Con un sentito ringraziamento alla Signora Elena Portughese
e alle sue figlie, le mie care amiche Francesca e Maria Assunta
L’articolo odierno può sembrare breve, in realtà è diviso in tre parti: l’introduzione ad un mio scritto del 2013-14, pubblicato nel 2017, nel quale viene proposta un’ipotesi restitutiva del Monumento a Carlo Thorel nel nucleo originario del Cimitero Monumentale di Bonaria; una seconda parte costituita dallo scritto in formato digitale e sfogliabile e una terza parte nella quale – tramite un confronto – viene attribuita all’autore del suddetto monumento anche un’altra opera (sarebbero dunque tre, come potrete appurare leggendo il testo sfogliabile) presente nello stesso nucleo del Cimitero.
Il post di oggi non è tuttavia una sola riproposizione dello scritto del 2014, ma è stato realizzato in concomitanza con le celebrazioni della giornata dei defunti anche allo scopo di sottolineare come persino l’arte possa morire, per mano dell’uomo e per via del suo abbandono. Ma come il ricordo dei nostri cari, anche la scomparsa quasi totale di un monumento lascia dietro di sé delle tracce che permettono di ricostruirne le vicende – in un certo senso, la vita…
Il Monumento a Carlo Thorel venne realizzato dopo il febbraio 1876, data della morte del Thorel, probabilmente su commissione dei benefattori che amministravano l’asilo per gli orfani da lui fondato nel quartiere Stampace e del quale sopravvive tuttora la seconda sede, un edificio neogotico nella via San Giorgio, a metà della salita tra la chiesetta di San Giuseppe in Stampace e l’Ospedale Civile (all’interno dell’Ospedale è visibile un ritratto di Carlo Thorel, con un cartiglio che testimonia la data della morte e i suoi lasciti di beneficenza). Durante i bombardamenti del 1942-43 il monumento funebre subì seri danni venendo colpito presumibilmente sulla parete posteriore e collassando, in seguito, all’interno del recinto funerario nel quale sorgeva. Se il monumento fosse stato colpito sul lato frontale sarebbe crollato sul viale centrale del Cimitero e oggi non potremmo ammirare neppure l’unico elemento superstite: la scultura di una suora vincenziana che tiene in braccio un bambinello dalle mani giunte.
Proprio la presenza della scultura della religiosa ha dato origine a numerosi fraintendimenti circa l’attribuzione del monumento. Teorie fantasiose e poco logiche vorrebbero difatti che si trattasse di un monumento ad una madre morta lasciando il proprio figlio indigente in un orfanotrofio (non prima però di aver raccolto i soldi necessari a costruirsi un monumento che doveva apparire grandioso, e costoso quanto una casa e un fondo con cui il bimbo avrebbe potuto vivere di rendita), ma non solo: viene messa in dubbio anche l’intitolazione a Carlo Thorel, sulla base di un errore storico poiché nello stesso viale è presente la tomba di Charles Thorel, capostipite del ramo sardo della famiglia fuggito dalla Francia rivoluzionaria assieme alla sorella minore, e dunque alcune persone tendono a confondere Charles con il figlio Carlo, nato in Italia e che prese il nome italiano dal padre. Non manca infine chi sostiene che si tratti della “semplice” sepoltura di una suora vincenziana. Diverse anche le fantasiose teorie sulla conformazione originaria del monumento: c’è chi infatti sostiene che alle spalle della religiosa dovesse trovarsi la scultura di un bambino che piangeva al capezzale della madre defunta (secondo una composizione scultorea che anticiperebbe di circa trent’anni una delle opere più celebri del Cimitero: il monumento a Francesca Warzee Crobu scolpito da Giuseppe Sartorio). Non è da escludersi la presenza di una scultura simile, ma non in grandi dimensioni e non a tutto tondo: è probabile che, se mai sia stata realizzata, si trattasse di un bassorilievo scolpito su una delle pareti laterali del tempietto che – come potrete leggere tra poco nello scritto sfogliabile – sorgeva alle spalle della suora.
Allora come è stato possibile redigere una tesi con un’ipotesi restitutiva sul Monumento? Anzitutto osservando i resti dello stesso, ovvero la scultura della suora col bambino in braccio e i frammenti dell’alta guglia del tempietto neogotico (ora abbandonati nel Nuovo Orto delle Palme) e confrontandoli con un altro monumento dalla composizione scultoreo-architettonica assai simile tuttora visibile poco distante nello stesso viale: il Monumento a Pietro Magnini e Ottone De Negri, opera del carrarese Giacomo Bonati coeva al Monumento a Carlo Thorel (i tre uomini morirono tutti nel 1876; la storia del monumento a Pietro Magnini e Ottone De’ Negri è legata alla loro uccisione mentre si recavano ad Urzulei con le paghe per gli operai addetti alla costruzione della strada Orientale Sarda e al processo che ne conseguì e che comportò l’abrasione dei banditi sardi – ritenuti inizialmente colpevoli – dal bassorilievo nel basamento dopo che fu dimostrato, nel 1880, che il mandante fu Giovanni Antonio Montaldi, il tesoriere piemontese dell’impresa di cui Magnini era presidente. Potrete trovare un breve resconto nello scritto con l’ipotesi restitutiva).
Ancora più importanti nel confermare quale fosse l’aspetto originario del monumento sono stati due scritti: in primo luogo un articolo apparso nella rubrica “Funeraria” sull’Unione Sarda del 3 novembre 1907 e firmato dall’articolista Cosmos (probabilmente uno pseudonimo di Cosimo Fadda) che, pur non risparmiando critiche circa la qualità scultorea del monumento peraltro in parte condivisibili, fornisce dati assai importanti come il fatto che si trattasse di un monumento di altezza notevole, di impostazione architettonica più che scultorea e la presenza di una seconda scultura, probabilmente un secondo orfanello (il testo dice letteralmente “l’adattamento delle basi, nelle loro collocazioni”), ma è più probabile che al fianco della suora si trovasse una colonna col busto del Thorel. Un dato fondamentale è la presenza della seconda scultura, confermata tuttora dal foro in cui era alloggiato il perno in metallo che la manteneva nella corretta posizione.
Il secondo scritto è un brevissimo ma assai importante estratto dalla “Guida di Cagliari” di Francesco Corona, del 1915. Anche in questo scritto si parla di un tempietto con statua (la suora con l’orfanello) e busto del defunto, forse collocato – come detto – su una colonna a lato della suora, oppure (se accanto alla suora si trovava un secondo orfanello) su un supporto nell’ogiva da cui dipartiva l’alta guglia neogotica.
Fondamentale è stata inoltre la descrizione fornitami dalla Signora Elena Portughese, che ringrazio ancora di cuore, nata nel 1927 e che tuttora ricorda la struttura originaria del monumento – conosciuto negli anni giovanili – e la desolazione nel tornare in una Cagliari devastata dai bombardamenti per ritrovare il monumento a Carlo Thorel quasi del tutto scomparso eccetto che per la scultura della suora. La Signora Portughese ha inoltre fornito un’altra informazione importantissima riferendo che, alle spalle della Suora Vincenziana, era presente una finta porta scolpita in marmo (della quale sono stati rinvenuti dei frammenti) secondo un modello che sarebbe stato ripreso anche dal Sartorio in monumenti del Cimitero di Iglesias e di Sassari.
Senza la consultazione delle fonti, non essendoci inoltre documentazioni fotografiche e senza aver mai intervistato persone che abbiano conosciuto il monumento nella sua veste originaria prebellica, appare dunque ovvio che molte delle bizzarre descrizioni precedentemente riportate siano frutto di una ricerca manchevole, eppure i due articoli parlano chiaro sia sull’intitolazione sia – pur nella loro brevità – riguardo alla struttura monumentale precedente la devastazione del ’43. Non me ne voglia chi ha riportato nei propri libri interpretazioni prive di senso ma molto fantasiose sul monumento a Carlo Thorel, non è colpa mia se lì è sepolto Carlo Thorel e non un’anonima madre egocentrica che ha preferito il suo monumento funebre al benessere futuro del proprio figlio…
L’Ipotesi Restitutiva ha preso dunque avvio dopo la consultazione dei due testi e dopo aver raccolto la testimonianza della Signora Portughese. Il passo successivo è stato il rilievo dei frammenti della guglia, durante i quali è stato possibile notare che nei quattro angoli erano presenti delle sporgenze a pianta quadrata con un decoro a losanghe polilobate sui quali era possibile la presenza di pinnacoli. Nella ricostruzione in Cad del Monumento è stata dunque ipotizzata la loro esistenza, poi confermata dal rinvenimento di uno di essi non lontano dalla scultura della suora vincenziana (ora conservato in un’area protetta del Cimitero). Tale conferma ha dato luogo ad un confronto col Monumento a Pietro Magnini e Ottone De’ Negri, grazie al quale è stato possibile identificare non solo l’autore del Monumento al Thorel (fino al 2014 considerato opera di ignoto autore), ma anche rintracciare un modello comune dal quale sono state ricavate sia le due sculture angeliche del Monumento al Magnini, sia la scultura della Suora Vincenziana. Potrete leggere tutto ciò nel testo sfogliabile che segue.
Vi invito inoltre, dopo la lettura dell’ipotesi restitutiva, a proseguire la lettura dell’articolo perché nella terza parte il confronto con un’altra opera presente nel Cimitero di Bonaria, il monumento ad Alessandro Rossi (del 1879), permette di ipotizzare che le opere attribuibili allo stesso autore siano tre.
Ed ecco a voi l’ipotesi restitutiva (consiglio la lettura a tutto schermo):
Come anticipato, nel nucleo originario del Cimitero e precisamente nel viale laterale a nord – quello su cui si affaccia la cortina di cappelle che funge da separazione con il Nuovo Orto delle Palme – è presente un monumento attribuibile allo stesso autore dei monumenti a Magnini/De’ Negri e a Carlo Thorel. Possiamo ora dire che si tratta sempre del carrarese Giacomo Bonati.
Il Monumento in esame è quello ad Alessandro Rossi. Si tratta di una stele neogotica (dunque nello stesso stile dei monumenti al Thorel e al Magnini) di forma archiacuta sinuosamente inflessa sulla parte superiore sulla quale è impostato un basamento modanato ospitante una semplice Croce con i terminali dei bracci e della testa in forma lanceolata. Al di sopra dell’inflessione della stele è presente una decorazione con foglie d’acanto realizzate con lo stesso identico stile di quelle presenti nei due succitati monumenti ovvero, come ormai noto per chi ha letto la tesina sfogliabile, con le foglie divise in due parti: una parte inferiore aperta e nella quale gli occhielli formati dalle pieghe dell’acanto sono resi con unici fori realizzati al trapano, e una parte superiore curiosamente caratterizzata da una forma a bocciolo, ancora chiusa, tondeggiante. La somiglianza è comunque più evidente tra le foglie qui presenti e quelle del monumento al Magnini piuttosto che alle analoghe – ma più elaborate – foglie del monumento al Thorel.
Sul lato frontale della stele è presente un’iscrizione commemorativa che riporta anche la data di morte del defunto e che permette di stabilire la vicinanza temporale con gli altri due monumenti del Bonati: “Dio Buono / al diletto figlio / Alessandro Rossi / ventenne / studente universitario / che senza querela / Ti rinunciò la presente vita / concedi l’eterna. / I genitori desolati / posero / 8 [ott] 1879”.
L’epigrafe è racchiusa in una robusta modanatura che nella parte superiore si divide a formare una pseudo-bifora sorretta da un baccello d’acanto che riporta lo stesso occhiello lavorato al trapano delle foglie nella parte superiore della stele. Lo stesso identico baccello è presente nel Monumento a Pietro Magnini e Ottone De’ Negri, sia nell’intradosso della crociera da cui si diparte il cupolino neogotico e soprattutto negli angoli del basamento del monumento dove quattro baccelli sorreggono tre archetti pensili. È probabile anche in questo caso la derivazione da un unico modello in materiale povero (gesso o terracotta), dal quale poi potevano essere riprodotti in scala maggiore o minore i vari elementi decorativi da scolpire sui monumenti.
La somiglianza tra i monumenti, la prossimità delle date, la deliberata scelta di uno stile architettonico ben preciso che però consentiva grande libertà interpretativa, proprio come lo stile neogotico, l’uso dello stesso identico carattere nelle epigrafi del Monumento a Magnini/De’ Negri (e probabilmente anche per quello di Thorel), fa supporre un’unica mano, un’unica bottega scultorea per la realizzazione di tre monumenti che, purtroppo, denunciano ancora una volta uno stato di abbandono ingiustificabile del più importante cimitero monumentale Sardo e uno dei più importanti d’Italia.
Per chi fosse interessato a leggere l’ipotesi restitutiva in formato cartaceo, potete fare riferimento a questo link nel quale sono riportate le collocazioni nelle biblioteche cittadine.
Nel ringraziarvi per l’attenzione dedicata anche a questo articolo, porgo i miei saluti e l’augurio di un felice fine settimana festivo.