlo in diverse occasioni per altri Cimiteri Sardi e Italiani (sono, infatti, presenti copie nel Cimitero di Sassari, in quello di Ozieri, a Torremaggiore in provincia di Foggia, e nel più celebre Cimitero del Verano a Roma). Ovviamente le differenze con l’Angelo di Monteverde (noto come Angelo del Silenzio), realizzato per la sepoltura della famiglia Orengo nel Cimitero di Staglieno a Genova, sono notevoli dal punto di vista compositivo e materico ma, sull’onda dell’opera realizzata dal Monteverde, Giuseppe Sartorio interpreta anche lui lo smarrimento dell’Angelo, con alcune differenze rispetto all’opera Monteverdiana: anche l’Angelo cagliaritano è una figura non più androgina bensì rappresentata con tratti marcatamente femminili ed è altrettanto sperduto dell’Angelo di Staglieno. Ma, mentre nell’opera genovese l’Angelo è fermo in piedi, come indeciso ad effettuare un primo passo verso il mistero dell’oltrevita, nell’opera di Sartorio sembra essersi preso in modo evidente il suo momento per riflettere. È difatti seduto, ha deciso in modo esplicito di non proseguire quel cammino, e la posa della testa poggiata sulla mano mostra chiaramente la volontà di riflettere sul mistero al quale sta per iniziarsi. Al pari dell’Angelo di Monteverde, l’Angelo del Sartorio non ha intenzione di suonare la Tromba del Giudizio, si limita a posarvi sopra lo sguardo nelle sue riflessioni. Non ne tappa il bocchino col dito come nell’opera di Staglieno, ma al tempo stesso l’apertura è occlusa dalla fluente capigliatura, e anche in questo caso nessun suono verrà proferito in modo involontario. Se è chiaro che il Sartorio non ha voluto creare un’opera identica a quella del Monteverde, è però evidente il fatto che ne abbia tratto ispirazione sull’onda di quella rottura con l’iconografia angelica classica operata dallo scultore genovese, a dimostrazione del fatto che Cagliari non restò mai estranea alle correnti artistiche che andavano manifestandosi nel continente anzi, proprio in quegli anni la Città si preparava a diventare una delle protagoniste italiane dell’epopea Liberty.
Fin qui si è descritta in modo sommario la storia del monumento e la sua derivazione dall’opera monteverdiana. L’articolo, però, si pone come scopo quello di presentare la ricostruzione del monumento quale doveva apparire subito dopo la sua realizzazione e come dovrebbe presentarsi tuttora se le parti di cui è composto fossero state riassemblate con un accurato restauro.
Il monumento a Marina Bellegrandi è infatti solitamente descritto come composto da un angelo seduto davanti a un pilastro spezzato e questo errore è presente in diversi testi sul Cimitero di Bonaria, pubblicati anche in anni recenti. La giustificazione a questa errata interpretazione può essere trovata nel confronto con diverse altre opere di Sartorio nelle quali la colonna spezzata (o anche un obelisco o un pilastro) assume il significato dell’interruzione della Vita con la morte, e quindi si guarda a monumenti dello stesso autore rappresentanti tale tematica come ad esempio il Monumento ai Caduti delle Guerre d’Indipendenza in Piazza Martiri – appunto un obelisco spezzato – o il celebre monumento a Elisa Mossa del 1907 nel quale l’interruzione della vita della quattordicenne Elisa viene rappresentata da una colonna spezzata posta alle spalle del ritratto della giovane eternata in un momento di riflessione e preghiera, seduta e con una croce tra le mani.
Un altro monumento in cui il pilastro spezzato assurge a significato di una vita interrotta è quello a Maria Ugo Ortu, scolpito in un arco indefinito di tempo compreso tra il 1888 e il 1891 – e quindi contemporaneamente o successivamente al monumento di Marina Bellegrandi – dove il pilastro che affianca la balaustra dalla quale si affaccia la piccola Maria è spezzato con l’interruzione anche del suo pregevole apparato decorativo, a significare l’interruzione di una vita che sarebbe stata ricca e florida.
Il monumento a Marina Bellegrandi, però, non fa parte di questo canone rappresentativo, difatti ciò che appare come un pilastro spezzato è in realtà ciò che rimane di una grande croce avvolta da un drappo. La mancata descrizione della croce da parte di autori che hanno pubblicato sul Cimitero Monumentale di Bonaria assume qui un aspetto grave se si guarda alla disinformazione diffusa sul monumento e che dimostra pressapochismo, oltreché scarsa attenzione al contesto, poiché i frammenti delle braccia e della testata della croce oltre a quelli del drappo, si trovano esattamente dietro al monumento funebre e sono tuttora ben visibili anche all’occhio più distratto.
La traversa, coi due bracci, e la testata della croce sono scolpite in un unico blocco monolitico di granito, ed erano unite al montante da un perno in ferro del quale rimane visibile l’incavo proprio nella parte sommitale di quello che viene erroneamente definito “pilastro”. Al lato sinistro del montante è visibile un distacco di una porzione di granito, che intacca però solo l’angolo posteriore e quindi, anche osservando frontalmente il monumento, non si può avere l’impressione di un pilastro spezzato bensì di un’opera incompleta o mancante del suo naturale coronamento. Questo distacco è la motivazione del crollo della parte superiore della croce. Non è dato sapere la data in cui il distacco sarebbe avvenuto, mancanti documentazioni fotografiche precedenti, ma il monumento non sembra aver sofferto dei danni inferti dai bombardamenti alleati come altri monumenti funebri del Cimitero di Bonaria, trovandosi in un angolo del primo quadrato del nucleo originario che – fortunatamente – è stato risparmiato dalla devastazione bellica. È quindi ipotizzabile che il distacco del frammento di granito e il cedimento della croce siano dovuti ad altra motivazione, come ad esempio la dilatazione del ferro del perno, dovuta o al calore o all’ossidazione dello stesso e quindi al suo ispessimento.
La caduta della parte sommitale è avvenuta alle spalle del monumento e quindi ha risparmiato il bellissimo angelo in marmo che può essere tuttora ammirato e apprezzato nei suoi più pregevoli dettagli. Poggiati alle spalle del monumento si trovano tre frammenti di marmo bianco, i quali formavano un drappo avvolto dietro all’asta della croce e librato al vento in corrispondenza del braccio destro. Sul lato frontale del monumento è ancora visibile, alle spalle dell’Angelo, il frammento iniziale del drappo e anche questo concorre a rendere grave la mancata attenzione verso i dettagli dell’opera scultorea da parte di chi vi ha visto un semplice pilastro. Sul lato sinistro, in corrispondenza della svolta del drappo, sono presenti due fori nel quale si inserivano i tasselli che ancoravano il marmo al granito consentendo al drappo scolpito di girare dal fronte al lato rovescio del monumento. Il terzo frammento è quello che rappresenta la parte terminale del drappo, che sporgeva sopra il braccio destro della croce e appariva come mosso dal vento donando all’insieme del monumento un suggestivo contrasto tra la dinamicità stessa del drappo rispetto alla statica e immota riflessione dell’angelo.
Va inoltre tenuto presente che il blocco granitico, scolpito ad imitazione di una roccia naturale, su cui siede l’Angelo non è la vera base del monumento poiché al di sotto del terriccio depositatosi nei decenni, il monumento si eleva su di un gradino anch’esso in granito. Ed originariamente, forse, era presente anche una recinzione in ferro – una balaustra o quattro pilastri con catene – ora andata perduta.
In anni recenti il monumento funebre è stato sottoposto ad un’accurata opera di pulizia e restauro delle parti ancora in situ, ridonando all’angelo il suo candore marmoreo e ripulendo il granito dalla vegetazione lichenica che nel tempo vi si era depositata. Quest’opera di recupero e valorizzazione appare però tristemente incompleta quando si pensa alla facilità con cui si sarebbe potuto provvedere al rimontaggio delle parti mancanti, essendo esse vicine al monumento e facilmente ancorabili ad esso nella loro collocazione originaria, con l’inserimento di un perno di un materiale meno usurabile del ferro e reintegrando il frammento granitico mancante, il quale è posato dietro al monumento stesso.
Quella dei restauri nei monumenti del Cimitero di Bonaria è una questione annosa e ancora non del tutto risolta, poiché è vero che di recente, nel 2023, vi è stata l’occasione per celebrare il restauro della Cappella Devoto e dei monumenti in essa presenti, tra cui il celeberrimo monumento a Efisino Devoto, il bimbo rappresentato morto sulla sua seggiola con un’iscrizione che rievoca il grido della madre al momento in cui lo trovò ormai esanime, addormentato nel sonno eterno: “Cattivo! Perché non ti risvegli?!”, del quale si è parlato anche in questo sito nell’articolo sulle madri cagliaritane. Ma sempre nel 2023 sono diventate palesi le mancanze nel precedente restauro di altre due cappelle: nel 2021, infatti, si è gioito per il restauro della Cappella De Candia e il ripristino della croce nel monumento al grande tenore Mario De Candia, presente appunto al centro della cappella stessa; nello stesso anno veniva restituita al pubblico la Cappella Rossi, col bellissimo monumento a Francesco Rossi scolpito da Federico Vanelli e i busti scolpiti dal Soldini. Purtroppo, il restauro delle cappelle non deve aver seguito regole accurate o aver esaminato le cause principali del degrado delle stesse, poiché il confronto con lo stato attuale (anzi, le foto qui riportate sono del 2023, pertanto la situazione è ulteriormente peggiorata) non lascia dubbi sulla ricaduta nello stato di abbandono e degrado delle cappelle dove – se non al ripristino dell’intonaco recentemente rifatto – si sarebbe potuto provvedere almeno a rimuoverne le parti crollate dal pavimento. Almeno questo!
Un discorso analogo va fatto per il recupero del Nuovo Orto delle Palme, nel 2015, già ricaduto nel degrado delle porzioni murarie a pochi mesi dall’inaugurazione.
Non vi è quindi speranza di vedere, almeno nel breve termine, il monumento a Marina Bellegrandi restituito alla sua composizione originaria e completa – pur nella facilità d’esecuzione di tale recupero – se non nel presente rimontaggio digitale…
Nota Bene: il presente articolo, con tutte le informazioni contenute e l’articolo verso cui si fa riferimento nel primo link, ossia l’ipotesi sul Medaglione Liberty di Via Martini, sono opere registrate con marcatura temporale e prove di paternità (ognuna a suo tempo) e per le quali l’autore ha utilizzato esclusivamente le sue nozioni, il suo materiale d’archivio e le sue personali osservazioni dal vivo. Qualunque altra persona/divulgatore – e una divulgatrice in particolare (lei sai chi è) – provi ad appropriarsi dell’ipotesi restitutiva di questo articolo o tenti ancora di rivendicare una paternità sull’ipotesi del Medaglione Liberty non solo verrà sbugiardata pubblicamente tramite social ma, stavolta, querelata come da avvisi precedenti.
La restituzione grafica del monumento completo fa inoltre parte di un progetto avviato nel 2018 e parimenti registrato con prova di paternità e marcatura temporale. Qualunque progetto nato dopo il mio ( e che ne riprenda l’idea) venga pubblicato è citabile per plagio.